Musicisti contro la censura del regime jihadista

Gli attentati al Bataclan di Parigi e a Manchester hanno dimostrato nel modo peggiore come il terrore e l’annientamento della cultura da parte dei militanti jihadisti passi anche attraverso la censura della musica. Una censura che però è cominciata ben prima di questi attentati. Già dal 2014, infatti, i militanti di Al-Baghdadi hanno messo in atto ogni tipo di misura per eliminare la musica, dal sequestro degli strumenti musicali all’uccisione delle persone che la praticano o semplicemente l’ascoltano. Simbolico il rogo di batterie a Derna in Libia. La loro convinzione è che la musica sia contro la religione musulmana che loro, invece, devono preservare a tutti i costi. Per questa ragione, la distruzione dell’arte, della storia e della cultura passa, nella loro visione, necessariamente anche attraverso la censura della musica. Così molti musicisti, da varie parti del mondo, hanno deciso, tramite le proprie canzoni, di resistere e combattere questa guerra.

Ameen Mokdad, un violino a Mosul

Nel 2014, quando l’Isis decise di distruggere musicisti e strumenti, Ameen Mokdad fu costretto a nascondere i suoi “figli”, così chiama i suoi violini, nel seminterrato di casa e scappare con la famiglia a Baghdad. “Non dimenticherò mai il 10 giugno, è stato il giorno in cui è morta la musica”. “Non potevo più stare senza la mia musica, così decisi di andare a riprendermi i miei figli: tre violini, due chitarre e un violoncello”, fermato ai posti di blocco dai militanti jihadisti fu costretto a trasferirsi nella sua vecchia casa nel quartiere di al-Salam nel Mosul orientale. La sua unica via di fuga spirituale era quella di suonare in casa mettendo coperte sulle finestre per camuffare il suono. “Sentivo che, facendo questo, a mio modo, combattevo l’ideologia di Daesh”, ha detto. “Potevano togliermi la libertà, ma non il potere di esprimere me stesso”. Anche dopo il sequestro dei suoi strumenti, Ameen non si è arreso. “Non ho mai smesso di suonare e scrivere, per dare a me stesso e agli altri speranza. Il mio messaggio a Daesh attraverso la mia musica è che la speranza non può mai essere rubata”.

Tinariwen, dal Mali all’Europa per suonare l’altra faccia dell’Islam

I Tinariwen sono un gruppo musicale proveniente da Tessalit, nel nord-est del Mali. La loro musica mescola elementi blues, rock, world music e tradizione Tuareg.
Suonare in un’Europa colpita dall’Isis e far conoscere l’altra faccia dell’Islam è una missione importante. “Vorremmo che il pubblico uscisse dai nostri concerti con la sensazione di avere gli occhi più aperti sulla realtà del mondo. Non si può fare di tutta l’erba un fascio, i problemi attuali sono complessi ma non hanno nulla a che vedere con la religione. Si tratta, piuttosto, di una minoranza”.
Per loro “La musica sarà sempre un mezzo attraverso il quale l’individuo può conoscersi e riconoscersi. È un linguaggio che ci permette di esprimere ciò in cui crediamo e quello a cui aspiriamo. Per questo deve fare inevitabilmente parte della necessità di risveglio globale”.

Aeham Ahmad, un pianoforte per la Siria


Aeham Ahmad è cresciuto in un campo profughi palestinese alla periferia di Damasco. È lì che si è avvicinato alla musica classica, arrivando a diplomarsi al Conservatorio. É lì che ha conosciuto la violenza della guerra e ha reagito, portando il suo pianoforte per le strade. Un giorno, i miliziani dell’Isis hanno incendiato il suo amato strumento musicale e hanno ucciso un bambino che stava assistendo alla sua esibizione. Aeham è dovuto scappare e ha trovato asilo in Germania dove tuttora continua a suonare e a portare messaggi di speranza e pace. “La musica non può cambiare il mondo ma una buona musica e un buon musicista possono far pensare la gente, possono aprire la mente e gli occhi delle persone”.

Shaaban Abdel Rahim, dall’Egitto contro l’ISIS

Sha’bān Abdel Rahīm nasce a Il Cairo e dagli anni 80′ ed è uno degli esponenti maggiori della musica popolare in Egitto. Con le sue canzoni, dai testi schietti, critica senza mezze misure lo Stato Islamico: “Abu Bakr al-Baghdadi o principe dei criminali, sembri un pazzo circondato da un branco di pazzi”. Non stupisce che con queste parole abbia attirato a sé le attenzioni del gruppo terroristico che l’ha minacciato violentemente sui social network, emettendo anche diverse fatwa (editti religiosi) per condannarlo a morte. “Lascerò che sia Dio a decidere, temo solo Dio e non Daesh”, questa la risposta del cantante egiziano convinto della potenza della musica e della parola, capaci di influenzare le masse, nella lotta contro l’Isis.

Helly Luv, la resistente curda

Helan Abdulla, in arte Helly Luv, nata ad Urmia in Iran è una cantante curdo-svedese. Ha sempre dedicato un’attenzione particolare alla propria terra natia diventando un’icona popolare a sostegno dei peshmerga, le forze armate curde. Nel 2014 si è diretta nella città di Duhok, vicino al confine di Mosul in Iraq, durante la difesa contro l’Isis con la missione di consegnare cibo e acqua alle truppe. Ma Helan combatte il terrore jihadista anche attraverso la musica. Il suo singolo di successo, “Revolution”, ha scatenato l’ira degli uomini di Al-Baghdadi che l’hanno inserita nella “kill list”. “È una rivoluzione. Andiamo avanti a lottare. Non bisogna aver paura nel mondo. Uniamoci per far sapere loro che noi siamo qui”. Un messaggio di resistenza all’oppressione della minaccia jihadista.

Nella Tunisia di Mehdi “DJ Costa” Akkari e Dya Hammadi


Erano in prima linea durante la primavera araba. Ora i rapper DJ Costa e Dya Hammadi stanno rischiando il rapimento, la prigione e la morte per combattere l’Isis con l’hip-hop.
Dya ha iniziato a raccontare le ingiustizie del regime di Zine al-Abidine Ben Ali nel 2010 e ora è uno dei tanti rapper che parla contro lo Stato Islamico, il partito islamista Ennahda e la crescente influenza del salafismo in Tunisia. La musica di Rap in Tunisia è spesso estremamente politica e molti artisti della scena underground sono diventati icone culturali durante la rivoluzione del 2011. La loro musica parla ad una generazione assorta di una dittatura corrotta, dell’oppressione della polizia e della stagnazione economica. I rapper stanno usando la loro musica per influenzare la gioventù della Tunisia, allontanandola dal fondamentalismo islamista.

Leggermente diversa è la storia di Mehdi “DJ Costa” Akkari che ha iniziato a usare la musica in questo modo dopo che il suo fratello minore Youssef è partito per la Siria nel 2012.
“Per me, la guerra contro il terrorismo non è un conflitto armato ma una guerra culturale”, dice. “Il terrorismo è il mio nemico. E un rapper che non difende il suo popolo non è un rapper”. Come DJ Costa, Dya conosce i rischi dell’essere un rapper attivista. “Non mi renderò un bersaglio facile”, dice. “Ma rimarrò un musicista. Rimarrò una spina nel fianco di Daesh.”


Per farci capire meglio la scena underground presente oggi in Tunisia diventa interessante il progetto del documentario “Les Amoureux des Bancs Publics – la rue qui résiste avec l’art”. Prodotto dalla cooperativa Sunset Studio e scritto e diretto da Gaia Vianello e Juan Martin, racconta il mondo della street art come strumento di comunicazione e di impegno civile, di contestazione contro la politica e la società e riappropriazione giusta dello spazio pubblico. Secondo il co-regista Juan Martin: “L’arte diventa messaggio e strumento di cittadinanza attiva e può essere una risposta efficace all’avanzamento dell’oscurantismo islamico.”

Isaac de Martin e Alaa Arsheed: progetto Seeds_I play with Mozart

Il progetto “Seeds” è nato dall’incontro tra Isaac de Martin, musicista e compositore italiano e Alaa Arsheed, violinista e compositore siriano rifugiato in Italia. Il sogno nel cassetto era quello di intraprendere un viaggio per l’Europa incontrando persone attraverso la musica. Lo scopo, dice Isaac, è quello di: “Abbattere le frontiere e unire le persone attraverso un linguaggio universale come quello rappresentato dall’arte stessa.”. Un modo per creare qualcosa di bello in un mondo lacerato dalla guerra.

seeds I play with Mozart Alaa Arsheed

 

 

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