Libia: una questione “segreta”

Il “Decreto missioni”, approvato dopo gli attentati di Parigi, permette al Presidente del Consiglio di autorizzare i servizi segreti a coinvolgere le forze armate in operazioni di intelligence. Questo sta succedendo per la Libia, proprio in questi giorni. Ma l’Italia ha i mezzi, le strutture, i fondamenti costituzionali adatti all’intervento?
Claudio Torbinio
soldati italiani

Foto Marco Alpozzi – LaPresse

Il presidente della Repubblica, che ricopre anche la carica di capo delle Forze Armate, ha verificato i contenuti segreti del decreto del Presidente del Consiglio (Dpcm) che prevede che alcuni reparti d’élite del nostro esercito passino alle dipendenze dirette dell’intelligence nell’ambito della questione libica. Possibilità questa autorizzata già dal “decreto missioni”, approvato nel dicembre 2015 dopo gli attentati di Parigi. Il Presidente del Consiglio, quindi, nel caso in cui vi siano gravi crisi all’estero che richiedano provvedimenti eccezionali, può autorizzare l’Aise, il servizio segreto italiano, ad adottare misure di contrasto e di intelligence anche con la collaborazione tecnica e operativa della forze speciali della Difesa.  E per far questo si avvale del DIS – Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Trattandosi quindi di operazioni segrete, non sottoposte all’autorizzazione del Parlamento, il ruolo del Quirinale assume una rilevanza fondamentale per il controllo della missione ed è per questo che, in questi giorni per la questione libica, viene richiesta la firma di Sergio Mattarella.
Nei documenti ufficiali non segretati si parla solo di “nota esigenza”, ma sembra proprio che la tragica morte di Salvatore Failla e Fausto Piano stia accelerando la procedura per un intervento militare italiano. E’ noto da tempo che l’Italia è candidata a guidare la missione internazionale: in particolare, l’iniziale fase boots on the ground sembra affidata a truppe italiane, tuttavia il timore di partecipare ad una guerra dalle molte incertezze è evidente.  Non sono chiari gli obiettivi, non c’è un Governo libico e quindi nemmeno un esercito libico. Il paese appare più frammentato che mai e la presenza, crescente, dell’ISIS rappresenta attualmente un’ulteriore incognita.
In ogni caso l’Italia, così come Regno Unito e Francia, da alcune settimane può già contare in Libia su circa 40 agenti operativi dell’Aise suddivisi in tre team concentrati nella zona di Tripoli e nelle immediate vicinanze dei terminal petroliferi Eni di Mellita e dei pozzi situati nel Fezzan. Gli statunitensi istituiranno una base di coordinamento  navale nel Mediterraneo. Spagna e Germania stanno definendo, proprio in questi giorni, quale sarà l’entità del loro contributo e quali direttive seguire per l’impiego. Nazioni minori hanno offerto piccoli reparti specializzati.
guerra libia
Nell’aeroporto di Centocelle, sta prendendo forma il comando operativo della missione. Qui si trovano i bunker sotterranei del “Pentagono italiano” che coordina tutte le nostre operazioni, dall’Afghanistan al Kurdistan. Un ruolo chiave spetterà all’aeroporto di Sigonella, dove sono schierate da mesi le truppe speciali statunitensi. L’Esercito italiano è accreditato di un organico di 100 mila uomini e donne, ma la disponibilità per l’intervento militare in Libia è molto inferiore, forse 5 mila soldati. Attualmente sono  5 mila i militari all’estero in varie missioni – una voce di spesa non indifferente in tempi di  spending review. Un intervento in Libia potrebbe non essere sostenibile per Governo italiano.
Anche i mezzi dell’EI potrebbero non essere adeguati come ipotizza Germano Dottori, studioso di studi strategici alla Luiss e presso Limes: “Nel 2014 i carri armati italiani Ariete davvero operativi erano soltanto 11. Adesso sono saliti a una trentina, ma sono sempre pochissimi. E si tratta di mezzi vecchi, concepiti nella fase finale della guerra fredda». Sempre come conseguenza delle ultime finanziarie, non è stata attuata una revisione dei carri Ariete e dei blindati Dardo. La situazione migliora se prendiamo esame le portaerei/portaelicotteri Cavour e Garibaldi e le tre unità anfibie con otto cacciabombardieri a decollo verticale Harrier. L’Aeronautica militare possiede inoltre 54 cacciabombardieri Tornado, ma solo 32 sono aggiornati allo standard che permette l’uso di bombe intelligenti.”  Anche Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa del Senato, esclude come “del tutto priva di fondamento” l’ipotesi di un intervento in Libia. “Noi continuiamo a insistere e lavorare affinché i libici, al più presto possibile, formino un governo di unità nazionale in grado di chiedere alla comunità internazionale tutto il supporto necessario alla ricostruzione della Libia”.
Nonostante le molte criticità sollevate, la soluzione diplomatica sembra ogni giorno più lontana. Ciò che dovrebbe farci ulteriormente riflettere è come la decisione di intraprendere una nuova guerra, con un ruolo di guida internazionale affidato al nostro paese, stia passando non solo sotto silenzio, ma come una mossa “segreta”. Forse proprio perché l’Italia, per sua stessa Costituzione, “ripudia la guerra (…) come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

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