Dissidenti a Cuba, rifugiati in Europa

Nonostante il disgelo con gli Stati Uniti, nell’Isola la libertà di espressione non è ancora tutelata. Lo sa bene Ahmed, che da Budapest racconta la sua storia tra dibattiti sull’economia caraibica e rischio di finire in carcere

Angela Caporale

Ahmed RemediosIl disgelo tra gli Stati Uniti e Cuba è ormai realtà. Prove di dialogo, strette di mano, incontri diplomatici, la cancellazione di Cuba dalla lista degli “Stati canaglia” e, infine, la riapertura dell’ambasciata USA a L’Havana raccontano una storia di apertura tra i due Paesi, dopo decenni di ostilità. L’accordo è stato raggiunto anche in seguito alla riduzione del controllo sulla rete e al rilascio, da parte del Governo cubano, di decine di prigionieri politici detenuti nelle carceri dell’isola.
Il primo segnale di distensione è stato registrato nel dicembre del 2014, quando il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha deciso di riprendere le relazioni diplomatiche con Cuba e ha ripetutamente incontrato Raul Castro in segreto, prima, e pubblicamente, poi. Secondo un sondaggio dell’Atlantic Council, l’opinione pubblica statunitense non è più così fredda nei confronti del baluardo comunista dell’America centrale, spinta, in particolare, dalla popolazione di origine ispanica. Lo stesso Obama non ha nulla da perdere.
Al contrario, essere fautore del disgelo con i Castro non può che giovare all’immagine di un Presidente che ha fatto del cambiamento la sua parola d’ordine.

All’apertura di Obama fa da contraltare lo scetticismo di alcuni gruppi, primi tra tutti gli esuli cubani, che vivono soprattutto in Florida e che, storicamente, svolgono pressioni su Washington affinché mantenga l’embargo. L’economia non rappresenta l’unico settore oggetto della campagna di advocacy dei Cubani negli States. Vengono mosse anche feroci critiche al trattamento riservato dai Castro ai cittadini che si oppongono, in qualche modo, all’operato governativo. Gli esuli denunciano che i Castro hanno una lunga storia di rilasci strategici di prigionieri politici in concomitanza di visite di diplomatici stranieri, come nel 2010, in occasione della visita del Ministro degli Esteri spagnolo. Anche la liberazione di 53 detenuti in conseguenza del disgelo con gli Stati Uniti non ha rallentato il trend di arresti di oppositori di vario tipo.
Nel 2014, tale andamento era aumentato del 30% rispetto all’anno precedente. Secondo il Wall Street Journal, sono stati più di 1.000 i dissidenti arrestati dopo l’annuncio di Obama della ripresa delle attività diplomatiche. Amnesty International rincara la dose in un report di inizio anno: “Il rilascio di prigionieri non sarà niente più di una copertura se non è accompagnato da un processo di espansione dello spazio di libera e pacifica espressione di ogni tipo di opinione a Cuba”.

Proprio le reiterate violazioni del diritto di espressione e di opinione, tutelato dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, di cui Cuba è Stato firmatario, sono nel mirino delle organizzazioni internazionali. Human Rights Watch ha dichiarato che i Castro “applicano leggi draconiane e falsi processi per incarcerare a dozzine coloro i quali hanno osato esercitare le loro libertà fondamentali”.
Cosa succede a chi esprime la sua opinione discordante? Secondo la “dangerousness law” è possibile, per le forze di polizia, arrestare qualsiasi persona che si suppone possa, in futuro, compiere qualche reato sulla base delle attuali opinioni. Una volta nel mirino, prima viene notificata la “pericolosità”, poi si possono subire condanne fino a quattro anni di carcere, in condizioni precarie, per essere “ri-educati”.

Così è successo anche ad Ahmed, 30 anni, giornalista che, per vivere, si è reinventato tatuatore. Ahmed ha ereditato il suo nome dall’esperienza in Angola del padre. Oggi si trova a Budapest ed è un rifugiato politico, il primo a cui lo status sia stato riconosciuto per motivi politici e d’opinione, almeno in Ungheria.
La strada è stata, però, lunga e travagliata. Negli ultimi anni la vita di Ahmed si è intrecciata con quella di altre migliaia di richiedenti asilo: a lungo, infatti, è stato ospitato a Debrecen in uno dei campi di raccolta per richiedenti asilo saliti alla ribalta per la presenza di migliaia di rifugiati siriani. Nessuno racconta la sua storia e quella dei Cubani che scappano dall’isola per raggiungere l’Europa. “Potevo tentare di arrivare in Florida, ma ho paura degli squali. E se poi finivo a Guantamano?”. Così, Ahmed ha preso un volo per Belgrado, destinazione raggiungibile senza visto (come Mosca, ndr). Da lì si è immesso nella rotta balcanica e ha raggiunto l’Unione Europea circa quattordici mesi fa.
“I Cubani che arrivano in Europa in questo modo sono molti di più di quello che si pensa” – racconta – “Statisticamente non siamo rilevanti, ma a Debrecen ne ho visti passare tanti in questi mesi. Appena prima che io me ne andassi, eravamo una decina, compresa una famiglia con un ragazzino di 14 anni.” Ahmed ha deciso di scappare da Cuba perché, a casa, è considerato pericoloso da quando, durante una lezione all’Università, ha deciso di proporre un dibattito sull’economia cubana. Il professore ha segnalato la proposta e per Ahmed è diventato impossibile laurearsi: una volta finiti gli esami, tutti i professori hanno rifiutato di fargli da relatore.
“Ho presentato il mio progetto di tesi” – ricorda – “e mi sono visto rispondere che non avrebbero laureato uno studente le cui convinzioni non corrispondessero con i principi della rivoluzione cubana.
È stato un colpaccio.” I lavoretti, i tentativi di continuare a fare il giornalista e poi le amicizie con altri oppositori politici hanno segnato gli anni successivi, le prime convocazioni della polizia e, infine, la dichiarazione di “pericolosità”. A quel punto, Ahmed ha deciso di scappare in Europa: “Non ho lasciato Cuba perché la dittatura dei Castro mi rende difficile vivere lì, sono scappato perché la minaccia alla mia sicurezza era diventata così seria che non ho avuto scelta.”

Oggi, dall’Ungheria, sogna la Spagna, dove potrebbe parlare la sua lingua, o anche l’Italia per ricostruirsi una vita. È, però, bloccato nel limbo della burocrazia. Nei dieci mesi da richiedente asilo ha collaborato con le associazioni che gestiscono il campo, ha comprato gli strumenti per fare tatuaggi agli altri richiedenti asilo, ha vinto il torneo di scacchi tra gli ospiti. Oggi, a Budapest, le cose vanno meglio, ma l’Ungherese è una lingua complessa e, senza parlarlo in modo fluente, e senza tutti i documenti in tasca, trovare un lavoro è un’impesta complicata, per non dire impossibile. Ahmed, però, non perde fiducia ed ottimismo: “Ad essere onesto, so di essere fortunato a trovarmi qui. Allo stesso tempo, però, è terribile perché ho dovuto lasciare trent’anni della mia vita indietro con tutte le persone che amo. Poi c’è la rabbia per questo processo, che sembra non finire mai, e l’insicurezza: ogni giorno potrebbe essere quello in cui mi arrivano i documenti e posso andare via da qui, oppure quello in cui mi rimandano a Cuba, dove non diventerei altro che l’ennesimo prigioniero di coscienza.”

Angela Caporale, caporedattrice di SocialNews, giornalista e social media manager freelance

Angela Caporale

Giornalista pubblicista dal 2015, ha vissuto (e studiato) a Udine, Padova, Bologna e Parigi. Collabora con @uxilia e Socialnews dall’autunno 2011, è caporedattrice della rivista dal 2014. Giornalista, social media manager, addetta stampa freelance, si occupa prevalentemente di sociale e diritti umani. È caporedattore della rivista SocialNews in formato sia cartaceo che online, e Social media manager. 

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