Non sono un terrorista

Sindrome di Asperger*

Massimiliano Fanni Canelles

“Io penso che, alla fine dei conti, non sarà una poesia a impedire che dei bambini vengano bruciati. Tuttavia, se una testimonianza sopravviverà, sarà, appunto, quella poesia”.
Così il compositore Pierre Boulez rifletteva sull’utilità dell’arte. Quella stessa arte con la quale “non si mangia”, ma che, nonostante tutto, riveste un ruolo ancora fondamentale – per fortuna! – nella nostra società.
Oggi è il cinema che, più della poesia, è capace di raggiungere un pubblico sufficientemente vasto e, di conseguenza, può rappresentare un baluardo di civiltà e conoscenza contro il logorio del tempo.

Proprio in questo contesto, e alla luce di ciò che accade di fronte ai nostri occhi ogni giorno, mi sento di consigliare la visione di un film capace di trasmettere un messaggio incredibilmente forte.
Faccio riferimento a “Mi chiamo Khan e non sono un terrorista”, del regista indiano Karan Johar.
In Italia abbiamo avuto modo di vederlo, presentato fuori concorso, al Festival Internazionale del Cinema di Roma nel 2010. Poi, purtroppo, non ha avuto la notorietà che, a mio avviso, avrebbe meritato.

Khan è un giovane indiano, musulmano, affetto da sindrome di Asperger. Giovanissimo, si trasferisce negli States, dove si sente pronto a cominciare una nuova vita lasciandosi alle spalle tutte le difficoltà del suo Paese.
A San Francisco conosce Mandira, di religione indù, che diventerà presto sua sposa. Una vita assolutamente normale, fatta di lavoro, famiglia, svago. Una dolce tranquillità infranta drammaticamente dagli attentati dell’11 settembre.
La rabbia e l’odio di molte persone vicine alla famiglia di Khan si concentrano sul figlio della coppia, che perde la vita a causa del violento razzismo perpetrato dai suoi compagni di classe. La tragedia segna la vita di Khan.
La stessa Mandira lo ritiene in parte responsabile della morte del figlio. La motivazione? La sua religione.
Decide, quindi, di lasciarlo.

Vi è, tuttavia, una via per il perdono. I due sposi potranno ricongiungersi solo dopo che l’uomo avrà raggiunto il Presidente degli Stati Uniti per affermare pubblicamente: “Mi chiamo Khan e non sono un terrorista”.
Non avendo ben chiaro come fare, anche a causa del suo autismo, ma determinato a riconquistare la moglie, Khan accetta questa sfida paradossale e apparentemente assurda. La sua forte motivazione lo spingerà in un viaggio avventuroso lungo gli Stati Uniti per raggiungere Washington.
Durante i mesi trascorsi in movimento, l’uomo saprà farsi apprezzare per la sua umanità, sconfiggendo, passo dopo passo, molti dei pregiudizi realmente insediatisi nella società americana dopo le Torri Gemelle.

Non basterà questo, però, a salvare Khan: una volta giunto alla Casa Bianca, viene arrestato in quanto “sospetto terrorista”. Di nuovo una spiacevole conseguenza della sua fede religiosa? Una volta in carcere, subite violenze e torture, dimostrare la propria innocenza quando si è sospettati di terrorismo in quegli anni, e forse anche oggi, si rivela un’impresa titanica. Fortunatamente, la storia riesce ad emergere sui media, dando avvio ad un ampio movimento di protesta che chiede la liberazione di Khan, la cui innocenza appare chiara a tutti.

Al di là dell’esito della storia, e del lieto fine che porterà, in qualche modo, Khan a recapitare al Presidente il suo messaggio, ciò che colpisce del film è proprio l’assurdità paradossale della vicenda narrata.
La proiezione lascia un senso di sgomento prodotto proprio dalla consapevolezza, nemmeno troppo celata, che la trama è inventata, ma potrebbe benissimo essere realmente accaduta. Forse, ancor peggio, potrebbe succedere anche oggi.
Appare chiaro come la discriminazione su base razziale e religiosa rappresenti un rischio concreto quando si parla di lotta al terrorismo, così come emerge il bisogno quasi spasmodico, da parte dell’Occidente, di trovare un colpevole che sia altro da sé.

Non sarà un film a cambiare la storia. Forse, però, può costituire un piccolo passo in avanti per non dimenticare di cosa siamo capaci. I tipi umani, gli atteggiamenti e le psicologie che emergono sul grande schermo non sono altro che stigmatizzazione o proiezione di ciò che l’uomo può e fa nel quotidiano.
Lasciamo che “Mi chiamo Khan e non sono un terrorista” ispiri le nostre riflessioni.
Andiamo oltre l’apparenza perché solo dall’unione può emergere un mondo migliore.

Massimiliano Fanni Canelles

* La sindrome di Asperger è un grave disturbo dello sviluppo caratterizzato dalla presenza di difficoltà importanti nell’interazione sociale, da schemi inusuali e limitati di interessi e di comportamento. Sono state constatate molte similitudini con l’autismo senza ritardo mentale (denominato ”High Functioning Autism”)

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Tags:

Rispondi