L’inquietante parallelo tra alcune zone del meridione dell’Italia e quelle degradate delle megalopoli dell’America Latina dove miriadi di ragazzi crescono facendo del crimine il proprio modello di vita
Anna Fresu
Potrebbero chiamarsi Rosario o Tito, oppure Manuel, José. Forse Julia. Potremmo essere a Napoli, a Cosenza, a Palermo. O, forse, a Rio de Janeiro, Bogotà, Città del Messico, Buenos Aires… Li incontriamo in un quartiere periferico, come Scampia, in una favela o in una “villa miseria”. Le storie non sono poi così diverse.
I personaggi simili: bambini, adolescenti. A volte, anche bambine. Tutti figli di madre Povertà.
Non solo disoccupazione, ma anche famiglie spesso disfunzionali, modelli socio-culturali indotti o senza alternative, marginalità, crisi di identità o di appartenenza, assenza dello Stato. Bambini disperati, prodotti di un ambiente deprivato e travolti da un destino che non possono controllare. Soffrono quasi in maniera deterministica. “Senza salvezza e senza redenzione”. Facile possano subire, come afferma il magistrato Marco Bouchard, “la forza carismatica che il modello criminale è in grado di esercitare… nell’immaginario di molti ragazzini in cerca di identità”. A volte, anche su bambini non necessariamente emarginati, come sostiene lo psicologo Mario Schermi. Farsi attrarre dal modello sociale proposto dalla criminalità organizzata è il modo più facile per sentirsi adulti e uscire dall’anonimato.
La violenza diventa, così, occasione di promozione sociale e soddisfa il bisogno di appartenenza ad un modello considerato vincente. “Io voglio diventare un boss. Voglio avere supermercati, negozi, fabbriche, voglio avere donne. Voglio tre macchine, voglio che quando entro in un negozio mi devono rispettare, voglio avere magazzini in tutto il mondo. E poi voglio morire. Ma come muore uno vero, uno che comanda veramente. Voglio morire ammazzato” (lettera di un ragazzino rinchiuso in un carcere minorile, cit. in Saviano, Gomorra, 2006, 129). Bambini.
Come osserva don Tonino Palmese, parroco di Portici, referente per la Campania di Libera e coordinatore del movimento anti camorra, vanno a costituire “un esercito invisibile di minori aggregati alla criminalità organizzata, ragazzi che si stanno convincendo che guadagnare a tutti i costi è bello”.Il fenomeno dei bambini-soldato, reclutati come manovalanza dalla criminalità organizzata per compiere furti, rapine e persino omicidi su commissione, per il trasporto di droga o armi, è in costante aumento in Italia e nel resto del mondo. Una particolare incidenza va sottolineata in America Latina, dove, oltre al narcotraffico e al traffico di armi, sono coinvolti anche nella tratta di persone. La presenza di organizzazioni criminali è naturalmente più forte nei Paesi che si trovano sulla rotta del narcotraffico, come Messico o Colombia, o come in altre metropoli latino-americane.
Il facile accesso alle armi da fuoco e l’elevato numero di queste in mano a privati contribuiscono ad aggravare il clima di insicurezza e di violenza.
La relazione della Commissione Interamericana dei Diritti Umani constata con profonda preoccupazione le condizioni di vita in cui vivono bambini e adolescenti in contesti dominati dalle organizzazioni criminali e nei quali la presenza dello Stato e delle sue istituzioni è molto limitata o quasi assente.
In queste zone, molti minori subiscono pressioni, minacce, inganni al fine di essere attratti nei gruppi criminali. Altri si avvicinano spontaneamente, alla ricerca di opportunità, riconoscimento, protezione. Di un senso di appartenenza che, altrimenti, non riuscirebbero ad ottenere. Entrati nell’organizzazione, bambini e adolescenti vengono usati e abusati. Gli adulti li considerano pezzi prescindibili e intercambiabili e affidano loro azioni rischiose per la loro integrità fisica e per la possibilità di essere arrestati. Molti di loro, soprattutto quelli che si dedicano allo spaccio, sono, a loro volta, consumatori abituali. La tossicodipendenza rappresenta una delle strategie dei narcotrafficanti per attirare e coinvolgere nuovi elementi nelle loro attività. La struttura di queste organizzazioni è gerarchica, con norme disciplinari molto strette che implicano l’impiego della violenza qualora non vengano rispettate o si contravvenga agli ordini dei superiori. La violenza porta anche a vere e proprie esecuzioni.Uscire da queste organizzazioni non è facile. E’ a rischio la propria incolumità, se non la propria vita.
Anna Fresu, collaboratrice di SocialNews, regista, autrice, e studiosa di letterature africane