Libertà al popolo curdo: una priorità

La repressione dei Curdi è un capitolo buio mai superato, che continua ancora oggi. Un’ostilità che non finisce mai, resa più crudele dalla strenua resistenza che caratterizza questa gente. Oggi la situazione è ancora più drammatica, vista la crescita del cancro chiamato Isis tra Siria e Iraq.

Lara Comi

Immagine1Persecuzioni, deportazioni, torture, prigionia. Per la minoranza curda non c’è pace. I Curdi vivono prevalentemente in Turchia, Siria, Iraq, Iran e Armenia. Si tratta di un popolo antichissimo (oggi stimato in circa 30 milioni di persone), da sempre senza Patria. Rappresentano la quarta etnia medio-orientale dopo Arabi, Persiani e Turchi.
La repressione dei Curdi è un capitolo buio mai superato, che continua ancora oggi. Un’ostilità che non finisce mai, resa più crudele dalla strenua resistenza che caratterizza questa gente. Sono stati vittime di deportazioni di massa, bombardamenti di villaggi e attacchi con armi chimiche. La loro è una situazione drammatica che, lungi dal risolversi col passare del tempo, sembra complicarsi sempre più.
Negli ultimi anni, a sommarsi alle vecchie sciagure c’è una nuova calamità: il suo nome è Isis. Così, i Curdi si trovano a combattere su più fronti, per difendersi non solo dai nemici tradizionali, ma anche dai nuovi, da quello Stato Islamico che minaccia tutto il Medio Oriente e anche molti Stati africani. Crescono, insieme alla violenza, anche incertezza e ambiguità, poiché il nemico è fluido: ad esempio, nell’attacco suicida del 20 luglio scorso, avvenuto a Suruç, città a maggioranza curda nel sud della Turchia, al confine con la Siria, durante un incontro di attivisti curdi che si preparavano a partire per ricostruire la città di Kobane, sono rimaste uccise 32 persone. L’attacco veniva dallo Stato islamico – così è stato detto – ma i Curdi hanno accusato il Governo turco di aver spalleggiato gli Jihadisti. Due giorni più tardi, i combattenti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), da decenni in lotta per ottenere l’autonomia dei Curdi in Turchia e considerato un partito illegale da Ankara, hanno ucciso due poliziotti turchi per ritorsione. Negli ultimi due anni, il PKK aveva rispettato un cessate il fuoco provvisorio firmato nel 2013, poi divenuto, più o meno, carta straccia.
Sono noti a tutti, per fare un altro esempio, i combattimenti per Kobane del giugno scorso, quando le milizie curde hanno ripreso il controllo della città siriana assediata dall’Isis e gli Jihadisti sunniti sono stati costretti a ritirarsi. Nel corso di una terribile offensiva iniziata qualche giorno prima, l’Isis aveva ucciso circa 200 persone nella zona, giustiziate, cadute sotto i colpi di mortaio o abbattute dai cecchini asserragliatisi in alcuni edifici di Kobane. Si tratta di uno dei più gravi massacri di civili compiuti in Siria dagli Jihadisti. Ma contro i Curdi era intervenuto il Presidente turco Erdogan, che ha accusato i Peshmerga di compiere una pulizia etnica nelle zone liberate dallo Stato Islamico.
Si va avanti così, tra accuse, attacchi e reazioni, senza mai giungere ad una soluzione. La pace non arriva mai. I Curdi continuano ad essere aggrediti, stretti tra i nemici di sempre ed il fondamentalismo islamico. Eppure, contro il Califfato hanno mostrato grande coraggio. Sono stati un esempio di orgoglio e tenacia nel respingere la violenza ed il fanatismo. Un fanatismo che si sta espandendo in tutto il mondo, anche in Occidente. Pensiamo agli attentati terroristici negli Stati Uniti e in Europa. A loro modo, i Curdi cercano di costituire un baluardo. Tuttavia, continuano ad essere perseguitati.
L’Europa deve agire con più decisione, non solo per fermare il terrorismo islamico, ma anche per aiutare i Curdi a superare l’atavica sottomissione ai diversi Stati mediorientali. Tutto il mondo occidentale ha il dovere morale di aiutare quanti resistono con coraggio al fondamentalismo, e i Curdi sono tra questi. Gli interventi messi in campo finora sono insufficienti, dovremmo essere molto più determinati nel sostenere i Curdi e la loro intrepida difesa contro il Califfato. La Turchia ha avuto la mano leggera con l’Isis, forse auspicando che il Califfato distruggesse la resistenza curda per risolvere i suoi problemi di politica interna. È un comportamento doppio, che rischia, però, di ritorcersi contro la stessa Turchia. Serve un coinvolgimento europeo più radicale.
Fin dagli anni ‘90 l’Europa ha dedicato risorse cospicue all’integrazione dei rifugiati, finanziando progetti comunitari e progetti pilota nei singoli Stati membro. Alcuni di questi riguardano, in particolare, l’integrazione dei rifugiati curdi in Germania.
Adesso, però, siamo giunti ad un punto di svolta. Il rispetto per le minoranze e la promozione della libertà e della Democrazia devono tradursi in azioni concrete, in una politica estera comune che ancora non esiste nella UE, ma che deve diventare un obiettivo primario. Se vogliamo garantire la libertà al popolo curdo, e se vogliamo fermare il cancro del terrorismo, questo traguardo deve essere centrato al più presto.

di Lara Comi, eurodeputata al Parlamento Europeo per Forza Italia

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