Lo “Ius Soli”, la cittadinanza, l’accoglienza e l’integrazione


cittadinanza ius soli riflessioneIl disegno di legge noto come “Ius Soli“, al centro del dibattito nazionale, viene definito, dai politici che ne sostengono l’approvazione “una legge giusta”, “una legge di civiltà” perché riconosce il diritto alla cittadinanza italiana per i bambini stranieri nati in Italia, per il solo fatto di essere nati sul suolo italiano. 

È certamente encomiabile l’impegno della Nazione per adeguare le proprie leggi ai tempi che di solito corrono più veloci della capacità dell’uomo di prevedere il futuro. Ma un futuro c’è ed è necessario cercare di anticiparne gli aspetti socio-politici.

In Italia, la cittadinanza conferisce alla persona uno “status” che si traduce, di fatti, nel possesso della pienezza dei diritti civili e politici. 

Tale riconoscimento non deve confondersi con l’accoglienza.

L’accoglienza, sotto il profilo umano, si alimenta con i sentimenti e la generosità; sotto il profilo statale, deve essere sostenuta da una adeguata pianificazione che si traduce in giusto rapporto fra richieste e risorse altrimenti si genera il disastro caratterizzato dal soverchiare delle richieste rispetto alle risorse e si passa all’emergenza la cui gestione garantisce solamente il minor danno possibile, non la soluzione globale del problema.

Lo ius soli non garantisce accoglienza, ma l’attribuzione di uno “status” e  si introduce, con tutta la sua portata innovativa e per alcuni versi, rivoluzionaria, in un contesto individuale culturale, politico, religioso e tradizionale complesso.

Tale complessità riguarda i genitori che fanno nascere un bambino in Italia venendo da altri Paesi, ma anche e più problematicamente, l’adolescente  poi adulto che sarà il bambino divenuto “cittadino italiano” e che, ovviamente, cresce in una famiglia, una cultura, un ambiente e tradizioni di fatto in continuità con la terra d’origine.

Il bagaglio di vita vissuta non si scioglie nel nulla con la fuga dalla paura o dalla miseria, ma attraversa ogni giorno, e per sempre, la mente e i pensieri di chiunque abbia deciso di lasciare la propria terra per emigrare fra altra gente, altre strade, altre abitudini, altri costumi e usanze.

Riconoscere la cittadinanza come solo adempimento formale ai bambini stranieri nati in Italia certamente può andare nella direzione giusta per molti ragazzi che hanno già realizzato una matura integrazione sociale e culturale,  ma può anche produrre effetti avversi facilmente prevedibili in una prospettiva di deregolazione globale prevalentemente fra adulti in cerca di soluzioni immediate e di prospettive astratte di un avvenire migliore per se stessi e i propri figli.

Temibile sarebbe, anche, l’imprevedibile e incontrollabile nascere e svilupparsi, nella psicologia del bambino divenuto italiano, di sentimenti di avversione verso lo Stato che gli ha “imposto” una cittadinanza nella quale poi non si riconosce e che può identificare come una sorta di appropriazione forzosa dalla quale desidera liberarsi, quasi un riscatto, una evasione.

L’antidoto per questo rischio è la libertà di scelta, la richiesta che sia testimonianza di desiderio personale, aspirazione e che assuma “valore premiante” che ricompensa la volontà, l’entusiasno, la fatica fatta per integrarsi nella evoluzione storica, politica, giuridica e sociale del nuovo Stato.

Una innovazione legislativa concreta dovrebbe esprimere la volontà di tutta la Nazione ad accogliere nel proprio tessuto le persone che lo desiderano, facilitando l’iter burocratico decisionale, non certamente vanificando le necessarie valutazioni di sicurezza e opportunità nazionale quali la cultura e l’economia.

In tale ottica si riducono i timori e si valorizza l’integrazione resa difficile e timorosa dalla mancanza di tutele degli assetti sociali, politici ed economici a fronte di una immigrazione incontrollata.

Riconoscere la cittadinanza italiana secondo criteri più ampi e concessivi di quanto già previsto dalla normativa in vigore è una scelta prospettica di interesse nazionale, ovvero di tutti i cittadini italiani e come tale diviene anche un valore di riferimento per tutti.

Una nuova definizione del diritto alla cittadinanza ne segna anche il valore per coloro che ne sono già titolari. In tal senso caratterizzerà il futuro della Nazione nel suo contesto organizzativo, politico, etico, e sociale.

Così che per un futuro coerente con obiettivi di valore e non di disvalori, essere cittadini italiani deve significare per chi lo è già e per chi lo diviene, essere orgogliosi e responsabili di uno “Ius honoris causa”.  

 

 

Una riflessione di Elio Carchietti

Rispondi