Dottore 2.0, ci sentiamo su Facebook

I Social Network rappresentano uno strumento utile per rinnovare il dialogo tra medici, operatori e cittadini-clienti

Francesco Pira

Parlare di comunicazione o formazione nel settore sanitario, in questo periodo di tagli forsennati, molto spesso fatti con l’accetta, è un compito molto ingrato. Eppure, tutto un nuovo mondo si apre per i comunicatori pubblici in generale e, in particolare, per quelli che si occupano di Sanità. Un pianeta da esplorare, quello dei Social Network. Strumenti validi per nuove forme di comunicazione integrata? Si. E lo diciamo senza temere smentite.

Le aziende sanitarie ed ospedaliere possono trovare nuovi stimoli per azioni di ascolto e per promuovere servizi attraverso la rete anche per contenere i costi e questo non svolgendo attività propagandistica, come è avvenuto per molti siti internet aziendali, ma proponendo una cultura della bidirezionalità.

La nostra è una società di consumatori e anche la cultura, come tutto il resto del mondo visto e vissuto dai consumatori, diventa un emporio di prodotti destinati al consumo, ciascuno dei quali si trova in concorrenza con gli altri per conquistare l’attenzione mutevole/vagante dei potenziali consumatori, nella speranza di riuscire ad attrarla e a trattenerla per poco più di un “attimo fuggente”.

Esiste una strategia giusta. “L’unica ragionevole è quella di abbandonare gli standard troppo rigidi, compiacersi nel non fare distinzioni, accontentare tutti i gusti senza privilegiarne uno, promuovere la saltuarietà e la flessibilità (nome politicamente corretto per indicare l’assenza di spina dorsale) ed esaltare l’instabilità e l’incoerenza; fare i pignoli, mostrarsi sorpresi e stringere i denti è vivamente sconsigliato”. Internet, smartphone, tablet sono alcune delle periferiche fisiche e virtuali che sconfiggono le regole sociali precostituite, a sud del Mediterraneo come nell’Europa orientale e non solo.

Reportage imprevedibili e tam tam planetari connettono mondi e culture. Questo apre nuovi orizzonti. Ma intercetta nuove paure. Avverte Bauman, spesso: “Non so fare previsioni sul futuro. E, se qualche sociologo vi dice che sa farle, non dovete credergli. Vi sta imbrogliando”. Vi è una sorta di esibizionismo planetario. Quello che, ad esempio, fa andare in giro tantissimi giovani con le macchine fotografiche digitali per immortalare momenti di vita quotidiana e riversarli poi su Facebook in tempo reale. Così come i papà e le mamme che fotografano quasi all’inverosimile i figli e li piazzano sulla rete.

E poi c’è il grande tema della paura. La paura di rimanere soli e di sentirsi vivi ed in contatto con il mondo attraverso il social network. Sempre Bauman avverte: “Questi rapporti ad avvio istantaneo, consumo rapido e smaltimento su richiesta hanno i loro effetti collaterali. Lo spauracchio di finire nella discarica è sempre in agguato. D’altronde, la velocità di consumo e il sistema di smaltimento rifiuti sono opzioni a disposizione di entrambi i partner. Potremmo finire col ritrovarci in una condizione simile a quella descritta da Oliver James, avvelenati da un costante sentimento di mancanza degli altri nella vita, con sensazioni di vuoto e solitudine non dissimili al lutto. Potremmo rimanere sempre con la paura di venir lasciati da amanti e amici.

La cultura, nella sua fase liquido-moderna, è fatta, per così dire, a misura della libertà di scelta individuale. È destinata a servire alle esigenze di questa libertà, a garantire che la scelta rimanga inevitabile: una necessità di vita e un dovere. E la responsabilità, compagna della libera scelta, deve rimanere là dove la condizione liquidomoderna le ha imposto di stare: a carico dell’individuo, ormai nominato amministratore unico della politica della vita.”1 La cultura si forma attraverso un processo di conoscenza frutto della comunicazione tra individui. L’evoluzione stessa della specie umana è fondata sulla comunicazione.

Come afferma Cristante nella sua analisi sul peso della comunicazione sull’avventura umana, essa individua tre concettualizzazioni nelle quali gioca un ruolo fondamentale: la creazione di reti, la costruzione del sapere, l’esercizio del potere.2 La relazione tra individui si è sviluppata nel corso dei secoli attraverso codici e strumenti che hanno di pari passo seguito l’evoluzione culturale e tecnica degli uomini.

Ciò ha rappresentato la base sulla quale il sapere è stato costruito. Grazie ad esso l’organizzazione delle società si è mossa per costruire il proprio governo. Bauman ci fa riflettere su un elemento di grande criticità che riguarda la condizione moderno-liquida, quella relativa alla solitudine dell’individuo, sul quale pesa la totale responsabilità sulle scelte inerenti il proprio accrescimento culturale, venendo a mancare, nell’era delle reti, una rete sociale solida con la conseguente “condanna”, in qualche modo,
alla libertà.
Uno dei rischi più grandi che la società odierna si trova ad affrontare è che le nuove reti sociali e l’assenza di limiti fisici e culturali portino ad una “liquidità” del sistema di valori di riferimento, che il concetto di cultura, così come ci ha accompagnato nel corso dei secoli, si trasformi in “pseudocultura”, in cui all’educazione si sostituisca la manipolazione che trasforma la libertà individuale in illusione.

È evidente come sia necessario un cambio totale di prospettiva affinché le nuove reti sociali, di cui i social
network sono un’espressione, diventino strumento per l’avvio di una nuova fase partecipativa che porti all’affermazione di una cultura partecipativa.
Ma cosa significa cultura partecipativa?

  1. Una cultura con barriere relativamente basse per l’espressione artistica e l’impegno civico;
  2. Con un forte sostegno per la creazione di materiali e la condivisione di creazioni con altri;
  3. Con una qualche forma di tutoraggio informale attraverso cui i partecipanti più esperti condividono conoscenza con i principianti;
  4. Con individui convinti che contribuire sia importante;
  5. Individui che sentono un qualche tipo di legame sociale che li connette gli uni agli altri (perlomeno, sono
    interessati a ciò che le altre persone pensano di quello che hanno creato).

 

dottore facebook cultura
In effetti, l’accesso a internet attraverso piattaforme sempre più facili da utilizzare e compatte ha reso più
semplice l’accesso all’informazione e alla comunicazione.
Conseguentemente, ha aumentato la potenziale diffusione della cultura. I social network consentono la rapida condivisione di contenuti, pensieri, opinioni, ma hanno, altresì, in particolare Facebook, risposto “all’insopprimibile necessità di molte persone di rispecchiarsi, quasi a trovare nello sguardo degli altri la conferma della propria esistenza prima ancora che della propria rilevanza.”
La barriera tra creazione di una cultura partecipativa e manipolazione di massa, è evidente, è piuttosto labile. Il concetto di rete diventa centrale nella riflessione. “[…] La rete di relazioni che si costituisce fra membri di un gruppo o di una comunità virtuale risulta determinante. Una scarsa partecipazione alle interazioni, la presenza di uno o più membri isolati, una struttura di relazioni deboli in cui siano pochi i legami fra gli individui, la presenza di scambi non reciproci, la catalizzazione delle discussioni da parte di pochi partecipanti e la presenza di molti partecipanti in posizione periferica sono tutti elementi che, indebolendo la rete di relazioni all’interno del gruppo, non permettono quello scambio e condivisione di idee che porta ad una costruzione collaborativa di conoscenza.”
Risulta chiaro che il nuovo modello di cultura può attuarsi solo nella misura in cui si costruisca una partecipazione reale e attiva che presuppone un sistema di valori di base, sui quali costruire i tasselli di questa nuova cultura. “Nella società postmoderna si deve pertanto considerare la Rete come una vera e propria dimensione del sociale che cattura tutti i suoi aspetti e gli dà una precisa forma 2.0. Tra questi, l’essenza stessa della società intesa come rete si mostra sul web e si concretizza nei servizi di social networking. In questo senso, internet è espressione di quello che siamo.”


Nessun dualismo. Il tema che si apre riguarda il tipo di socialità che viene connotandosi. I social networking nascono con l’obiettivo di dare vita a delle comunità dove simili si riconoscono e interagiscono, un agevolatore relazionale. In realtà, il fenomeno al quale stiamo assistendo sembra essere quello di un forte individualismo, lo stesso di cui parla Bauman all’inizio.
Entrare nei social network, aprire un profilo, è un atto di forte affermazione identitaria. L’io prevale, il racconto di sé è auto rappresentazione, l’affermazione della propria esistenza diventa fattore cruciale.
Il reale passa attraverso il virtuale, tanto che sembra affermarsi un modello relazionale che tende a ridurre la fisicità a favore della virtualità.
Basti pensare alle relazioni tra giovani: il dialogo verbale è quasi soppiantato dal linguaggio scritto sulle interfacce degli smartphone. Connessi al proprio profilo facebook o twitter, la chat diventa il luogo del dialogo, anche se seduti a 30 cm di distanza l’uno dall’altro.
Sembra quasi vi sia una sorta di timore dello sguardo dell’altro e che il rapporto mediato dalla tecnologia sia vissuto come un esercizio di libertà individuale, nel quale, non filtrati e sottratti alla vista, ci si senta più “se stessi”.
Ma vi è anche un altro aspetto che riguarda l’esercizio del potere. L’aggiornamento del profilo corrisponde non solo ad un affermazione di sé, ma racchiude una forma di esercizio di potere, nella misura in cui dando un segno di me entro nella vita degli altri a me connessi.
La comunicazione sanitaria non può non tener conto del nuovo concetto elaborato dal sociologo Manuel Castells dell’autocomunicazione di massa.
Lo studioso argomenta che l’autocomunicazione di massa è: “[…]autogenerata per contenuto, autodiretta per emissione e autoselezionata per ricezione da molti che comunicano con molti. Questo è un nuovo regno della comunicazione, alla fin fine un nuovo medium, la cui spina dorsale è fatta di reti di computer, il cui linguaggio è digitale, i cui mittenti sono globalmente distribuiti e globalmente interattivi. È vero che un mezzo, anche un medium rivoluzionario come questo, non determina il contenuto e l’effetto del suo messaggio. Ma ha la potenzialità di rendere possibile un’illimitata diversificazione e produzione autonoma di gran parte dei flussi di comunicazione che danno luogo a significato nella mente pubblica”.
Nuovi orizzonti e nuovi strumenti con la garanzia, però, che valori e contenuti rimangono al centro del lavoro di chi comunica anche argomenti fondamentali, come quelli legati al diritto alla salute.

 

Francesco Pira, Sociologo della Comunicazione, Docente di Comunicazione e Giornalismo presso l’Università degli Studi di Messina e di Comunicazione Pubblica e d’Impresa presso l’Università Salesiana di Venezia e Verona (IUSVE)

Francesco Pira

Docente di Comunicazione Istituzionale, Teorie e Tecniche del linguaggio giornalistico, Giornalismo Digitale e Comunicazione Integrata Coordinatore Didattico Master in Manager della Comunicazione Pubblica Università degli Studi di Messina Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne Polo Universitario Annunziata - 98168 Messina 

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