My Family’s Slave, una storia di moderna schiavitù

“Avevo una famiglia, una carriera, una casa in un sobborgo residenziale – il sogno americano. E poi avevo una schiava.” Così scriveva Alex Tizon, giornalista e vincitore del Premio Pulitzer, recentemente scomparso, in un articolo pubblicato nel numero di giugno del mensile statunitense The Atlantic. “My Family’s Slave” (“La schiava della mia famiglia”) racconta la vera storia di Eudocia Tomas Pulido, domestica vissuta per 56 anni alle dipendenze della famiglia Tizon, senza mai ricevere un compenso, e fa luce su una realtà molto spesso ignorata: la persistenza, nelle Filippine, Paese d’origine dell’autore, di forme socialmente accettate di schiavitù.

filippine the atlantic

 

La storia di Lola, schiava di famiglia

Eudocia Tomas Pulido, da tutti chiamata “Lola” (che in tagalog, principale lingua delle Filippine, significa “nonna”), era una lontana parente dei Tizon, di famiglia povera e altrimenti destinata a essere data in sposa dai genitori a un uomo molto più vecchio di lei. Negli anni Cinquanta, all’età di diciotto anni, il nonno dell’autore l’aveva portata a casa come dono per la figlia dodicenne. Quando quest’ultima seguì il marito negli Stati Uniti, anni più tardi, decise di portare Lola con sé, affinché si prendesse cura del figlio Alex e dei suoi quattro fratelli. Lola lavava, puliva la casa, cucinava, sbrigava qualsiasi faccenda domestica e curava i figli della coppia come fossero suoi. Il tutto senza mai ricevere in cambio lo stipendio che le era stato promesso, né senza poter mai far ritorno nella terra d’origine e visitare i propri cari. “Non ci sono soldi, non c’è tempo”, le dicevano. Il Signore e la Signora Tizon scaricavano su di lei le proprie frustrazioni, rimproverandola e punendola per qualsiasi sottigliezza o dimenticanza, e la tenevano nascosta agli occhi di tutti, amici e conoscenti. Perfino della legge. Quando il permesso di soggiorno che aveva inizialmente ottenuto negli Stati Uniti scadde e fu impossibile rinnovarlo, Lola diventò a tutti gli effetti una persona invisibile: un segreto di famiglia, relegata in un angolo di casa.

La servitù domestica nelle Filippine: violazione dei diritti umani o fatto culturale?

My Family’s Slave ha fin da subito suscitato forti reazioni a livello internazionale. In molti, pur senza nulla togliere allo spessore letterario dell’opera e alle capacità narrative di Tizon, hanno sostenuto che egli sembra voler alleviare il proprio senso di colpa, ripulirsi la coscienza dalla consapevolezza di essere stato, per un certo periodo della sua vita, dalla parte degli oppressori, piuttosto che ricordare e rendere omaggio alla vittima.

In generale, agli occhi del pubblico occidentale, il trattamento inflitto alla donna nulla ha di diverso da quello che subivano gli schiavi di colore al tempo degli imperi e del colonialismo e, come tale, è da condannare quale violazione dei più basilari diritti alla vita e alla libertà personale. Lo stesso Tizon, si evince dalla sua narrazione, nonostante fosse fin da sempre abituato alla presenza di Lola, crescendo in un contesto culturale molto diverso da quello di origine della sua famiglia, giunge a vedere la sua condizione come qualcosa di inumano e intollerabile. Egli stesso si chiede come sia possibile giustificare un tale gesto. Come può un simile sfruttamento essere socialmente accettato?

schiavitù stati uniti d'America

 

Se le reazioni occidentali sono state fin da subito di aperta condanna, dalle Filippine è giunta invece una richiesta diversa: di non lasciarsi andare a giudizi e condanne senza prima conoscere la realtà storica e culturale in cui si innesta tale fenomeno e da cui ha origine la vicenda di Lola e della famiglia Tizon. La servitù domestica è infatti diffusa da secoli nell’arcipelago, fin da prima della colonizzazione spagnola, e come istituzione è continuata ad esistere nel tempo, pur subendo variazioni e modifiche. Nella maggior parte dei casi, oggi, chi si ritrova in questa situazione proviene da una famiglia povera e accetta di prestare servizio in casa di qualche ricco parente, in cambio di vitto e alloggio. Un atto volontario, quindi, e non il risultato di una compravendita, come poteva essere nelle pratiche di schiavismo che siamo abituati a conoscere.  Anche Lola aveva coscientemente accettato di servire la famiglia Tizon, per sfuggire a un matrimonio combinato. Certamente e in ogni caso, anche questa forma di lavoro domestico andrebbe retribuita, così come dovrebbero essere garantiti alle donne impiegate giorni di riposo e la possibilità di fare visita ai propri famigliari. La violenza e l’oppressione perpetrate dai genitori dell’autore nei confronti di Lola non sono in alcun modo scusabili, ma, sottolineano i filippini, resta comunque il fatto che si tratta di una pratica così radicata nella cultura e nella storia della loro terra che, con tutta probabilità, i Tizon non riuscivano nemmeno a comprendere fino in fondo la reale gravità del loro comportamento.

Povertà e disuguaglianze: da dove nasce la moderna schiavitù

La questione della permanenza di forme di schiavitù nelle Filippine non può essere spiegata senza tenere in considerazione la profondità delle disuguaglianze sociali che ancor oggi affliggono il Paese. Pur essendo leggermente diminuito nel corso degli ultimi anni, il tasso di povertà continua ad attestarsi su livelli critici, con quasi un terzo dei filippini che vive con meno di due dollari al giorno. Per molti, accettare di servire qualche famiglia benestante resta l’unica prospettiva di uscire da una situazione di estrema precarietà, pur consapevoli dei rischi che ciò può comportare e di quanto breve il passo da lavoro domestico a servitù in fin dei conti sia. E, soprattutto, di quanto il compiere o meno tale passo spesso non dipenda da altro se non dalla benevolenza e dall’umanità del padrone di casa.

 

La richiesta che viene dalle Filippine, rivolta a quanti hanno letto e a quanti leggeranno My Family’s Slave, resta pertanto quella di non condannare acriticamente un atto che ha radici e motivazioni profonde e che non può essere assimilato a una mera pratica di sfruttamento. La crudeltà con cui i vecchi Tizon hanno trattato Lola negli anni non può essere perdonata, su questo tutti concordano. Ma l’abolizione di tale prassi sociale non potrà avvenire senza un incisivo intervento che vada nel senso dell’eliminazione delle forme più estreme di povertà che flagellano l’arcipelago, dello sviluppo economico e umano e di una più efficace educazione al rispetto dei diritti dell’uomo.

 

Alessia Biondi

Nata a Parma nel 1994 e residente a Vicenza, attualmente studio Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani all’Università di Padova e collaboro con SocialNews come parte di un progetto inerente al mio programma di studi. Da sempre appassionata di scrittura, lingue e viaggi ho tenuto per diversi anni un mio blog personale su questi temi. Mi interesso di diritti umani, storia e attualità e coltivo una grande passione per l’Estremo Oriente e le sue culture. 

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