“Un gabbiano. Un gabbiano di frontiera. Mi sono sempre definito così. L’idea nasce da una poesia di Vincenzo Cardarelli che parla di un gabbiano il cui desiderio è di vivere in pace, ma il cui destino è quello di vivere costantemente in burrasca. E questo è un destino che io mi sono portato indietro sempre”, questa è la foto in cui si rispecchia Pino Scaccia, inviato storico del Tg1 Rai.
Intervista a Pino Scaccia
Come è cambiato oggi il modo di fare comunicazione rispetto agli anni che ci hanno preceduto?
“E’ molto cambiato e cambierà ancora. La tecnologia ha avuto un salto incredibile, in poco tempo. Accanto alla tecnologia è cambiato anche il modo di fare giornalismo…”
Lei è stato l’inviato in zone di crisi, di guerra. Il ricordo più vivo e che si porta dentro di questi anni da inviato?
“A livello personale sicuramente quando ho rischiato la vita soprattutto alle porte di Baghdad. Sono cose, queste, che ti porti dentro. Più in generale, invece, è sicuramente il primo dei tre viaggi a Černobyl dove ho visto realmente la morte del mondo. Vedere il bosco bianco morto è stato impressionante e mi ha anche cambiato un po’, dandomi quello spirito ambientalista che, forse, prima non avevo.”
In uno dei suoi viaggi ha incontrato anche Enzo Baldoni. Ci parlerebbe di questo incontro?
“Ci sentivamo all’inizio attraverso il blog, quindi virtualmente. Il primo incontro fisico è stato a Baghdad. Eravamo molto diversi, anzi esattamente l’opposto. Da questo incontro ci siamo, poi, rincontrati sul web inventando una sorta di blog paralleli, due modi diversi di vedere delle stesse cose. Una sera ci salutammo a Baghdad dandoci un appuntamento a cui lui non è mai venuto in quanto, sulla strada del ritorno, fu rapito e poi ucciso”
Lei scrive anche libri, come: “Armir”, “Nell’inferno dei Narcos”…
“Ogni libro è un frammento di memoria. C’è uno su Kabul, uno su Baghdad. Il libro sui narcos è nato da un incontro nel carcere di Bogotà, sempre per il tg1. Ho sempre creduto molto nei libri, in quanto sono qualcosa che resta!”