My Body, my rights: Amnesty International per le donne

La sezione italiana dell’ente colloca le discriminazioni femminili all’interno di un continuum di violenze, in cui le disuguaglianze di genere, compresi gli atteggiamenti e gli stereotipi vessatori, contribuiscono alla perpetrazione del fenomeno

di Rebecca Germano

amnesty international donne

AI Morocco MBMR launch actions, March 2014
Amnesty International Sections all over the world marked the launched of Amnesty’s global campaign, My Body My Rights.

In tutto il mondo, una donna su tre è stata vittima di violenza di genere nel corso della sua vita; secondo quanto riferito dalla Banca mondiale, nelle donne d’età compresa tra i 15 ed i 44 anni, il rischio di subire violenze domestiche o stupri è maggiore del rischio di cancro, incidenti o malaria; ogni anno migliaia di donne sono vittime di delitti d’onore: sfregiate con l’acido, torturate, maltrattate o uccise; ogni anno, nel mondo, 800.000 sono le donne vittime di tratta; si contano circa 80.000 bambine soldato; ogni anno 350.000 donne muoiono durante la gravidanza o per cause collegate al parto; ogni anno più di tre milioni di bambine subiscono una qualche forma di mutilazione sessuale; ogni anno muoiono circa 50.000 donne per aborti insicuri; si calcola in 400 milioni il numero di donne fatte sposare prima dei 18 anni; due terzi dei bambini a cui è negata l’istruzione primaria appartiene al sesso femminile, così come il 75% degli 876 milioni di adulti analfabeti nel mondo.

L’Organizzazione mondiale della Sanità pone il fenomeno della violenza di genere come una delle priorità per la sanità pubblica (Fonti: OMS/OIM).

Campagne di sensibilizzazione, report informativi, appelli da firmare come strumento di pressione politica da una parte, perché solo con il contributo di tutti si possono ottenere risultati duraturi; pressione sui Governi per il varo di leggi e atti normativi specifici dall’altra, per combattere anche con solidi strumenti giuridici un fenomeno – la violenza di genere – presente con frequenza incalzante sulle pagine dei giornali, sui notiziari e sui siti web.

 

Amnesty International – a livello internazionale e italiano – è da tempo impegnata per contrastare un allarme sociale a cui sembra quasi non esserci una spiegazione reale e razionale, un fenomeno troppo spesso “derubricato” e spiegato, con una causa definita piuttosto genericamente come “raptus”, soprattutto quando si parla di violenza nella sfera privata. La violenza sulle donne rappresenta, invece, un fenomeno da analizzare nella sua complessità, da osservare nelle somiglianze presenti in molte storie di vittime, in modo tale da poterne parlare con cognizione di causa ed essere, quindi, in grado di mettere a punto strategie efficaci per contrastarlo.

Ma cos’è la violenza sulle donne, come si definisce?

È un fenomeno sociale con risvolti privati, strutturale e trasversale a tutte le culture, alle società, ai Governi e all’estrazione sociale di quantI l’agiscono e quante la subiscono.

Il fenomeno viene inquadrato dalla comunità internazionale, che accredita la violenza sulle donne come questione appartenente ai diritti umani solo a partire dagli anni ‘90, all’indomani del riconoscimento sociale del problema, mettendo nero su bianco, in un documento (Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne delle Nazioni Unite, 1993) di grande valore politico, la definizione per antonomasia di violenza sulle donne: “ Violenza contro le donne significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata.”

Leggendo e rileggendo questa definizione, si possono cogliere le sfumature, solo apparentemente labili, del fenomeno. Non solo. Si può già cogliere nella definizione, se non una risposta abbozzata, almeno un richiamo autorevole ad assumersi la responsabilità, tutti, di contrastarlo.

La definizione sottolinea il movente di tali azioni, il genere. La violenza sulle donne viene agita su queste in quanto tali. E’, dunque, il frutto di una cultura in cui i rapporti di potere sono completamente sbilanciati a favore dell’uomo. È la manifestazione estrema di una subordinazione sociale. In quanto sociale, è la società stessa che può, e deve, trovare il bandolo della matassa e scioglierlo. In secondo luogo, la violenza può manifestarsi in modi differenti: può esser agita da una persona sconosciuta alla donna o da un conoscente e dall’ambito pubblico, dove per pubblico intendiamo situazioni in cui lo Stato è, se non artefice della violazione, quanto meno omertoso, lassivo o connivente.

Nel primo caso, la violenza viene posta in essere nell’85-90% delle volte all’interno di relazioni affettive (violenza domestica), mentre, per quanto attiene ala dimensione pubblica, incontriamo fattispecie come la tratta, lo sfruttamento sessuale, l’induzione alla prostituzione, i matrimoni forzati, le pratiche tradizionali e/o religiose quali le mutilazioni genitali femminili, gli stupri di guerra, il divieto d’accesso ai servizi sanitari, all’istruzione e tutte le questioni riguardanti i diritti sessuali e riproduttivi.

Le forme di violenza possono, poi, esser agite con modalità differenti a seconda della cultura di appartenenza. Sgombriamo subito il campo da dubbi: nessuna modalità è migliore o peggiore di un’altra. Tuttavia, la diffusione della violenza sulle donne su scala mondiale ci permette di comprendere ulteriormente come l’unico modo per arginare il fenomeno sia da ricercarsi nel cambiamento della sua linfa vitale: la cultura.

Fino a quando non vi sarà un’inversione di marcia che porti ad una reale parità di uomini e donne de jure e de facto, nella vita pubblica e privata, i numeri non si abbasseranno.

La messa a punto di normative giuridiche, la ratifica alle Convenzioni internazionali e, dunque, l’adeguamento dei servizi locali e nazionali agli standard suggeriti, l’inasprimento delle legislazioni in senso punitivo e repressivo sono una risposta essenziale all’emergenza, alla protezione e al concreto aiuto delle donne vittime. Si tratta, però, di risposte che devono esistere parallelamente a programmi strutturati di sensibilizzazione della società tutta. La strategia di contrasto deve, dunque, essere necessariamente a doppio binario, esattamente come la natura del fenomeno è pubblica e privata. L’azione di contrasto non può che assumere una valenza pubblica (sensibilizzazione, formazione nelle scuole, educazione alla parità di genere, uguaglianza sul lavoro, in termini di cariche e di salari, pari accesso a tutti i servizi, bilanciamento nella gestione del lavoro di cura e conciliazione vita/lavoro…) e privata (legislazione che riconosca le forme di violenza e le conseguenze, lotta alla tratta e alla prostituzione, strutture di accoglienza e sostegno per donne vittime di violenza diffuse in modo omogeneo sul territorio, percorsi certi ed affidabili di fuoriuscita dalla situazione violenta, strutturazione di un lavoro in chiave multi-agency tra tutti gli operatori coinvolti nella rete di contrasto alla violenza sulle donne…).

Amnesty International Italia colloca la violenza contro le donne all’interno di un continuum di violenze, in cui le disuguaglianze di genere, compresi gli atteggiamenti e gli stereotipi discriminatori e vessatori, contribuiscono alla perpetrazione del fenomeno.

È impegnata da anni nel contrasto alla violenza sulle donne sia attraverso azioni, campagne, ricerche specifiche, sia proponendo focus in un’ottica di genere in tutte le azioni di sensibilizzazione e di pressione politica. Sostiene, dunque, che la questione di genere sia un’aggravante che espone donne già in situazioni di violazione dei loro diritti umani ad un maggior grado di vulnerabilità.

Amnesty International Italia ha strutturato un coordinamento tematico ad hoc composto da un pool di esperte in materia di diritti delle donne che si occupa di affiancare gli uffici nazionali nella ricerca, nello studio della materia e nella diffusione sul territorio di campagne e azioni “in re”.

amnesty international my body my rights

My Body My Rights campaign action at the International Secretariat, London, UK, 14 February 2013.

Negli ultimi anni ha lavorato sul tema a livello nazionale e prendendo parte ad azioni internazionali; nel 2014 ha lanciato una campagna per fermare la violenza sulle donne inserendola nell’iniziativa di lobby “Ricordati che devi rispondere”, indirizzata al Governo e ai parlamentari del nostro Paese, da cui è stata sottoscritta. Uno dei dieci punti riguardava proprio la violenza sulle donne.

Da qualche mese si è, inoltre, conclusa la campagna internazionale My Body My Rights sui diritti sessuali e riproduttivi e, nel novembre scorso, è stato lanciato l’sms solidale di raccolta fondi sulla tematica delle spose bambine. Questo specifico tema è stato ripreso anche in occasione dell’8 marzo, con un’azione a diffusione nazionale di raccolta firme.

Nel febbraio scorso è stato pubblicato un rapporto sulla condizione delle donne siriane rifugiate consultabile all’indirizzo http://www.amnesty.it/Le-rifugiate-siriane-ancora-piu-a-rischio-di-sfruttamento-e-violenza-sessuale.

In questi mesi, Amnesty International Sezione Italiana è impegnata nell’azione “Stop alla tortura sessuale contro le donne in Messico”, all’interno della campagna Stop Tortura, nella quale si denunciano molestie e violenze sessuali come forma di tortura a danno di donne in stato di fermo e/o arresto in Messico. (É possibile firmare l’appello on-line all’indirizzo http://appelli.amnesty.it/tortura-sessuale-donne-messico/)

Amnesty International promuove percorsi di educazione all’uguaglianza degli uomini e delle donne, un linguaggio, anche mediatico, scevro dagli stereotipi di genere, dove la donna non venga stilizzata come oggetto del piacere, da usare ed abusare per commercializzare un prodotto o lanciare un messaggio. L’ottica che si mira a raggiungere è quella di una società paritaria che elevi le differenze ad elemento qualificante della convivenza tra uomini e donne, dove il faro che guida questi rapporti è quello del rispetto dei diritti fondamentali di tutti e tutte; una società che non accetta, né giustifica, mai, in qualsiasi caso, la violenza sulle donne; dove, dopo la parola violenza, possa esserci solo una ferma condanna e mai un “ma”.

 

Rebecca Germano, responsabile del coordinamento donne di Amnesty International Italia

Rispondi