Egitto, stretta sulla libertà di informazione

Egitto, il governo censura 63 siti on-line, la maggior parte sarebbero siti di informazione. L’accusa è di incoraggiamento al terrorismo e pubblicazioni di notizie false. A rischio anche la libertà dei social network Twitter e Facebook.

egitto censura

Libertà di informazione in Egitto: la situazione attuale

Dopo la rivoluzione del gennaio 2011 che aveva acceso un barlume di speranza, la situazione della libertà di stampa e di espressione in Egitto è oggi più critica che mai.

Dal 24 maggio è iniziata una campagna di censura che coinvolge siti di informazione e non solo, ad oggi risultano essere bloccati circa 63 piattaforme on-line. Non solo portali di informazioni, ma anche siti da cui è possibile scaricare programmi come VPN e TOR.

Nella lunga lista sono presenti una serie di media del Qatar o finanziati da esso, che sostengono o sono gestiti dalla Fratellanza musulmana, tra i quali Al Jazeera e Huffington Post Arabic. Uno dei primi siti a subire la censura è stato Mada Masr, portale indipendente fondato nel 2013 da ex giornalisti del quotidiano Egypt Independent.  Mada Masr è diventato portavoce delle inchieste sulla corruzione e la repressione subita dall’opposizione nel Paese: ha denunciato le violazioni dei diritti umani, la repressione contro le Ong, le esecuzioni extragiudiziali e la pena di morte.

Pubblichiamo quello che le autorità non vogliono che la gente legga”, ha dichiarato Lina Attallah, direttrice della testata. Il sito era stato premiato nel 2016 per la libertà di stampa al Festival di Internazionale a Ferrara, per il lavoro svolto da Hossam Bahgat e la sua caporedattrice Lina Attalah.

La stessa libertà di stampa che oggi è violata da parte del governo egiziano. L’accusa per il governo è di incoraggiamento al terrorismo. Infatti, da una notizia diffusa dall’agenzia di stampa MENA l’accesso ai siti sarebbe stato bloccato in relazione a “importanti procedimenti legali” perché “pubblicavano contenuti che supportavano il terrorismo e diffondevano deliberatamente notizie false”.

Secondo i dati di Reporters san Frontières (RSF) l’Egitto è al 161° posto della Classifica globale per la libertà di stampa 2017, definito dagli stessi come “una delle più grandi prigioni per i giornalisti”.

Gli attacchi alla libertà di stampa e di espressioni sono diventati l’ordine del giorno. Così, nonostante siano passati quasi 70 anni dalla promulgazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il principio sancito dall’articolo 19, secondo cui “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”, risulta essere ancora largamente disatteso.

 

Le ripercussioni dello stato di emergenza

Lo stato di emergenza in Egitto è entrato in vigore il 10 aprile dopo le stragi rivendicate dallo Stato Islamico, che avevano colpito due chiese copte a Tanta ed Alessandria durante la domenica delle Palme. La misura dello stato di emergenza può comportare alcune limitazioni delle libertà fondamentali. Tuttavia, le ragioni legali e i poteri attraverso i quali il governo ha deciso di applicare la censura ai diversi siti di informazione sono ambigui. Non è chiaro se, dunque, siano applicate le disposizioni dello stato di emergenza, oppure se non siano altro che leggi ordinarie, le quali consentono la censura per motivi di sicurezza nazionale.

Infatti, secondo la Costituzione egiziana la censura dei mezzi di informazione è vietata, tranne in tempo di guerra e mobilitazione militare. Inoltre, è importante ricordare che nel 2015 al-Sisi aveva adottato una legge antiterrorismo, la quale prevede ammende ai giornalisti che pubblicano notizie contrastanti alle informazioni fornite dai comunicati ufficiali. Il documento prevede una sanzione che si aggira tra 200 e 500 mila lira egiziane, ossia tra i 23 e 57 mila euro. Le testate indipendenti più piccole sono state costrette, dunque, a scegliere tra l’autocensura e la chiusura, il più delle volte per ragioni economiche.

Il presidente del parlamento, Ali Albel’al, ha annunciato che la sorveglianza e la censura potrebbero coinvolgere anche i social network: Twitter, Facebook e YouTube. Secondo Ali Albel’al tali piattaforme sarebbero usate dai terroristi come strumenti per comunicare tra loro.

A tal proposito la proposta di legge del parlamentare Riyad Abdul Sattar imporrebbe la richiesta di  un’autorizzazione statale per l’utilizzo dei social network citati precedentemente.

Al fine di combattere il terrorismo e tutelare la sicurezza, gli iscritti per accedere a Twitter e  Facebook sarebbero costretti a ricevere dalle autorità dei codici di accesso, collegati ai propri documenti di identità. Gli inosservanti rischierebbero 6 mesi di carcere e una multa di circa 200 euro.

Cosa aspettarci per il futuro?

Molti sono portati a pensare che vi sia una stretta connessione tra la repressione delle libertà di espressione e informazione e l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali, che si terranno nel 2018.

Nel mirino dell’attuale presidente al-Sisi vi è anche l’ex candidato alle presidenziali del 2012, fondatore del partito di sinistra Pane e Libertà, importante attivista per i diritti umani, Khaled Ali.

Ali è stato arrestato lo scorso 23 maggio con l’accusa di “violazione della morale pubblica”. Il noto attivista per i diritti umani aveva da poco annunciato l’intenzione di candidarsi per le future presidenziali, proprio contro lo stesso al-Sisi. Ali rappresentava, dunque, una minaccia concreta all’autoritarismo del Cairo. “È tutto connesso alla sua attività politica e per i diritti umani. Veniamo puniti per le nostre politiche pulite”, ha dichiarato Adly, membro dello stesso partito.

In queste ultime settimane sono stati arrestati almeno altri 36 esponenti di cinque partiti di opposizione e gruppi politici giovanili. Secondo la direttrice delle campagne di Amnesty International per l’Africa del Nord, Najia Bounaim, le autorità “userebbero le leggi antiterrorismo per colpire anche giovani attivisti politici che criticano su Facebook il presidente al-Sisi”.

Così, sono state arrestate oltre 40 persone per aver utilizzato i social media con il fine di “incitare alla violenza” contro lo Stato.

La linea del pugno di ferro adottata dal governo egiziano sembra così avere un preciso scopo: eliminare la concorrenza, le voci dissidenti, per evitare sfidanti alle elezioni 2018.

Jessica Genova

Nata a Genova nel 1991. Si laurea in Filosofia e successivamente prosegue i suoi studi all’Università di Padova in Human Rights and Multi-level Governance. È Capo Dipartimento Diritti Umani di U.P.K.L., associazione che promuove l’insegnamento dei diritti umani attraverso lo sport, e membro osservatore della Commissioe HEPA. Interessata alle politiche e pratiche in materia di Diritto dei Rifugiati trascorre un periodo di due mesi al confine turco-siriano, collaborando con ASAM, Association for Solidarity with Asylum Seekers and Migrants. Al rientro entra a far parte del gruppo regionale sul fenomeno migratorio di Croce Rossa Italiana, ove svolge anche attività di volontariato. Hobbies e passioni sono da sempre viaggi e scrittura. Scrive per La Chiave di Sophia e Social News, approfondendo così le tematiche di Diritti Umani e Geopolitica. I diritti umani sono per lei una sfida e una speranza. 

Tags:

Rispondi