Sulla Siria si delinea il futuro dell’Europa

guerra siriaLa guerra civile in Siria tra il governo di Bashar al-Assad e le varie fazioni di ribelli con il coinvolgimento dello Stato Islamico e di al-Qaeda – rappresentata nella zona da al-Nusra –  ha causato milioni di sfollati. Oltre 13.5 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari, secondo le Nazioni Unite circa sei milioni di bambini hanno bisogno di assistenza di base. In cinque anni di conflitto, sono morte più di 250mila persone, in termini percentuali stiamo parlando dll’11,5% del totale della Siria pre-guerra. Il 45% della popolazione non ha un posto dove vivere; la speranza di vita alla nascita è oggi 55,3 anni, prima era oltre i 70 anni.
Parlare di dati drammatici è poco.
Proprio in questi giorni, molti sono i tentativi dispiegati per una risoluzione del conflitto. Rappresentanti di Stati Uniti, Unione europea e Russia, prima a Ginevra ed ora a Monaco, si sono riuniti attorno a un tavolo per provare a ricucire gli strappi. Proprio poche ore fa è stato annunciato che siamo ad un passo da un accordo: sarà tregua temporanea.
L’intesa siglata dall’International Syria Support Group (ISSG) – un gruppo composto dai 17 paesi-interlocutori per i colloqui di pace in Siria – esclude tuttavia il coinvolgimento di alcune fazioni estremiste attive in Siria, come per esempio l’Isis e al-Nusra, che potrebbero continuare a operare indipendentemente dalla recente intesa. L’accordo non prevede l’interruzione totale dei raid aerei da parte della Russia, anche se il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha dichiarato che i bombardamenti sul territorio siriano saranno limitati.
In ogni caso l’obiettivo primario è permettere e garantire un accesso dei convogli umanitari alle città assediate. Inoltre creare un momento di tregua è finalizzato ad ottenere un cessate il fuoco entro una settimana e la ripresa del negoziato di Ginevra tra il regime e i ribelli.
Il problema è che, nei fatti, questo darà alla Russia il tempo per piegare la ribellione e dare alle forze di Assad la possibilità di riconquistare le posizioni del Nord della Siria. Il tutto mentre gli Stati Uniti, dal canto loro, si limitano a lasciar correre, disinteressandosi sempre più del conflitto. Il motivo di questo atteggiamento è abbastanza semplice. Washington non vuole (più) essere coinvolta in Medio Oriente perché ritiene che gli interessi vitali degli Stati Uniti non siano più in gioco nella regione. Dal punto di vista della Casa Bianca, una vittoria del regime vale esattamene quanto quella dei ribelli e delle potenze regionali che li sostengono: che siano le forze sostenute dall’Iran a prevalere sull’Arabia Saudita o viceversa non cambia molto perché gli Stati Uniti sono nelle condizioni di stringere accordi con entrambe le potenze.
Un Medio Oriente sprofondato in una guerra dei trent’anni sarebbe, al contrario, una tragedia non soltanto per i paesi dell’area, ma anche per l’Europa. Di certo gli Stati Uniti, lontani dal conflitto, non ne subiscono le conseguenze mentre sono tutti concentrati ad espandere la loro egemonia più ad est. Per Washington, oggi, quello che conta è la sua rivalità con la Cina e lo sviluppo strategico nel Pacifico.
La piccola grande Europa, però, è ad un passo dalla Siria e ormai non può restare indifferente a quanto accade a Damasco. Un accordo è vitale per il Vecchio Continente che vede proseguire costante il flusso di migranti e richiedenti asilo che bussa alla sua porta. Ha mostrato forte la parte peggiore di sé, l’Unione Europea, oscillando tra politiche tardive e costruzione di muri, ma di sicuro non può restare indifferente. Al contrario, non deve smettere di agire affinché un accordo per la pace della regione sia raggiunto al più presto, e mantenuto.

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