Il viaggio migrante, destinazione inospitalità

Il mare è dove tutto ha inizio.

Mare di sogni, mare di morte. Mare che inghiotte, mare che restituisce. Mare di speranza, mare di stragi. Mare di bambini che nuotano, mare di bambini che affogano. Mare che dà, mare che toglie. Mare e sabbia, sabbia del deserto da attraversare per raggiungere il mare. Sabbia e acqua che diventano fango, vita affidata al fango, al fango del villaggio che si abbandona per cercare di non morire, per non lasciare morire genitori, moglie e figli. Con queste premesse di speranza cieca e piena, ci si lascia alle spalle una vita giovane e ancorata ai sogni di una terra promessa che consentirà di lavorare, di mandare soldi alla famiglia, forse di tornare un giorno. Ma è una terra che non vuole questa speranza, che la getta via perché non è il Paese dei balocchi o dei buonisti. Non c’è accoglienza o solidarietà. Così si inaugura la terra dell’inospitalità.

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Proprio questo è l’argomento dell’incontro “Migrazioni e (in)ospitalità: viaggio nell’Europa che accoglie tra frontiere e diritti” organizzato da The Bottom Up all’interno di IT.A.CÀ, migranti e viaggiatori, Festival del Turismo responsabile a Bologna. Grazie agli interventi degli ospiti, Anna Meli di Cospe onlus, Pierluigi Musarò dell’Università di Bologna, Paola Tracogna di Ospiti in Arrivo, Yasmine Accardo di LasciateCIEntrare e Tommaso Gandini della campagna Overthefortress, si è parlato dei migranti, dei problemi legati all’accoglienza o, per meglio dire, al suo contrario, delle ingiustizie e torture a cui sono sottoposte le persone che arrivano sulle coste italiane dopo la traversata in mare dalla Libia, se ci arrivano. Ma mentre si discuteva, da qualche parte in Italia c’era chi dava la colpa ai migranti che rubano il lavoro. Colpa dei migranti se c’è la criminalità, colpa dei migranti se c’è la crisi, loro si prendono i nostri soldi che diamo allo Stato e pretendono diritti che non hanno, si prendono le nostre case, violentano le nostre figlie. E allora probabilmente l’unica cosa da fare è chiudere gli occhi e fingere di essere un migrante per combattere l’ignoranza dilagante.
L’ignoranza genera paura, la paura genera l’odio, e l’odio verso lo straniero non è una cosa che appartiene al Paese dell’ospitalità per eccellenza. E allora chiudiamo gli occhi un attimo, e fingiamo di essere nati dalla parte sbagliata del mondo, quella sfortunata con le tende, poco cibo e poca acqua, tante malattie e poche cure mediche, poco lavoro e pochi soldi.

Un momento dell’incontro a Bologna. Fonte: The Bottom Up.

Immaginate di svegliarvi una mattina e capire di essere costretti ad emigrare. E non salendo su un aereo, salutare la famiglia e tornare durante le vacanze. Emigrare attraversando il deserto a piedi o su macchine affollatissime quasi rotte, e poi attraversando il mare su barche e gommoni sovraffollati che non sarebbero adatti nemmeno per un piccolo giretto al largo. E immaginate di salutare i vostri genitori, moglie e figli, con la speranza di rivederli un giorno, sperando di non morire. Inghiottite quel magone che vi strozza, e andate. Così inizia un viaggio lunghissimo, faticoso e senza garanzie. Ma se per caso riuscite a non morire, se per caso siete tanto fortunati da arrivare in Italia a bordo delle navi della Guardia Costiera e delle ONG, allora non siate così contenti, perché l’odissea non è finita. Siete arrivati nel Paese che vi odia, che vi guarda e non vede un essere umano, ma un parassita da mandare via, da schiacciare. Nessun documento, nessuna residenza, quindi nessun lavoro. E così siete costretti a marcire dentro centri di accoglienza che non sono adatti a un numero così alto di persone, anche se il vostro progetto non era quello di rimanere in Italia. Immaginate di essere affidati a poche persone che fanno del volontariato la loro missione, e di vivere in un comune che non vi vuole. Immaginate di essere sfruttati dal caporalato fino allo stremo delle forze, di vendere fazzoletti e braccialetti per strada. Non era certo questo l’obiettivo di tanta fatica, eppure adesso è questa la vostra vita.

caporalato

 

E gli Enti locali? E lo Stato? Perché i volontari sono stati lasciati soli? Un esempio eclatante è quello del Friuli Venezia Giulia, dove su 218 comuni solo in 68 promuovono l’accoglienza e solo in 10 hanno attivato dei progetti SPRAR. Sono proprio i progetti che dovrebbero avere un ruolo importantissimo per l’accoglienza, progetti che includano corsi di italiano di base, fondamentale per l’integrazione. Ma prima dell’attivazione dei progetti, si dovrebbe puntare l’attenzione alle procedure inumane attuate nei porti che accolgono i migranti. Negli hotspot, centri di identificazione dei migranti, avvengono vere e proprie torture nei loro confronti. Ma questo non si denuncia, come non si denuncia la presenza della mafia all’interno degli appalti dei centri di accoglienza. Si preferisce puntare il dito sui presunti accordi tra ONG e trafficanti, perché oltre alla criminalizzazione dei migranti si criminalizza anche chi li aiuta, con le denunce o con l’abbandono.

Non siamo quindi il Paese dei balocchi, e nemmeno dei buonisti. Siamo un Paese che non sa accogliere chi scappa dalla guerra e dalla povertà con occhi che hanno visto immagini che noi, nati nella parte bella del mondo, non abbiamo mai visto e, probabilmente, non vedremo mai. Non si mette in dubbio che ci siano persone i cui obiettivi non sono dei più nobili, ma per quelle c’è un sistema giudiziario. L’obiettivo dell’accoglienza, invece, è di proteggere chi scappa, offrendo opportunità per un futuro migliore e per dare un senso a tutta quella fatica e a quel coraggio. Si tratta di esseri umani, uomini, donne e bambini che non chiedono altro che vivere con dignità, trovare un lavoro, andare a scuola, giocare, mangiare e bere quando il corpo lo richiede, non morire per l’influenza. È davvero così strano?

 

Adesso potete riaprire gli occhi. Per voi l’incubo è finito.

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Luana Targia

Luana Targia nasce a Palermo nel 1993. Studia lingue, e nel 2016 si laurea in Scienze della comunicazione per i media e le istituzioni all'Università degli studi di Palermo. L'incertezza per il futuro la porta a Londra per due mesi, dove lavora come ragazza alla pari e vive la Brexit in diretta. Torna a casa consapevole che non ci rimarrà per molto, e infatti pochi mesi dopo si trasferisce a Bologna per intraprendere il percorso di laurea magistrale in Comunicazione pubblica e d'impresa. Ama leggere e scrivere, è appassionata alle cause perse, ai diritti umani, alla lotta alla mafia. Probabilmente scrivere è l'unica arma che possiede. 

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