Cina, dove i diritti umani sono un’illusione

A Bruxelles, alla vigilia del ventottesimo anniversario della strage di Piazza Tienanmen, si è svolto il vertice tra Cina e Unione Europea. La strage del 1989 aveva mostrato, agli occhi di tutto il mondo, la dura repressione impiegata dal governo cinese nei confronti di studenti e lavoratori che erano scesi in piazza a richiedere maggiori libertà e riforme.

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Oggi, la Cina, più moderna e più ricca, impedisce ancora ai suoi cittadini non solo di ricordare, ma anche di ottenere informazioni sulla strage tramite canali web. Nonostante sia divenuta una delle maggiori potenze mondiali, il comportamento verso le violazioni dei diritti umani non è cambiato.

Da qui parte la lettera che alcune organizzazioni non governative, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, hanno scritto e inviato ai rappresentanti delle istituzioni europee in vista del vertice UE-Cina. Viene sostanzialmente chiesto di alzare la pressione sul Paese asiatico affinché si impegni nel rispetto dei diritti umani auspicando che, in futuro, verrà chiamato a rispondere dei suoi abusi.

Cina, dove ricordare è vietato

Ogni anno, la Cina vieta qualsiasi tipologia di commemorazione della strage dell’89 adoperandosi sia sul web sia nel mondo reale affinché quell’evento resti un buco nero nella storia, al punto che la maggior parte dei giovani non sa nemmeno cosa sia accaduto. In occasione dell’anniversario, Pechino provvede a vietare o limitare l’accesso ad alcuni servizi internet, inclusi social network e posta elettronica per evitare qualsiasi richiamo alla strage. Allo stesso tempo Piazza Tienanmen viene presidiata dalle forze di polizia che arrestano gli attivisti per i diritti umani, compresi i partecipanti dell’89, che già hanno scontato una pena detentiva. L’ultimo sarebbe stato liberato solamente nel 2016, dopo ventisette anni di prigionia.  

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Attivisti in pericolo

In generale, tutti coloro che sostengono e si battono per i diritti dell’uomo, in Cina, rischiano l’arresto poiché commettono crimini contro “la sicurezza dello Stato”.

Nell’estate del 2015 è iniziata una dura campagna di repressione, la cosiddetta “709”, che ha portato all’interrogatorio o all’arresto di avvocati e attivisti. Alcuni di questi sono stati obbligati a delle ammissioni di colpevolezza in diretta tv durante gli interrogatori da parte della polizia che non ha risparmiato l’uso di torture, nonostante la Cina abbia ratificato la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Tra queste pratiche, l’assunzione forzata di farmaci per la cura dell’ipertensione, la privazione del sonno e il waterboarding. Non sono mai mancate le minacce alla vita della famiglia di ciascuno, che sono arrivate persino alla detenzione di parenti delle vittime.

Le motivazioni sono sempre le stesse, l’accusa è “sovversione, o incitamento alla sovversione”, contro il potere dello Stato, sulla spinta di non definite potenze occidentali il cui scopo è creare scompiglio all’interno del Paese.

Uno degli ultimi casi riguarda la scomparsa di tre attivisti cinesi di una ONG americana, China Labor Watch, impegnata nel contrasto allo sfruttamento lavorativo. I tre erano impegnati ad indagare sulle condizioni degli operai impiegati nell’azienda di Ivanka Trump, figlia del Presidente degli Stati Uniti d’America. Gli attivisti erano venuti a conoscenza di violazioni dei diritti dei lavoratori, come l’impiego di violenza verbale e il pagamento di uno stipendio al di sotto della soglia minima prevista, una situazione diffusa nel Paese. Eppure, le leggi di tutela del lavoro esistono, ma non sempre sono applicate e chi cerca di creare consapevolezza tra la popolazione sulla loro presenza finisce per scomparire o ricevere minacce.

La libertà di espressione non esiste

Se un cittadino cinese mostrasse pubblicamente il proprio dissenso nei confronti del regime, sarebbe, a sua volta, perseguito per sovversione.

Di recente, spiega il rapporto annuale di Amnesty International sulla Cina, il Governo ha intrapreso azioni per rafforzare la censura sulla rete. Sono moltissimi i siti web e servizi di social network stranieri, tra cui Facebook, Instagram e Twitter che sono rimasti bloccati.

La nuova legge sulla cyber sicurezza, giustificata anche dalla lotta ai recenti attacchi hacker e al cyber terrorismo, ha l’obiettivo di vietare l’utilizzo di server stranieri impiegati per far circolare informazioni che sarebbero altrimenti censurate. Allo stesso tempo, il Governo ha diffuso alcune linee guida per salvaguardare la cultura e l’ideologia nazionale con conseguenti controlli su attività non autorizzate, in cui rientrano l’editoria, il cinema, la televisione, anche estera, e gli spettacoli artistici.

Quella di religione esiste solamente sulla Carta Costituzionale

Il Governo ha il potere di limitare anche le pratiche religiose autorizzate con l’obiettivo di bloccare possibili infiltrazioni ed estremismo. Esamina ogni attività, inclusi i registri finanziari ecclesiastici, e mantiene il controllo sugli appuntamenti dei religiosi e sulle loro pubblicazioni.

In ogni caso, qualsiasi attività religiosa non considerata “normale” dallo Stato è proibita. Molti gruppi religiosi vengono classificati come “culti del male”. È questo il caso di un gruppo spirituale focalizzato sulla meditazione, vietato dal 1999, che continua oggi a soffrire di persecuzione da parte del Governo. Oppressa si ritrova ad essere anche la Chiesa cristiana che vede i propri sacerdoti, vescovi e laici venire internati. Ad aprile, ad esempio, Mons. Guo Xijin, vescovo sotterraneo di Mindong, è scomparso. Non riconosciuto dal governo, ma pastore ordinario della diocesi, si troverebbe nelle mani delle istituzioni per “studiare e imparare”, secondo quando riferito dalla polizia. L’ipotesi più probabile è che venga costretto all’iscrizione all’Associazione patriottica cattolica cinese che rappresenta la “chiesa ufficiale” posta sotto uno stretto controllo statale, opposta alla “chiesa sotterranea” rimasta fedele al Papa.

Nonostante le grandi evoluzioni avute nel corso degli anni, la Cina, uno dei fondatori delle Nazioni Unite, rimane uno stato autoritario che lede sistematicamente i diritti fondamentali delle persone riconosciuti nelle molteplici convenzioni a cui ha aderito. Tutto è un’illusione. Chi non pone lo Stato al di sopra di ogni valore, rappresenta un pericolo per quel regime che non risparmia nemmeno, nei casi estremi, l’utilizzo della pena di morte, pratica riguardo alla quale non esistono stime certe, ma che sicuramente è stata utilizzata più che negli altri Paesi del mondo. Se, da una parte, la promessa di trasparenza, si è tradotta in arresti e processi nei confronti di personalità corrotte anche a livello ministeriale, i cui dati sono stati resi pubblici, dall’altra tutto ciò che è distante dai valori imposti dal Partito comunista cinese finisce per essere soffocato.

 

Alice Pagani

Alice Pagani, nata a Verona il 21/06/95. Attualmente studente di Scienze Politiche, Relazioni Internazionali, Diritti Umani presso l'Università degli Studi di Padova. Da sempre lettrice accanita, amante di lingue, culture e nuovi posti da scoprire. SocialNews mi permette di coltivare la passione per la scrittura, applicando, allo stesso tempo, gli studi universitari. Cosa sono per me i diritti umani? Tutti quei diritti che spettano a ognuno in quanto essere umano presente sulla Terra, non sono ammesse discriminazioni. 

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