Perché il popolo sceglie Napoleone, Hitler e Trump?

La storia di ripete, non è certo una novità. Siamo, però, in grado di riconoscere l’eterno ritorno dell’uguale? Siamo diventati capaci di accorgerci quando qualcosa di terribile o di grandioso si prospetta di fronte a noi? Siamo, infine, capaci di imparare dai nostri errori per evitarli?

La Brexit, Trump Presidente, il successo di Marine Le Pen tra i francesi, l’appeal che il terrorismo islamista ha sulle giovani generazioni anche in Europa sembra smentire le nostre capacità di comprensione. Eppure, come sottolinea Giovanni De Mauro su Internazionale, “Tranne poche eccezioni, alla fine degli anni trenta quasi tutti i giornalisti statunitensi si erano resi conto del loro errore di valutazione [ovvero aver sottovalutato Hitler, ndr]. Dorothy Thompson, che nel 1928 aveva definito Hitler un uomo di “sorprendente insignificanza”, nel 1935 ammise che “nessun popolo riconoscere un dittatore in anticipo”, perché “non si presenta alle elezioni con un programma dittatoriale” e “si definisce uno strumento della volontà nazionale” e popolare, aggiungo io.

L’elemento cruciale è la necessità di prendere in considerazione l’indole umana, qualcosa che è sì condizionato dallo sviluppo sociale, ma che riemerge nelle situazioni di difficoltà e che regola la logica dei grandi gruppi. La maggior parte delle persone, infatti, persegue il proprio interesse personale piuttosto che quello collettivo ed è incline a seguire chi si propone di poterlo garantire. Ogni situazione di difficoltà o malessere, povertà, ingiustizie sociali, crisi economiche, portano ad un malcontento che risulta dalla somma delle richieste dei singoli interessi. Per prendere il controllo delle masse è quindi necessario individuare le necessità e garantire le soluzioni. Ma ci vuole quel quid in più, ed in genere questo è dato da notizie improbabili, che provocano paura o umiliazione, oppure da risvolti religiosi o spirituali che con il “dogma” permettono speranze non verificabili. La differenza la fanno quindi quei soggetti capaci di aggregare i singoli sfruttando le sofferenze ed amplificandole a proprio piacimento alimentando paure ed esigenze in modo da avere il consenso per il raggiungmento di un potere personale che nulla poi ha a che vedere con il benessere della popolazione.

storia rivoluzione franceseSe pensiamo alla Rivoluzione Francese, osserviamo che l’ideale e le motivazioni che l’hanno stimolata erano assolutamente nobili, tuttavia per fare breccia nel cuore del popolo bisognava parlare alla “pancia”. È stato “necessario” che le persone soffrissero singolarmente, che percepissero la presa in giro di un potere autoritario ed opulento. Soffrire la fame era la quotidianità, ma già al tempo erano state diffuse notizie false per aumentare il senso di umiliazione. Ricordate la famosa frase di Maria Antonietta “Che mangino brioche”? È un comprovato caso di fake news in salsa settecentesca che ha avuto un forte, fortissimo impatto sulle persone che non avevano gli strumenti per verificare se fosse vera oppure no.

Non è, purtroppo, il solo esempio di come l’utilizzo di notizie false abbia influenzato le masse fino al punto in cui solamente una figura autoritaria è stata capace di restituire l’ordine e la sicurezza. Non è andata in maniera troppo differente con il Nazismo che, di fatto, si fonda su varie “fake news” come quella della superiorità della razza ariana su tutte le altre. Oppure con il potere sovietico e russo che alimenta costantemte da Stalin a Putin i miti dei loro dittatori. Fino ad arrivare alle promesse, negli estremismi religiosi, di paradisi traboccanti di opulenza materiale.

Purtroppo questi moti rivoluzionari, basati su sofferenza e falsità, diventano nel medio termine distruttivi per il popolo. Di nuovo l’esempio della Rivoluzione del 1789 ci fornisce strumenti utili per comprendere più a fondo questo concetto: ad una prima fase rivoluzionaria è seguito il Terrore della Ghigliottina, stermini di massa di nobili e cittadini, morte e distruzione ovunque, la decapitazione di Robespierre, leader plebeo, infine, l’emergere della figura del capo carismatico ed accentratore che risolve la situazione assumendo il potere assoluto su tutto e tutti. Cosa ci insegnano la Rivoluzione francese e l’ascesa di Napoleone?

Questi meccanismi facilitano sì la reazione delle masse, destituiscono l’elite del momento, ma portano sempre a dittature ed a drammi ancora più grandi e distruttivi. Una rivoluzione non può funzionare se manca il ragionamento, una strategia a medio e lungo termine, una prospettiva che accosti alla pars destruens, qualcosa di costruttivo orientato al futuro. La Storia ci insegna che per manipolare e coinvolgere le grandi masse ci vogliono motivazioni che le tocchino spiritualmente, che stravolgano le loro vite, che creino problemi urgenti anche se questi non esistono. A noi restano libri su libri che ci raccontano cosa è successo e l’uso del nostro spirito critico per utilizzare gli elementi appresi per fare in modo che certe atrocità non accadano più, mai più.

 

 

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