Migrazioni verso l’Europa

In altri tempi, in diverse circostanze, si sarebbe potuto sperare in una comune, migliore politica europea verso i migranti: oggi i provvedimenti delle frontiere costano sempre di più e il rispetto dei diritti umani è sempre meno garantito

Maria Immacolata Macioti

MaciotiSono due, agli inizi del XXI Secolo, le principali modalità di arrivo in Europa di migranti e profughi.
Una, via terra, è quella ormai nota come «rotta dei Balcani». Un percorso aggravato, nel 2015, dai tentativi di chiusura dei confini da parte di Ungheria, Bulgaria, Slovenia e Austria. Sono stati predisposti sbarramenti in filo spinato, si è minacciata l’erezione di muri. Sono state previste sentinelle armate.
Solo a tratti si sono aperti varchi che hanno consentito, per brevi periodi, un attraversamento, documentato (anche visivamente, grazie a telefoni cellulari e cineprese) da volontari accorsi con viveri, acqua e medicine per alleviare la sorte dei migranti. Si valuta che nel 2015 siano entrate in Europa circa 1.100.000 persone.
Le reazioni negative, di fronte all’arrivo di profughi in fuga da guerre e distruzioni, siriane e irachene, sono arrivate fino alla sospensione degli accordi da parte di vari Stati europei.
Agli inizi del 2016 i media italiani parlano di 300-400 arrivi a settimana dalla Slovenia.
Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera del 5 gennaio scorso (1) si tratterebbe di stranieri non registrati dalla polizia slovena che cercherebbero di entrare in Italia anche a causa della chiusura delle frontiere da parte di Svezia e Danimarca. Decisione, questa, che si riflette negativamente sull’Unione Europea nel suo insieme, mettendo sempre più a rischio la sua stessa esistenza, già tanto provata negli ultimi tempi; si riflette negativamente, in particolare, sull’Italia, Paese, con la Grecia, di relativamente facile approdo.

In altri tempi, in diverse circostanze, si sarebbe potuto sperare in una comune, migliore politica europea verso i mìgranti. Oggi, invece, quest’ipotesi sembra allontanarsi sempre più. Si inasprisce, anzi, l’applicazione degli accordi di Schengen, secondo i quali il richiedente asilo deve presentare la domanda e poi rimanere nel luogo di arrivo, senza alcuna possibilità di scegliere il Paese in cui vivere.
Per tale motivo, molti cercano di non essere identificati, una volta giunti in Italia, di evitare il trattenimento nei centri di identificazione, di fuggire, se proprio non si è potuto evitare di esserci condotti. Invece di progredire verso una migliore politica in merito, oggi, nella UE, si va, semmai, verso ulteriori arretramenti. Prevale la sensazione di paura di fronte a migrazioni che si sospetta siano, o possano essere, in parte, almeno, legate al terrorismo (2). Eppure, è a tutti evidente che, data la crisi medio-orientale, è prevedibile continuino i flussi verso l’Europa di singoli e famiglie in fuga da zone di guerra. L’altro difficile percorso, quello via mare, cui l’Italia è ormai da tempo adusa, comporta, in genere, l’attraversamento del Mediterraneo.
Nonostante tutto ciò che i media, a ragione, hanno detto in merito ai rischi e alle difficoltà dei percorsi via terra verso la Germania, quello attraverso il Mediterraneo resta, ad oggi, il viaggio più pericoloso, oltre che il più oneroso in termini economici. Lo sanno bene coloro i quali, soprattutto dal Nord Africa, lo hanno tentato.
Giungere in Europa via mare costa di più: bisogna pagare a caro prezzo il passaggio su qualche barca strapiena, che magari affonderà. Si rischia di più, quindi, di morire nel viaggio, come è accaduto a ben 3.419 persone, nel 2014, secondo i dati forniti dall’UNCHR. Si muore anche nel mare davanti alla Grecia e alla Turchia.

Chi arriva fugge dalle guerre, da catastrofici mutamenti climatici, dalla fame. Cerca lavoro, un’esistenza diversa. Eppure, oggi, vari Stati europei pensano a barriere difensive. Se non ve ne sono di naturali, si erigono barriere ipotizzate ad hoc, anche se le politiche di contenimento si sono finora rivelate sempre inutili.
Non hanno mai saputo scoraggiare, fermare i flussi. Anche la prevista «redistribuzione» dei migranti nei vari Stati europei ha funzionato poco. Si ricorderà, infatti, che, in seguito agli accordi raggiunti, Grecia e Italia avrebbero potuto teoricamente contare sulla possibilità di far proseguire verso altri Paesi europei circa 40.000 persone, tra Siriani ed Eritrei, nel giro di due anni. Certo, si trattava di accordi non coercitivi: gli altri Stati avevano espresso, in merito, una loro teorica disponibilità. In realtà, Grecia e Italia sono rimaste con molti problemi, data l’indisponibilità di fatto, da parte dei partner europei, ad accogliere i migranti. Tanto che si è parlato di un flop, a questo riguardo (3).

È vero che il cosiddetto governo della pressione migratoria non è mai stato e non è oggi semplice. Ma duole constatare che Nazioni che si ritengono avanzate, faro di civiltà, non riescano a trovare soluzioni accettabili per chi ne avrebbe diritto, proprio in base ai proclamati diritti umani.
“Medici senza frontiere”, nota e meritoria associazione impegnata in vari luoghi caldi del pianeta, ha espresso la propria preoccupazione perché nei cosiddetti hotspot (nuovo nome per i vecchi centri di identificazione per rifugiati e migranti) si procederebbe troppo spesso con discriminazioni sulla base del Paese di provenienza. Ignorata, quindi, la storia personale del richiedente asilo, base finora imprescindibile di ogni possibile accoglienza, tanto più che l’espulsione di massa è, questa sì, proibita dalla normativa internazionale. Si preferisce procedere con chiusure costose e inefficienti, come ha denunciato tempo fa Lunaria, come confermano i giornalisti di Migrantes file: i costi per espulsioni e rafforzamento delle frontiere sono enormi (forse, sottostimati) – circa 11,3 miliardi di euro spesi negli ultimi 15 anni in Europa per le espulsioni e 1,6 miliardi per il rafforzamento dei controlli alle frontiere. Cifre non giustificabili con i risultati ottenuti, a prescindere da ogni giudizio etico (4).

L’Europa attua onerose politiche di chiusura e respingimento contrarie ai proclamati diritti umani.
Non fermano chi fugge da guerre, fame e malattie. L’Italia non è in grado di garantire adeguate politiche di contenimento. Da più parti si è rilevato che, tra il 2014 ed il 2015, sono entrate circa 325.000 persone.
Di queste, una piccola parte, circa 100.000, è stata collocata nei previsti centri. Qualche centinaio è stato espulso. Si ignora cosa sia accaduto degli altri. L’Europa sembra impotente quanto l’Italia. Le reazioni di chiusura e respingimento – muri compresi – non risolvono il problema. Rischiano, semmai, di far saltare i tentativi di elaborazione di linee politiche comuni al riguardo. Di rendere più avvelenato il clima in cui tutti ci troviamo a vivere.
Non ha funzionato il muro nel caso di Israele/Palestina, dove esso divide in due i villaggi e separa membri della stessa famiglia. Semmai, ha inasprito notevolmente la contrapposizione. Anche perché implica posti di blocco, insicurezza, file, ritardi. Se c’è un malato – e questa evenienza si è più volte verificata – possono essere fatali, con tutte le immaginabili conseguenze in termini di detestazione profonda e rancori secolari.
Neanche il famigerato muro che divide Messico e Usa ha fermato le migrazioni verso la California. Ha prodotto, questo sì, molti morti. Come il muro di Berlino, a suo tempo. Un altro luogo noto per le sue strutture difensive, di contenimento dei potenziali richiedenti asilo e migranti, è quello di Ceuta, Marocco. Con Melilla, enclave spagnola particolarmente concupita da chi intenda passare in Europa. Frontiere sorvegliate, con alte strutture ferree che escludono gli irregolari ed incanalano coloro i quali accedono con passaporti o regolari permessi.
Altri attendono nei boschi un’occasione per eludere il muro. Come in altri posti simili, qui sorge una piccola economia sommersa, a partire dal luogo in cui si deve lasciare la macchina, ad esempio, nella speranza di ritrovarla poi la sera, al rientro, con le ruote intatte, con la benzina: meglio pagare una sorveglianza. Se qualcosa non funzionasse, si avrà comunque bisogno di chi vada in cerca di una camera d’aria, carburante o altro. Come altrove, qui si intessono piccole attività di ristorazione, di pronto soccorso per viandanti stanchi.
I muri, è noto, non hanno mai fermato moti migratori determinati da ragioni strutturali. Siano essi eretti dagli uomini, come quelli di cui si è fin qui parlato, o barriere naturali, come il Mediterraneo. Eppure, oggi, in Europa, muri inediti vengono fortunosamente eretti, nella speranza di un impossibile contenimento.
In pratica, ciò rende il percorso più difficile a molti. Più gente è morta e morirà nel viaggio.
Ma non fermerà di certo chi è mosso da ragioni forti, di tipo costrittivo. Che fare?
Da tempo gli studiosi si richiamano alla necessità di definire un diritto internazionale dei migranti, di rivedere gli accordi di Dublino. Le circostanze, però, portano oggi molti a ipotizzare, piuttosto, una militarizzazione delle frontiere. Il clima determinatosi con gli attentati di Parigi aiuta la visione della chiusura, l’ideologia della sicurezza. Ai danni di una UE che voglia difendere il diritto di migrare.


Maria Immacolata Macioti
, Sociologa, già Professore Ordinario all’Università di Roma la Sapienza, Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione. Cura la redazione del trimestrale “La critica sociologica” (Fabrizio Serra Editore); coordina la sezione di Sociologia della Religione dell’AIS, Associazione Italiana di Sociologia

(1) Cfr. di Fiorenza Sarzanini, Migranti, cresce pressione Slovenia. Roma pronta a ripristinare i controlli.
(2) La Francia ha proclamato lo stato di emergenza per tre mesi dopo gli attentati di Parigi del 2015 e ha chiuso le
frontiere. Lo sa bene l’Italia, trovatasi a dover gestire profughi che speravano e credevano di poter attraversare il nostro Paese per recarsi in Francia. Va anche ricordato che l’Italia è stata sottoposta a procedura di infrazione per la mancata registrazione di molti migranti attraverso la foto segnalazione.
(3) L’ipotesi era di un ricollocamento di 80 persone al giorno. In tre mesi ed oltre sono state ricollocate, di fatto, 190 persone. Si auspica che altre 50 possano essere ricollocate entro il 15 gennaio.
(4) V. Newsletter di Giuseppe Casucci (UIL) in data 5.1.2016.

 

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