La schiavitù sessuale delle donne yazidi

Dietro le donne del popolo yazide rese schiave e costrette a vivere l’inferno, c’è il nome dell’Isis.
Un nuovo capitolo che si aggiunge alla storia della violazione dei diritti umani.

di Giovanna De Filippo

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(foto rainews)

Il 25 novembre ricorre la Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne. Una data scelta non a caso dalle Nazioni Unite che hanno voluto così ricordare la storia delle sorelle Mirabal, diventate eroine nazionali nella lunga e crudele lotta contro il regime guidato dal dittatore Trujillo, nella Repubblica Dominicana. Episodio finito in tragedia e accaduto a tre sorelle dominicane il 25 novembre 1960.

Da quando nel 1999 venne istituita tale Giornata si ricordano tutte le vittime di genere per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo le violenze fisiche e psicologiche che milioni di donne, in ogni parte del mondo, sono costrette ad affrontare e per ricordare che le donne non devono subire soprusi.

Ma la lotta alla violenza è ancora lunga e sanguinosa se si pensa a l’altra parte del mondo in cui si è insediato il temutissimo quanto discusso Stato Islamico che nell’espandersi sta radendo al suolo tutto ciò che gli capita a tiro, non curante di trovare di fronte altri esseri umani. Donne, bambini, uomini costretti a convertirsi e ad essere crudelmente martoriati, “semplicemente” perché non sono musulmani. Sì, perché tutti loro sono Yazidi, un gruppo di popolazioni di origine e di lingua curda, con religione propria, lo Yazidismo – appunto.

Insediati a nord dell’Iraq, in particolare nella città di Mossul, sono perseguitati dai miliziani islamici che li ritengono miscredenti poiché la loro fede impone di credere in un Dio che è in relazione con il mondo attraverso sette angeli, il principale dei quali si chiama Melek Taus, “Angelo Pavone”, ma che il Corano con questo nome indica il Diavolo. Di conseguenza gli Yazidi sono definiti da IS adoratori del demonio.

Per tale ragione questa etnia continua ad essere tragicamente colpita da quando l’ISIS ha assediato i loro villaggi nell’estate del 2014. Fino a 5000 uomini uccisi – come testimonia l’ONU – ma i dati più preoccupanti riguardano le tantissime donne e bambine (più di 5000) rapite con la forza dalle loro abitazioni e portate chissà dove per essere violentate, torturate e vendute ai ricchi uomini del califfato. Una vera e propria tratta delle schiave. Un nuovo capitolo che si aggiunge alla storia della violazione dei diritti umani.

L’iter seguito è semplice: si dividono gli uomini, fatti sdraiare a terra per poi fucilati, dalle donne, le quali vengono caricate su camion, portate in una città vicina e vendute in poche settimane. I bambini invece vengono accorpati alle donne oppure uniti agli uomini e uccisi come loro. Poi si fanno ulteriori divisioni, le donne più anziane dalle donne belle e giovani costrette a diventare spose, le donne vergini (visitate da medici per testare se mentono) da quelle con figli.

Come raccontano i servizi dei tanti di giornalisti, ricercatori, attivisti partiti da ogni luogo per denunciare una violenza simile, ci si imbatte in testimonianze che fanno letteralmente rabbrividire, di donne che sono riuscite a fuggire dalle grinfie dei violentatori.

Violentate più volte in una giornata, seviziate continuamente davanti a tutti, private dei veli e fatte sfilare. La donna, ritenuta un oggetto, non ha alcuna dignità, vale meno di zero, anzi un valore ce l’ha. Fino a poco tempo fa la donna aveva una taglia di 1000-3000 dollari, ora il prezzo è salito a 10000. È una merce pregiata, rara. Esse sono il business attuale dell’ISIS.

E se provano a opporsi, per loro è la fine. Una donna racconta la barbarie che ha subìto nei mesi in cui è stata lì, quando con coraggio ed esasperazione ha provato a difendere una sua amica di soli 14 anni scelta da un uomo per soddisfare i suoi desideri. Nei suoi occhi, il dolore dei ricordi è atroce.

Racconta di essere stata bendata e legata per poi lanciata dal primo piano del capannone che raccoglieva ben 1500 donne. Non è tutto: all’ordine del giorno vi sono scosse elettriche, bastonate, bambine di 7- 8 anni stuprate e “pronte” per diventare spose. Racconta ancora che preferivano non lavarsi perché avevano paura anche dell’acqua: poteva contenere del gas per stordirle. Molte di loro non ce la fanno, si suicidano perché impotenti di fronte a tutto questo. Preferiscono la morte alle torture che portano a una lenta e dolorosa agonia.

Tutto questo è impensabile e terribilmente lontano per noi occidentali. Ma tutto questo è reale. Come spiega Narin, giornalista e attivista per la questione degli Yazidi “è in atto qualcosa di disumano. E il mondo sta zitto, nessuno dice nulla.

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