Foto e messaggi su Facebook: quale responsabilità abbiamo?

“Il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide,

anzi è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti.”
Umberto Eco, Come scrivere una tesi di laurea con il personal computer, 1986 (prefazione).

A distanza di oltre 30 anni, questa citazione conserva intatta la sua forza e sembra scritta a seguito dei fatti di cronaca, anche locale, che stanno riempiendo le pagine dei giornali di questi primi giorni del 2017: un messaggio vocale, mandato in un gruppo Whatsapp, diventa virale su Facebook e scatena il panico, l’autrice spaventata dalle conseguenze del suo operato si costituisce spontaneamente in Questura, ciò non toglie che comportamenti del genere possono comportare conseguenze penali oltre che contribuire ad alimentare un clima di paura, in un contesto internazionale già fortemente provato dagli attentati terroristici di Berlino e Istanbul.

Prima di occuparci delle responsabilità connesse all’uso dei diversi strumenti di comunicazione cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su come funzionano e su quali sono le loro principali caratteristiche.

Con il termine “social network” viene identificata una qualunque piattaforma informatica che ha, quale funzione principale, quella  di organizzare e gestire via internet di una parte delle proprie relazioni sociali, consentendo di creare e condividere contenuti (video, audio, fotografie) o conversazioni.

Si distinguono in:

generalisti: caratterizzati dal non avere un tema specifico o uno scopo preciso che non sia quello di far “socializzare” i propri iscritti (i più popolari sono senza dubbio Facebook e Twitter);

tematici: destinati a trattare un unico tema (es. Linkedln per tematiche professionali e per il business);

funzionali: tra i quali rientrano le piattaforme che, pur avendo un’anima generalista, si distinguono perché ruotano attorno ad un tipo specifico di contenuti (es. YouTube per i video, Flickr o Instagram per le foto, ecc.).

Essi riproducono nel mondo virtuale un fenomeno vecchio come l’uomo: ovvero quello delle “reti sociali”, le quali consistono in quella fitta ramificazione di rapporti e conoscenze che ciascuno di noi si costruisce, nel corso della propria vita, attraverso l’adesione ai  gruppi più diversi: lavoro, scuola, amicizie, sport, hobby, ecc.

Facebook social media responsabilità contenuti

Parzialmente diverso è invece il funzionamento delle app come WhatsApp o Telegram: esse sono applicazioni di messaggistica istantanea, con milioni di utenti che le usano grazie agli  smartphone; il loro funzionamento è molto semplice ed in poco tempo hanno soppiantato SMS ed MMS.

Queste app, infatti, permettono di inviare/ricevere messaggi di testo, chiamate, suoni, note vocali, video, fotografie, note e informazioni di contatto ad altri utenti (singoli o in gruppo) che usano il medesimo servizio.

Gli unici requisiti sono quelli di possedere un telefono compatibile, di avere una connessione a Internet sempre attiva  e che i destinatari abbiano appunto installato la stessa app. Tutti gli account sono legati al numero di cellulare di chi fruisce del servizio: la rubrica resta assolutamente privata e nessun altro utente potrà avere accesso ai  contatti altrui.

Se inizialmente la differenza principale era che i social media venivano utilizzati soprattutto tramite un computer, mentre  WhatsApp e Telegram “giravano” sugli smartphone, l’evoluzione tecnologica ha sempre più uniformato la fruizione di questi  strumenti per cui attraverso un cellulare evoluto possiamo accedere tranquillamente ai social network, così come i servizi di messaggistica istantanea sono utilizzabili anche tramite pc.

Whatsapp VS Facebook: quali sono le differenze?

facebook whatsapp

In realtà tra i due sistemi di comunicazione c’è una differenza importante che ha poco a che fare con la tecnologia e molto con le modalità di comunicazione.

Tutti noi conosciamo bene cosa siano gli SMS, i messaggi istantanei WhatsApp o telegram ed anche cosa sia la posta elettronica: si tratta  di sistemi di comunicazione “uno ad uno” nei quali, cioè, un mittente invia una comunicazione ad un solo destinatario.

Il fatto che i nostri telefonini o i software di gestione della posta elettronica si siano evoluti, consentendoci di inviare lo stesso messaggio a più persone con un unico invio, non elimina il fatto che – in concreto – si tratti di tanti singoli messaggi che vanno da un unico mittente ad un unico destinatario.

Servizi come Twitter e Facebook, invece, consentono lo sviluppo di una comunicazione “uno a molti”, tramite la quale un soggetto invia un’unica comunicazione potenzialmente ad un numero più o meno indefinito di soggetti, spesso “imprevedibile” anche per lo stesso mittente.

Una simile forma di comunicazione ha, con tutta evidenza, potenzialità enormi:  l’invio di un messaggio ad una propria cerchia di conoscenti, attribuendo ed essi la facoltà di “rilanciarlo, diffonderlo o condividerlo” con altri, consentirà di ottenere in breve tempo una diffusione enorme del messaggio stesso, attraverso il suo passaggio da una cerchia all’altra.

In concreto, la possibilità di creare nei servizi di messaggistica istantanea più gruppi con moltissimi utenti di fatto riproduce un effetto molto simile a quello appena descritto, ma ciò non toglie che la propagazione di un messaggio tramite una app di messaggistica è legata ad una trasmissione puntuale che conserva una diversità di fondo rispetto ai contenuti presenti su una pagina social.

Fotografie e informazioni su Facebook sono “pubbliche”

Partendo da questa diversità, i giudici che per primi si sono trovati a valutare l’utilizzabilità come prove documentali delle  fotografie e delle informazioni pubblicate sul profilo personale del social network “Facebook” hanno stabilito la loro rilevanza come prove in giudizio.

Infatti, a differenza delle informazioni contenute nei messaggi scambiati utilizzando i servizi di messaggistica (o di chat)  che vengono assimilate a forme di corrispondenza privata, e come tali devono ricevere la massima tutela sotto il profilo della loro divulgazione, quelle pubblicate sul proprio profilo personale, proprio in quanto già dì per sé destinate ad essere conosciute da soggetti terzi, sebbene rientranti nell’ambito della cerchia delle c.d. “amicizie” del social network, non possono ritenersi assistite da tale protezione, dovendo, al contrario, essere considerate alla stregua di informazioni conoscibili da terzi.

Connessa a questa differenza c’è anche la responsabilità penale nel caso in cui le opinioni espresse ledano il decoro o la reputazione di un soggetto: se il messaggio singolo, seppure  trasmesso attraverso un servizio di messaggistica non è intrinsecamente rivolto alla divulgazione, scrivere sulla pagina fb espressioni ingiuriose verso un soggetto può integrare il reato di diffamazione, proprio per la sua potenziale diffusione.

Questa in prima approssimazione la differenza tra i due strumenti, anche se non sfugge il problema di come un messaggio scritto in un  gruppo  WhatsApp composto da molti utenti di fatto possa comportare conseguenze analoghe proprio per la sua potenziale diffusione nei confronti di più soggetti.

Se questa è responsabilità del singolo, recentemente la Cassazione si è pronunciata anche sulla responsabilità del gestore di una piattaforma, ma di questo parleremo nella prossima rubrica analizzando la questione proprio dal punto di vista di chi mette a disposizione gli strumenti e non dell’utilizzatore.

Gea Arcella

Notaio e responsabile editoriale di Auxilia Onlus

Gea Arcella

Nata a Pompei, dopo gli studi classici svolti a Torre Annunziata, si è laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Trieste nel 1987. Nel 2007 ha conseguito con lode un master di II livello presso l'Università “Tor Vergata” di Roma in Comunicazione Istituzionale con supporto digitale. E' notaio in provincia di Udine e prima della nomina a notaio ha svolto per alcuni anni la professione di avvocato. Per curiosità intellettuale si è avvicinata al mondo di Internet e delle nuove tecnologie e dal 2001 collabora con il Consiglio Nazionale del Notariato quale componente della Commissione Informatica . Già professore a contratto presso l'Università Carlo Bò di Urbino di Informatica giuridica e cultore della materia presso la cattedra di diritto Civile della medesima Università, attualmente è docente presso la Scuola di Notariato Triveneto e Presso la Scuola delle Professioni legali di Padova di Informatica giuridica e svolge attività formative sia interne che esterne al Notariato. E' socia di diverse associazioni sia culturali che orientate al sociale, crede che compito di chi ha ricevuto è restituire, a partire dalla propria comunità. 

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