Nord, Sud, Ovest, Est, senza correre

L’Associazione Vite in Viaggio nasce nel 2009 dall’esperienza del Festival della Lentezza, primo evento del genere in Italia

Luca Lideo

Perché parlare di Lentezza? Che vuol dire? Qual è il suo significato profondo? Questi sono alcuni degli interrogativi che ci siamo posti nel momento stesso in cui abbiamo deciso di ripensare i rapporti sociali e ridisegnare una mappa delle relazioni. A scanso di equivoci, preciso subito che non ci sentiamo né paladini di una qualche fantomatica setta propugnatrice di un nuovo ordine del mondo, né, tanto meno, dei demonizzatori della società contemporanea. Va bene usare il cellulare e guardare la tv, va bene anche correre quando si è in ritardo. Il problema è non elevare a norma un comportamento che dovrebbe appartenere all’occasionalità.
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Oggi, purtroppo, corriamo anche quando stiamo andando in ferie. Da ciò si generano molte delle criticità odierne. Andare piano non significa solo pensare ad una contrapposizione motoria tra l’andare di corsa e l’andare lenti. Come si sarà intuito, significa immaginare un nuovo modo di rapportarsi agli altri. Se partiamo dall’assunto aristotelico che l’uomo è animale politico, diviene semplice comprendere come non si possa dare Vita al di fuori di una logica della relazione. Ma una vera relazione è possibile solo se ci si riconosce reciprocamente come Persone, il che diventa francamente impossibile se tv e social divengono l’unico luogo deputato all’incontro (virtuale).
Il Festival ha rappresentato l’occasione di incontrare alcuni testimoni del nostro tempo che, in vari campi, dall’economia allo sport, hanno saputo interpretare quella che possiamo definire la “filosofia della Lentezza”, ponendoci domande prima ancora che offrire risposte! In tutto questo contorno, il Viaggio (con la “V” maiuscola) costituisce una grande metafora della Lentezza. Il nostro tempo ha saputo, con straordinario vigore, anche tecnico-scientifico, abbattere barriere, facendo muovere merci e persone.
Ma siamo sicuri che oggi si viaggi più di ieri o dell’altro ieri? In realtà, penso che oggi ci si sposti molto, ma si viaggi poco! Se riflettiamo su questo aspetto, risulta facile osservare come ciò che tutti tendiamo a fare è abbreviare il più possibile il tempo del viaggio. Ci spostiamo da una città all’altra, ma quanto ci sia in mezzo resta uno spazio ignoto. Le sfumature collocate tra partenza ed arrivo rimangono un non-luogo, una non-relazione, un non-dato. Tutto ciò non fa altro che amplificare le differenze tra noi e gli altri.
Quello “che sta in mezzo” è proprio ciò che tiene insieme l’io con il tu, il me con il te, il Nord con il Sud, l’Occidente con l’Oriente.

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Credo che Viaggiare non significhi necessariamente “andare lontani”, ma essere curiosi di ciò che ci sta attorno, saper porsi in relazione con persone e luoghi, concedere all’altro la possibilità di parlarci e comunicare con noi.
Da queste riflessioni è nata la nostra idea di proporre alla cittadinanza delle passeggiate interculturali nelle quali fossero i cittadini immigrati a far conoscere la nostra città a noi stessi attraverso uno sguardo “straniero”. L’idea era quella di ribaltare la logica, rovesciare la prospettiva, offrire a noi, Padovani di nascita, la possibilità di vedere cose nuove anche nei luoghi che nuovi non erano.
Non esistono, come affermava Nietzsche, fatti, ma interpretazioni dei fatti. È proprio in quelle interpretazioni che abita lo spazio per costruire società multiculturali, espressione, per certi aspetti, molto più interessante del termine Intercultura. Abbiamo imparato ad interpretare gesti e rituali. Abbiamo imparato che, se ci si pone con l’atteggiamento di voler incontrare qualcosa o qualcuno, non vi è nessuna possibilità di arrivare ad una contrapposizione. Ovviamente, è stata altrettanto stimolante la fase di costruzione del percorso.
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È stato illuminante comprendere che quello che noi chiamiamo “centro cittadino” non esiste.
Al contrario, esistono “centri cittadini”, luoghi di relazione. Questi luoghi dipendono dalle persone, non tanto dall’urbanista che ha pensato lo spazio. Meglio, uno spazio non abitato rimane un luogo, uno spazio vissuto diviene un centro. Alla fine del percorso ci siamo accorti di aver disegnato una nuova mappa della città, diversa da quella che avevamo in mente. Nuova. Né migliore, né peggiore, semplicemente ignota. Il che ci ha dato modo, probabilmente per la prima volta, di viaggiare nella nostra città, in quella città che credevamo non potesse contenere segreti. Questa penso sia l’essenza stessa del cosiddetto “turismo responsabile”, o “sostenibile”, che dir si voglia.
Credo significhi immaginare il confine non tanto come il luogo che fa finire qualcosa, ma come il luogo che fa iniziare qualcosa d’altro. Non immagino il confine come un limite negativo, ma come l’elemento essenziale che mi consente d’interagire con ciò che è diverso da me e che, anche solo per il fatto di essere diverso da me, può offrirmi un’occasione di crescita. In altri termini, viaggiare responsabilmente rappresenta una modalità che nasce da noi, che decidiamo di assecondare nel momento stesso in cui ci mettiamo in gioco. In maniera un po’ irriverente e sarcastica, mi viene da dire che il turismo responsabile è altra cosa da quello che ci viene offerto dai biglietti di Trenitalia che ci quantificano quanta CO2 abbiamo risparmiato viaggiando con loro!
In conclusione, nella sua semplicità, questa è stata l’esperienza dell’Associazione Vite in Viaggio, l’esperienza messa in atto mediante la realizzazione del Festival della Lentezza ed attraverso tutte le attività, a partire proprio dalle “passeggiate interculturali” realizzate in questi anni. Non abbiamo fatto grandi cose.
Forse abbiamo solo seguito una passione. Di certo abbiamo scoperto cose nuove e – il che non guasta – ci siamo divertiti molto!

Luca Lideo, associazione Vite in Viaggio

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