Il glifo o QR Code: cos’è a cosa serve

La parola “glifo”, di origine greca, significa semplicemente “segno” o “incisione”. Essa è un termine molto generico che può essere riferita a qualsiasi tipo di iscrizione che sia possibile effettuare su un determinato supporto documentale.

In informatica con il termine “glifo”, o “timbro digitale”, viene identificata, invece, una particolare tecnologia costituita da un insieme di segni grafici, di vario aspetto o realizzazione, con cui è possibile riprodurre un documento informatico al fine di renderlo leggibile attraverso l’impiego di specifici sistemi automatizzati ed, al contempo, di dimensioni ridotte, facilmente apponibile anche su un foglio di carta A4.

qr code come funziona

I primi glifi: il barcode

Sono glifi anche i normali codici a barre ai quali da tempo siamo abituati, che riproducono codici e prezzo dei più diversi articoli che troviamo in commercio, utilizzando una serie di linee verticali di vario spessore, e che, quindi, si sviluppano lungo un’unica dimensione (detti anche glifi o codici mono dimensionali).

..e il QR code

Sono glifi anche i più evoluti codici cosiddetti “bidimensionali” o a due dimensioni, o QR code, che esprimono dati attraverso nuvole di punti disposti sia sull’asse orizzontale che su quello verticale (ossia a matrice) composti da moduli neri disposti all’interno di uno schema di forma quadrata.

E’ il caso, ad esempio, dei contrassegni apposti sui biglietti aerei e ferroviari o di altri documenti che recano, accanto ad un testo in chiaro leggibile dall’utente, anche uno o più riquadri o nuvole di punti che esprimono dati, destinati ad essere letti dai sistemi automatici di controllo.

Attraverso il glifo è possibile codificare parole o numeri che saranno poi decodificati da un apposito software e con l’uso di una macchina fotografica o (meglio) di uno scanner, o di un computer (ma anche di un tablet o di uno smartphone o di un dispositivo ad hoc) al fine di ricostruire il file originario.

Il contenuto del glifo

Il glifo consente quindi di riprodurre il documento digitale direttamente su carta, e di per sé questa caratteristica non rappresenta una novità, considerato che le vecchie schede perforate non facevano altro che riprodurre dati digitali su carta, anche sempre più spesso esso viene visualizzato direttamente in formato digitale su smartphone, tablet o computer.

La novità del glifo è che attraverso la sua tecnologia è possibile ad un tempo comprimere significativamente tale riproduzione ed allo stesso tempo renderla facilmente e rapidamente leggibile da sistemi automatizzati.

L’acronimo inglese “QR”, infatti, è l’abbreviazione delle parole “Quick Response” (“risposta rapida”) ed indica proprio tale caratteristica, visto che il codice fu sviluppato per permettere una rapida decodifica del suo contenuto.

Capito cos’è il glifo, chiediamo ora cosa può rappresentare.

Il glifo può contenere:

  1. un semplice indirizzo Internet, ove è reso disponibile un determinato documento o che contiene ulteriori informazioni;
  2. il documento in se’; quest’ultima possibilità è praticabile solo per files molto piccoli come un biglietto o un certificato anagrafico dal contenuto molto breve.

L’uso del glifo ed i certificati della PA

Nell’utilizzo quotidiano il glifo, quando racchiude un biglietto aereo o ferroviario, serve a consentirne una rapida verifica, automatizzando la fase di controllo, ma spesso , quando è apposto su etichette o scatole, o su tabelle o cartelli, rimanda ad un sito che fornisce ulteriori informazioni sul prodotto acquistato o da acquistare o sul luogo che stiamo visitando.

C’è però un ulteriore utilizzo del glifo che giustifica l’attenzione del nostro legislatore per questa particolare tecnologia e la disciplina normativa che ne è stata data nell’ambito delle certificazioni emesse dalle Pubbliche Amministrazioni (v. l’art. 23, comma 2 bis D.Lgs. 82/2005 o Codice dell’Amministrazione digitale).

Sempre più di frequente, i certificati (anagrafici, di stato civile ecc.) non sono più dei documenti cartacei, firmati dal funzionario che li emette con la sua firma autografa, ma vengono prodotti informaticamente ed altrettanto informaticamente firmati; non di meno, però, le persone hanno talvolta bisogno di averne la riproduzione cartacea o perché non hanno gli strumenti informatici per leggerli nel loro formato originario (come può succedere per le persone anziane), o perché devono produrli a soggetti che ne vogliono la stampa su carta.

La stampa del documento informatico, però, fa sì che il cambio di supporto produca la perdita per il documento di tutti contrassegni di validità intrinsecamente legati alla sua natura digitale, come ad esempio le firme elettroniche/avanzate/qualificate/digitali, con cui sono firmati , o le validazioni temporali, o la protocollazione informatica di cui sono dotati ecc.

Attraverso il cd. glifo è, invece, possibile accedere al documento informatico originale, controllarne la conformità del contenuto rispetto alla sua riproduzione cartacea, verificare l’esistenza di firme o marche temporali o numeri di protocollo.

Questo è il motivo che ha portato il legislatore a stabilire che “Sulle copie analogiche (su carta) di documenti informatici puo’ essere apposto a stampa un contrassegno, sulla base dei criteri definiti con le regole tecniche di cui all’articolo 71, tramite il quale e’ possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica.”

La presenza di tale contrassegno, inoltre, sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale e non può essere richiesta la produzione di altra copia analogica con sottoscrizione autografa del medesimo documento informatico.

Per la natura pubblica di tali documenti il legislatore ha infine anche previsto che “I programmi

software eventualmente necessari alla verifica sono di libera e gratuita disponibilità” onde consentire a chiunque e senza oneri di verificare che quel documento stampato, con in calce il glifo sia il vero certificato rilasciato dal comune e non un falso clamoroso.

Gea Arcella

Nata a Pompei, dopo gli studi classici svolti a Torre Annunziata, si è laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Trieste nel 1987. Nel 2007 ha conseguito con lode un master di II livello presso l'Università “Tor Vergata” di Roma in Comunicazione Istituzionale con supporto digitale. E' notaio in provincia di Udine e prima della nomina a notaio ha svolto per alcuni anni la professione di avvocato. Per curiosità intellettuale si è avvicinata al mondo di Internet e delle nuove tecnologie e dal 2001 collabora con il Consiglio Nazionale del Notariato quale componente della Commissione Informatica . Già professore a contratto presso l'Università Carlo Bò di Urbino di Informatica giuridica e cultore della materia presso la cattedra di diritto Civile della medesima Università, attualmente è docente presso la Scuola di Notariato Triveneto e Presso la Scuola delle Professioni legali di Padova di Informatica giuridica e svolge attività formative sia interne che esterne al Notariato. E' socia di diverse associazioni sia culturali che orientate al sociale, crede che compito di chi ha ricevuto è restituire, a partire dalla propria comunità. 

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