La risposta europea al terrorismo

L’impressione è quella di un continente sotto “assedio”, ma il ricorso al terrore da parte dello Stato Islamico è ammissione della propria debolezza militare. Le risposte adottate dai Governi sono dunque efficaci?

Giampiero Giacomello

Giacomello Gli attacchi terroristici di matrice islamico-fondamentalista verificatisi negli ultimi due anni in Europa, Tunisia ed Egitto danno quasi l’impressione che il continente europeo sia sotto assedio. L’assediante, nel caso in questione, è Daesh o ISIS, in altre parole l’auto-proclamato “Stato Islamico”. L’impressione, però, è fuorviante. Senza dubbio, Daesh ha adottato una strategia mediatica ben fatta ed efficace, prova ne è che l’opinione pubblica in Europa si sente effettivamente sotto minaccia. Ma, da un punto di vista sostanziale, il ricorso al terrorismo da parte dello Stato Islamico è, in realtà, ammissione della propria debolezza militare. Il senso d’insicurezza di molti Europei è dunque ingiustificato? E le risposte adottate dai Governi si riveleranno efficaci?

Iniziamo affermando che la ricerca scientifica sul terrorismo ci fornisce qualche indicazione di non poca rilevanza. In un importante studio, pubblicato nel 2008, dal titolo indicativo “Come finisce il terrorismo”, l’istituto di ricerca americano RAND ha dimostrato che, nel periodo 1968-2006, quasi il 90% dei gruppi terroristici non più attivi nel mondo si è trasformato in “soggetti politici”, accettando, quindi, come legittima la competizione politica, oppure è stato sconfitto dalle forze dell’ordine (con un minimo aiuto da parte di unità militari). In quest’ultimo caso, la cooperazione fra polizia, magistratura e servizi d’intelligence non solo è risultata fondamentale, ma ha anche rappresentato la “ricetta” di maggior successo per sconfiggere il terrorismo.

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How 268 terrorist Groups Worldwide Ended, 1968-2006

In Europa, polizia, magistratura e intelligence sanno cooperare molto bene da lungo tempo. Se qualcosa non funziona, il problema va ricercato all’interno di tale “cooperazione”, che può essere professionale, ma, a volte, può cadere nell’auto-compiacimento. Dato che il nemico, i vari gruppi terroristici, è stato sconfitto in passato, è inevitabile che la guardia venga abbassata. Il primo fallimento, dunque, è imputabile al fatto che i servizi d’intelligence europei erano troppo focalizzati sul territorio di Iraq e Siria, dove è presente Daesh, e sul rischio che foreign fighters, i “veterani” europei di Daesh, potessero “tornare” nei loro Paesi d’origine per mettere in pratica quanto appreso sui campi di battaglia. L’ipotesi che, invece, fossero giovani residenti radicalizzati in tali Paesi il principale rischio non era in cima alla lista delle priorità d’intelligence. Il secondo problema che ha reso difficile l’applicazione della “ricetta di successo” ad intelligence e forze di polizia è stato il comportamento da tenere nei confronti delle comunità musulmane nei vari Paesi europei. La collaborazione ed il rispetto fra Governi e autorità musulmane locali sono sempre stati punti spinosi, per tutti i soggetti coinvolti. Le conseguenze di questo difficile rapporto sono state incomprensioni, mancanza di visione comune e, persino, aperta ostilità reciproca.
Infine, l’ultimo elemento fallimentare è stato l’incapacità di una reale collaborazione d’intelligence e di polizia fra i vari Governi europei. Nonostante i numerosi accordi, la lunga e reciproca conoscenza e l’evidente mutuo vantaggio, spesso i soggetti in questione non sono riusciti a superare la visione fortemente “nazionalistica” che ha caratterizzato i rapporti fra Europei negli ultimi dieci anni. In un certo senso, in questo contesto, è come se fossimo tornati agli anni ’70, quando ciascun Paese combatteva il terrorismo “a modo suo”.

Dal novembre scorso, gli sforzi europei si sono concertati sulla correzione di questi errori, cercando di migliorare il rapporto con le comunità islamiche locali, focalizzandosi sul “terreno” europeo e non solo medio-orientale e promettendo un più efficace scambio d’informazioni e collaborazione fra intelligence. Gli attentati di Bruxelles della primavera scorsa hanno dimostrato che la strada per applicare la “ricetta di successo” è ancora lunga. Lo studio della RAND ricorda, infine, che i gruppi di matrice religiosa sono quelli più difficili da “eliminare”. È dunque probabile che il percorso sia ancora lungo e, purtroppo, “doloroso”. Sempre secondo lo studio, però, nessun gruppo religioso-fondamentalista è mai riuscito a “vincere”, cioè a veder realizzati i propri scopi politici.

Giampiero Giacomello, Professore associato di Scienza Politica presso l’Università di Bologna

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