Che cos’è il populismo?

Quand’è che un partito, un attore politico o una proposta politica possono essere chiaramente ed inequivocabilmente etichettati con l’aggettivo populista?

Diego Ceccobelli

Che cos’è il populismo? Quand’è che un partito, un attore politico o una proposta politica possono essere chiaramente ed inequivocabilmente etichettati con l’aggettivo populista? Rispondere a queste due domande non è un compito semplice. Oggi, la risposta sarebbe: “Dipende”. Nello specifico, dipende sia dalla definizione utilizzata, sia dalla differenza esistente tra il dibattito scientifico sul concetto di populismo ed il suo utilizzo quotidiano al di fuori dei circuiti accademici. Di fatto, è come se esistessero due populismi. Da un lato, il populismo secondo gli scienziati politici; dall’altro, quello proprio di attori politici, giornalisti, cittadini, il populismo così come viene utilizzato nel dibattito pubblico quotidiano.

Il Populismo nel dibattito pubblico quotidiano

In Italia, negli ultimi 20-25 anni, al concetto di populismo sono stati associati quattro fenomeni differenti:

Personalizzazione = populismo

Questa prima associazione è il frutto della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi. Un partito personale come Forza Italia sarebbe un partito populista proprio perché strettamente legato alle preferenze e alle fortune politiche del suo leader. Un partito il cui collante non è rappresentato da un complesso sistema di valori e credenze, ma dalla presenza di una persona sarebbe, dunque, un partito populista.

Politica pop = populismo

Anche in questo secondo caso tutto nasce con l’ingresso di Silvio Berlusconi nell’agone politico italiano. Nel dibattito politico quotidiano, sviluppare una comunicazione pop è divenuto sinonimo di populismo. Ogni intervista di Berlusconi su una rivista di gossip come Chi o le sue partecipazioni al Processo di Aldo Biscardi sono divenute fin da subito sinonimo di populismo perché si discostavano da uno stile comunicativo più istituzionale, maggiormente conforme a quanto ci si aspetterebbe da un leader politico. Espressioni di populismo sarebbero, pertanto, anche tutte le prime pagine di Matteo Renzi su Chi o la famosa intervista di Mario Monti alle Invasioni Barbariche, programma andato in onda fino alla primavera del 2015 su La7, in cui sorseggiò una birra e “adottò” il cagnolino Empty.

Nuovi partiti = populismo

Quasi tutti i nuovi partiti nati negli ultimi 20-25 anni, in Italia e all’estero, sono associati al termine populismo. Populista è Forza Italia, la Lega Nord o il MoVimento 5 stelle, così come populista è Podemos in Spagna, lo UKIP in Gran Bretagna o l’Alternative für Deutschland in Germania.
Partiti differenti, di destra e di sinistra, sono oramai etichettati con l’epiteto populista. Populisti, sembrerebbe, solo per il fatto di essere nuovi e diversi rispetto ai partiti frutto o eredi degli apparati ideologici di matrice ottocentesca e novecentesca, come, ad esempio, il PD in Italia, la CDU e la SPD in Germania, il PP e il PSOE in Spagna.

Demagogia = populismo

Nel dibattito quotidiano, infine, Populismo è sinonimo di demagogia. Anche quando un attore politico prova ad ottenere il consenso dei cittadini con promesse difficilmente realizzabili, ossia, dizionario alla mano, la definizione di demagogia, starebbe producendo del populismo.
Tuttavia, come ha scritto recentemente Paolo Mancini nel suo Il Post Partito, c’è un filo rosso che lega il presunto legame tra il concetto di populismo e questi quattro fenomeni: “…ciò che emerge da queste discussioni è che ‘era meglio prima’”. Nel dibattito pubblico quotidiano, populismo è pertanto divenuto sinonimo di ogni tipo di tratto e peculiarità associati a quegli attori politici non tradizionali e, a vario livello, anti-sistema.

Il populismo in ambito accademico

La discussione sul concetto di populismo ha seguito tutta un’altra strada all’interno della letteratura scientifica.
Anche in ambito accademico, comunque, più che di populismo si può parlare di populismi. Non è un caso, infatti, se, nel 2010, Ilvio Diamanti ha sostenuto l’idea del populismo come una “definizione indefinita”. Nella letteratura scientifica non esiste un’unica definizione di populismo.
C’è chi lo ha definito come uno stile comunicativo (Jan Jagers e Stefaan Walgrave), chi come una strategia (Kurt Weyland), chi come un’ideologia (Cas Mudde) e chi come una logica politica (Ernesto Laclau). Anche all’interno del dibattito scientifico sul significato del termine populismo, insomma, la risposta alla domanda “che cos’è” diviene, di nuovo, “dipende”. A prescindere da questa galassia di definizioni, gli scienziati politici sono abbastanza concordi nel considerare quella proposta dallo scienziato politico olandese Cas Mudde come “la” definizione di populismo.
In ambito accademico, pertanto, con il termine populismo si intende un’ideologia dal cuore sottile, la quale considera la società essenzialmente divisa in due gruppi omogenei, le persone oneste [pure] contro le elite corrotte e che ritiene che la politica debba essere un’espressione della volonté générale (volontà generale) del popolo. Ciò significa che né la presenza (o meno di) personalizzazione, popolarizzazione (politica pop) o demagogia hanno alcuna relazione sostanziale con il concetto di populismo. Nel dibattito scientifico, populiste sono unicamente quelle forze politiche che sviluppano un programma e messaggi nei quali il popolo, visto come unità unica e indivisibile (rifiutando, quindi, il concetto di pluralismo) e portatore di valori positivi, viene opposto alle élite (politiche, economiche, finanziare, ecc.) considerate corrotte (contrapponendosi, quindi, al concetto di elitismo, l’opposto di populismo).
Facendo alcuni esempi, nessuno dei quattro casi seguenti denota, pertanto, la presenza di populismo. In nessuno di questi quattro casi è presente un partito o un leader politico che sviluppino un messaggio in cui venga formulata una divisione manichea tra saggezza popolare ed élite, qualunque esse siano, corrotte. La partecipazione di Renzi ad Amici, l’intervista di Salvini su Oggi, Enrico Rossi che pubblica una foto sulla sua pagina Facebook mentre munge una mucca sono una semplice espressione di quello che Gianpiero Mazzoleni e Anna Sfardini, in un loro libro edito nel 2009, hanno denominato “politica pop”.
Infine, non c’è alcun tipo di populismo neppure nel post pubblicato sulla pagina Facebook del MoVimento 5 Stelle, in cui è semplicemente presente una fortissima personalizzazione condita con una comunicazione pop, come testimoniato dalla presenza del cuoricino. Viceversa, i quattro post Facebook seguenti indicano quattro tipici, secondo la letteratura scientifica, esempi di populismo: il post del MoVimento 5 Stelle è populista perché è presente un richiamo diretto ed esplicito alla volontà popolare da opporre ad una non meglio specificata élite sorda agli interessi del popolo. Il post della Lega Nord attacca apertamente le élite, in questo caso quelle politiche europee e finanziarie. Nigel Farage, in maniera quasi ideal-tipica, incarna la definizione di populismo di Cas Mudde parlando di popolo contrapposto alle élite ignoranti e corrotte.
Infine, il post di Salvini è populista perché individua in un nemico esterno, quello che la letteratura scientifica denomina “l’altro pericoloso”, una potenziale minaccia alla presunta omogeneità del popolo che lui intende rappresentare.
Per la letteratura scientifica diventa pertanto fondamentale non confondere i termini, come “personalizzazione”, “politica pop” e “populismo”, che denotano fenomeni completamente differenti.

Facendo alcuni esempi, nessuno dei quattro casi seguenti denota, pertanto, la presenza di populismo.

La personalizzazione ha a che vedere con l’aumento della visibilità e della rilevanza dei leader a discapito dei partiti, la politica pop con la commistione tra la politica e la cultura popolare, mentre il populismo è una ideologia con caratteristiche precise e ben definite: considera “la società divisa in due gruppi omogenei, le persone oneste [pure] contro le élite corrotte”. Delimitare chiaramente i confini che dividono i
concetti di “politica pop” e “populismo” è uno degli aspetti più importanti per cercare di definire al meglio il populismo.
Ci sono quattro tipi di attori politici:
i) populista-pop:
ii) non populista-pop;
iii) non populista-non pop;
iv) populista-non pop.

Significa che non tutti i leader pop sono al contempo populisti, e viceversa. Matteo Renzi, Barack Obama e Justin Trudeau, ad esempio, appartengono al tipo 2, visto che sono forse tre dei leader contemporanei più pop, ma non sono associati dalla letteratura scientifica al concetto di populismo. Sebbene con differenti modalità e intensità, tutti e tre ricorrono alle persone e alle vicissitudini della propria vita privata, utilizzano e interagiscono con gli ambienti mediali, le retoriche, gli attori stessi appartenenti al mondo delle celebrità della televisione, della musica, dello sport e del cinema; oppure riproducono e interpretano gli stili di vita e la quotidianità dei cittadini, gli usi e costumi e le prassi dominanti della cultura
popolare di riferimento. Queste tre pratiche sono espressione di ciò che in Italia chiamiamo politica pop. Come abbiamo appena visto, non hanno nulla a che vedere con il concetto di populismo così come viene definito e utilizzato in ambito accademico. Renzi, Obama e Trudeau sono, pertanto, tre leader politici pop, ma non populisti, visto che, nei loro programmi e nei messaggi, il popolo non viene idealizzato come un’unità unica e indivisibile da opporre a delle élite corrotte e incapaci di risolvere i problemi dei cittadini.

Marine Le Pen e Alexis Tsipras sono invece considerati due esempi emblematici di leader populisti, ma non pop (tipo 4); Berlusconi, Grillo e Salvini appartengono, invece, al tipo 1, essendo tre leader sia pop, sia populisti; infine, Massimo D’Alema, Angela Merkel e Francois Hollande sono tre tipici esempi di leader né pop, né populisti (tipo 3). Resta comunque vivo un problema di fondo: anche dopo aver chiarito quella che dovrebbe essere l’unica definizione di populismo dalla quale attingere per etichettare (o meno) un attore politico come populista, in che modo l’utilizzo di questo termine ci sta (o meno) aiutando a comprendere e decifrare i processi politici
contemporanei? A prescindere dalle differenze tra l’uso quotidiano nel dibattito pubblico di populismo e la sua concettualizzazione dominante (sebbene con non poche critiche) in ambito accademico, appare evidente come più che permettere una migliore e profonda comprensione dei fenomeni politici, l’utilizzo concreto di questo termine stia, nei fatti, contribuendo a creare una confusione sempre più controproducente. Allo stesso modo, è innegabile che anche il dibattito presente in ambito accademico non stia aiutando a risolvere e superare questa confusione. Non c’è convegno o rivista scientifica in cui non ci si interroghi sull’effettiva portata esplicativa della definizione di Cas Mudde e di come utilizzare altre e nuove definizioni maggiormente in grado di offrire una piena e corretta spiegazione al fenomeno del populismo. Chi scrive pensa che populismo sia oramai un termine “perso” e “da buttare”. Una parola incapace di descrivere con assoluta
chiarezza alcun fenomeno politico, quindi, nella migliore delle ipotesi, inutile, nella peggiore, come appena detto, controproducente. Meno associamo leader come Salvini, Grillo, Iglesias, Tsipras, Farage, Le Pen o Trump al concetto di populismo, più, forse, saremo in grado di capirne il successo e, soprattutto, il significato storico e politico.

Diego Ceccobelli, ricercatore in Comunicazione Politica presso la Scuola Normale Superiore

Articolo pubblicato originariamente su ValigiaBlu.

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