La magistratura di sorveglianza

Bisogna migliorare il funzionamento della magistratura di sorveglianza e degli uffici dell’esecuzione penale esterna

Rita Bernardini

ImmagineDopo l’umiliazione subita con la cosiddetta sentenza “Torreggiani”, con la quale la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per “trattamenti inumani e degradanti” (ottobre 2013), da diversi mesi sono in corso gli stati generali sulle carceri.
Secondo le intenzioni del Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, dovrebbero elaborare una proposta di riforma per un modello di esecuzione della pena “all’altezza dell’articolo 27 della nostra Costituzione, non solo per una questione di dignità e di diritti, ma anche perché ogni detenuto recuperato alla legalità significa maggiore sicurezza per l’intera comunità”.
Ottime intenzioni. Anch’io vi collaboro, essendomi stato affidato il coordinamento di uno dei 18 tavoli di lavoro, quello relativo all’affettività in carcere e alla territorialità della pena. Il tavolo sta lavorando bene per lo spessore umano e professionale dei componenti. Entro i tempi stabiliti, a metà novembre, presenteremo un pacchetto di proposte riguardanti i seguenti temi: necessità di assicurare la vicinanza dei detenuti alla famiglia, con particolare attenzione alle esigenze affettive dei minori; ampliamento e qualità di colloqui e telefonate; permessi straordinari che riguardino anche eventi felici, non solo quelli tragici per cui vengono concessi oggi; permessi premio e di affettività; colloqui intimi in appositi locali attrezzati del carcere, affinché i detenuti possano incontrare il coniuge o il/la convivente anche per consumare rapporti sessuali, come avviene in altri Paesi europei che hanno compreso come la sessualità rappresenti un elemento fondamentale per la salute della persona. Mi permetto, però, di segnalare ai lettori due problemi colpevolmente trascurati da decenni da tutti i Ministri della Giustizia succedutisi. Riguardano il funzionamento, a dir poco deficitario, della Magistratura di sorveglianza e degli Uffici dell’esecuzione penale esterna, due infrastrutture che, se private della loro adeguata operatività, mettono in ginocchio qualsiasi riforma, anche quella armata delle migliori finalità.
Dai dati fornitimi dal Presidente del Coordinamento dei Magistrati di Sorveglianza, il dottor Nicola Mazzamuto, risulta che, attualmente, rispetto all’organico previsto (206 magistrati) mancano 15 giudici.
Significa che molti dei 181 giudici in servizio devono gestire un numero elevatissimo di detenuti quanto a permessi, ammissione al lavoro all’esterno, semilibertà, detenzione domiciliare, affidamento in prova ai servizi sociali, misure di sicurezza, oltre a dover vigilare sull’organizzazione degli istituti penitenziari sotto il profilo del rispetto dei diritti umani dei reclusi. Vero è che il Ministro ha promesso di aumentare l’organico di ulteriori 15 unità, ma occorrerebbe sapere quanti siano effettivamente i giudici in servizio: capita troppo spesso che, per malattia, legittime esigenze di assistenza ai familiari o nomine in commissioni d’esami, molti posti rimangano scoperti. In questi casi, il detenuto passa dal giudice che dovrebbe seguirlo in un percorso di reinserimento personalizzato ad un altro che nemmeno lo conosce. Per non parlare delle carenze di organico di altre figure professionali appartenenti agli Uffici, i quali, se troppo sguarniti, possono incorrere nella paralisi.
Quanto, invece, agli Uffici dell’esecuzione penale, i cosiddetti UEPE, adibiti al reinserimento sociale dei detenuti, la carenza degli organici è ancora più eclatante e, quindi, preoccupante. Non si hanno dati ufficiali (già, perché?). Quello che si sa lo riprendo da un recente articolo uscito sul Giorno. Il pezzo focalizzava l’attenzione sulla drammatica situazione lavorativa dell’UEPE di Pavia, ma forniva anche dati nazionali. Sui 1.600 assistenti sociali previsti, solo 900 sono presenti. Hanno in carico “circa 33.000 misure e sanzioni non detentive (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, lavoro di pubblica utilità, messa alla prova, ecc.), 29.000 richieste per l’attività di indagine e consulenza svolta per il carcere e la magistratura, 6.000 casi per i lavori di pubblica utilità per violazione del codice della strada, 3.000 persone che svolgono la messa alla prova e 9.000  richieste di indagine per ottenere la messa alla prova”.
In questo desolante quadro di risorse si inserisce la scommessa degli stati generali delle carceri. Non smetterò di ripeterlo e di chiederlo: vorrei che si partisse da dati di conoscenza dettagliata della situazione, senza i quali si rischia di fare un clamoroso buco nell’acqua. Di denari pubblici per le carceri ne spendiamo moltissimi – 3 miliardi all’anno! – ma solo una modesta percentuale di questa enorme somma viene destinata a quanto prescrive lo stracitato articolo 27 della Costituzione sulla finalità della pena.

di Rita Bernardini,

Segretaria dei Radicali Italiani

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