Francia, un modello di integrazione da rifare

Liberté, Égalité, Fraternité. Questi i principi che sin dal ‘700 sono alla base della Repubblica Francese e di quei valori di condivisione che hanno reso la Francia il paese europeo più aperto nei confronti dell’immigrazione. Il modello di integrazione francese è di tipo assimilazionista ed è basato sulla concezione di uno stato laico che non riconosce diritti e trattamenti speciali alle minoranze etniche, ma che anzi favorisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.

Ottenere la cittadinanza francese è semplicissimo. In particolare, i bambini nati in Francia da genitori stranieri acquisiscono la cittadinanza a 18 anni compiuti se in quel momento sono residenti in Francia o se hanno avuto la propria residenza abituale per un periodo di almeno 5 anni. Si può diventare cittadini francesi già a 16 anni, o addirittura a 13, se il diretto interessato presenta una dichiarazione all’autorità competente, o se i genitori la reclamano per lui nel caso in cui si la “residenza abituale” per 5 anni decorre dall’età di 8 anni. Infine, in base al principio dello ius soli, se uno dei due genitori è nato nel Paese, il figlio acquisisce automaticamente la cittadinanza francese.

Dal punto di vista del credo, è vietata qualsiasi esternazione di origine religiosa, a partire dal velo integrale che le donne musulmane non possono in alcun modo portare. L’obiettivo è dei più nobili: cercare a tutti i costi la completa integrazione con i valori e la cultura francese ed evitare l’esternazione di qualunque elemento che possa evidenziare la differenza culturale e religiosa.

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Ma funziona davvero così? Il problema del modello francese è che ha creato al suo interno delle lacune che nessuno ha saputo risolvere. Non mostrare in pubblico segni della propria cultura e religione non vuol dire, per esempio, rispettare quella del Paese ospitante. Non poterlo fare, piuttosto, obbliga una sorta di privazione di qualcosa che si ha sin dalla nascita. Questo ha enfatizzato una ghettizzazione che ha preso forma nelle banlieue, quartieri della periferia di Parigi, dove vivono gran parte degli immigrati di origine musulmana. La situazione reale, quindi, non rispecchia i valori del modello di integrazione. Sostiene Stefano Allievi, sociologo e direttore del master sull’Islam in Europa dell’Università di Padova: “La cittadinanza dovrebbe essere un motivo di integrazione, invece in Francia porta ad un aumento della frustrazione, perché è solo giuridica e non reale. Per gli immigrati che vivono nelle banlieue ci sono servizi più scarsi, scuole peggiori, più disoccupazione e più controlli. Questo porta a chiedersi: ‘Perché siamo francesi di serie B?’”. E ancora:  “Il problema non è imporre il divieto di portare il velo integrale ma imporre ‘il vocabolario della Repubblica’, la mentalità francese, a tutti. Quindi, per storia e ideologia si arriva a negare la realtà. Ricordo a questo proposito che è stata la Francia ad impedire che fossero citate le radici cristiane nella Costituzione dell’Unione europea. Ma di fatto, norme come quelle che riguardano i simboli religiosi, vengono applicate effettivamente solo contro i musulmani”.

Questo clima di insoddisfazione ha creato un terreno fertile per la diffusione dell’ala musulmana estremista legata allo Stato Islamico. I recenti attacchi avvenuti in Francia dimostrano che questo modello di integrazione non funziona da anni, impedendo di fatto alle nuove generazioni di integrarsi e di sentire come propri quei valori che la rendono, almeno in teoria, il Paese con più agevolazioni per gli immigrati. Non è una novità, infatti, che gli attentatori fossero quasi sempre nati e residenti in Francia da anni.

Poteva non approfittare delle falle della sicurezza francese il Front National di Marine Le Pen? Sarebbe stato un inutile spreco non nutrirsi dell’ondata di razzismo, un mostro nero che ha preso forma sempre più in fretta. Quindi, invece di risolvere alla base le crepe di un modello di integrazione che cade a pezzi e di dare giustizia ai valori che sono intrinseci della cultura francese, la Le Pen ha dato il via a una campagna elettorale atta a distruggere il concetto stesso di integrazione. Una corsa presidenziale basata sul nazionalismo, noi sì e loro no, nuove politiche sull’immigrazione, via dall’Unione Europea, via dall’Euro, via da Schengen, via lo ius soli, penalizzazioni per le imprese che assumono stranieri, viva la Francia che appartiene ai francesi. E così, anni di integrazione fragile e apparente si riducono a una serie di politiche volte all’esclusione piuttosto che all’inclusione, cittadini di serie A e cittadini non cittadini, un’idea chiusa nello scheletro della paura che genera l’odio. E non è che ci sia niente di male a valorizzare il proprio Paese, purché però non si rischi di diventare quelli che chiudono il cancello mentre c’è un ricco banchetto in corso.

Il prossimo 7 maggio vedremo se i francesi scelgono di chiudere il cancello, oppure di dare una possibilità a Emmanuel Macron, liberale progressista che fino ad ora ha dato filo da torcere a Marine Le Pen. Vedremo se i francesi riterranno opportuno ricordare quel famoso motto della Rivoluzione Francese: Liberté, Égalité, Fraternité.

 

(Socialnews parla delle elezioni qui)

 

Luana Targia

Luana Targia nasce a Palermo nel 1993. Studia lingue, e nel 2016 si laurea in Scienze della comunicazione per i media e le istituzioni all'Università degli studi di Palermo. L'incertezza per il futuro la porta a Londra per due mesi, dove lavora come ragazza alla pari e vive la Brexit in diretta. Torna a casa consapevole che non ci rimarrà per molto, e infatti pochi mesi dopo si trasferisce a Bologna per intraprendere il percorso di laurea magistrale in Comunicazione pubblica e d'impresa. Ama leggere e scrivere, è appassionata alle cause perse, ai diritti umani, alla lotta alla mafia. Probabilmente scrivere è l'unica arma che possiede. 

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