Il nome: le attuali regole

Il prenome viene scelto dai genitori, mentre il cognome segna l’appartenenza ad una determinata stirpe. L’ordinamento italiano regola le fattispecie di attribuzione del nome, appunto, e prevede che vi siano delle norme per tutelare i cittadini. Appare evidente nella trattazione il prevalere della tradizione patriarcale del Belpaese.

Il nome è il primo segno di identificazione e di distinzione della persona (la Relazione al Re, allegata al Codice Civile del 1942, lo qualifica come “elemento distintivo della personalità”). Per questa ragione, il diritto al nome è considerato un diritto della personalità, diritto assoluto, come se si trattasse di una proprietà.
Il nome non coinvolge esclusivamente interessi di diritto privato: sussiste, infatti, un fondamentale interesse pubblico all’individuazione dei soggetti tramite un nome. L’identificazione pubblicistica degli individui non si basa solo sul loro nome, a causa della frequenza dei casi di omonimia. Ecco, allora, che vengono in rilievo ulteriori elementi di caratterizzazione, quali la data e il Comune di nascita, la residenza e il codice fiscale.
L’interesse pubblicistico si evince anche dalla nostra Carta costituzionale, secondo la quale (art. 22) deve escludersi che qualcuno venga privato del proprio nome per motivi politici.
Sotto il profilo giuridico, il nome è composto da un prenome e da un cognome. Stando, invece, al gergo comune, il “nome” identificherebbe solo il prenome.
Generalmente, il prenome viene scelto dai genitori. In Italia si utilizzano comunemente i nomi dei santi.
Il cognome denota l’appartenenza ad una determinata stirpe, con le precisazioni che effettueremo qui di seguito.
La prima regola da menzionare è quella per cui il figlio di genitori uniti in matrimonio tra loro acquista il cognome del padre. Si tratta di una norma priva di un’immediata fonte nella legge, ma che si evince dalla disposizione codicistica che concerne l’attribuzione del cognome paterno in seguito al riconoscimento del figlio effettuato da entrambi i genitori (art. 262 c.c.). Per analogia, quindi, tale disposizione si applica anche al figlio nato da genitori coniugati tra loro.
La riforma della filiazione, avvenuta con l. 10 dicembre 2012, n. 219 (attuata col d. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), ha abrogato l’istituto della legittimazione: non assume, quindi, più alcun rilievo quanto previsto dalla legge per la modifica del cognome in seguito a legittimazione.
La riforma menzionata ha conferito un nuovo volto all’art. 262 c.c. L’intervento si evince dalla rinnovata rubrica “Cognome del figlio nato fuori del matrimonio”. La norma dispone che il figlio assuma il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto.
In caso di contemporaneo riconoscimento da parte di entrambi i genitori, il figlio assume il cognome del padre. Se, invece, la filiazione nei confronti del padre viene riconosciuta dopo il riconoscimento effettuato dalla madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre.
Le regole appena esposte riflettono le nostre tradizioni giuridiche, legate ad una prevalenza della figura maschile nel campo del diritto di famiglia. Si pensi che è addirittura escluso che una concorde volontà dei coniugi possa consentire una deroga al principio di assunzione del cognome paterno da parte del figlio, come affermato dalla Consulta.
Deve ammettersi che il menzionato retaggio della tradizionale impostazione patriarcale non risponde più all’attuale quadro sociale della famiglia italiana. Ciononostante, la discrasia permane: i diversi progetti di legge dedicati all’equiparazione tra il cognome materno e quello paterno non hanno, infatti, mai condotto all’emanazione di una legge di riforma della disciplina del nome.
La continuità che si è data al solo cognome paterno esclude, così, che il cognome di un soggetto possa essere considerato un effettivo segno di identificazione legato all’appartenenza ad un determinato gruppo familiare: tale gruppo è, infatti, formato anche dalle donne, private della facoltà di trasmettere il proprio cognome.
La giurisprudenza amministrativa ha provato a superare, sotto altra angolazione, il problema: il Consiglio di Stato ha, infatti, ritenuto che debba essere annullato il rigetto ministeriale dell’istanza di aggiungere, in sede di rettificazione e per ragioni affettive, il cognome materno a quello paterno.
Al riguardo, si deve segnalare che il diniego di modifica, in uno Stato, del cognome di un soggetto con più cittadinanze, al fine di renderlo uniforme a quello – doppio, paterno e materno – assunto in base alla legge di un altro Stato di cui il soggetto stesso sia cittadino, contrasta con i principi di diritto comunitario, in particolare col principio di non discriminazione in relazione al cognome.
La legge si occupa anche del caso in cui il figlio abbia assunto il cognome scelto dall’ufficiale di stato civile: se la filiazione nei confronti del genitore viene riconosciuta dopo l’attribuzione del cognome da parte dell’ufficiale di stato civile, il figlio può mantenere quest’ultimo cognome – che ben potrebbe essere qualificato come segno distintivo della sua identità personale – aggiungendolo o anteponendolo, eventualmente, al cognome del genitore. Se si tratta di un minorenne, è il giudice a decidere circa l’assunzione del cognome del genitore, dopo aver ascoltato il figlio che abbia compiuto gli anni dodici, ma anche di età inferiore, se capace di discernimento.
Da quanto esposto, si nota come il nostro ordinamento attribuisca rilevanza al diritto del minore alla propria identità personale, prendendo in considerazione, al riguardo, l’ambiente in cui è vissuto: si è detto, infatti, che l’interesse alla conservazione del nome originariamente assunto esclude l’automatico acquisto del cognome del genitore che opera il riconoscimento.
Con riferimento al minore adottato con adozione piena, si nota come, tuttavia, per ragioni di aderenza allo spirito dell’adozione legittimante, questi perda il proprio cognome originario, assumendo quello del padre adottivo.
Se si tratta, però, di adozione in casi particolari, la regola cambia: in questo caso, il cognome dell’adottante si antepone a quello originario. Così, a tutela dell’interesse su individuato, questo non viene perduto. La norma è mutuata da quella sull’adozione dei maggiorenni (art. 299 c.c.).
Il nome si acquista anche in seguito al matrimonio: precisamente, la moglie aggiunge al proprio il cognome del marito, fino ad eventuali nuove nozze (art. 143 bis c.c.). Il divorzio fa perdere alla donna il cognome dell’ex marito, ma, in linea con i principi sopra evidenziati, il giudice può autorizzarla a mantenere il cognome acquisito, ove riscontri un interesse meritevole di tutela in tal senso (art. 5, l. 1 dicembre 1970, n. 898).
La citata regola di acquisto del cognome, in Italia, vale solo in un senso: il marito, infatti, non acquista il cognome della moglie, a differenza di quanto avviene in altri ordinamenti.
Quanto al prenome, esso deve corrispondere al sesso e può essere composto al massimo da tre elementi onomastici (art. 35, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, ordinamento dello stato civile). La scelta spetta, generalmente, ai genitori. Per l’esattezza, il prenome viene indicato nell’atto di nascita (art. 29, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, ordinamento dello stato civile) e la dichiarazione di nascita, necessaria per la formazione dello stesso, può essere resa da uno dei genitori, indipendentemente dalla volontà dell’altro. Il genitore che provvede agli oneri necessari per la formazione dell’atto di nascita ha, così, piena facoltà di indicare il nome del figlio.
In dottrina, qualcuno ritiene che la decisione sul prenome dovrebbe essere assunta d’accordo da entrambi i genitori, per il principio di uguaglianza che regge il loro rapporto in seguito alla riforma del diritto di famiglia. Si arriva a sostenere che il giudice potrebbe intervenire nella scelta del nome in caso di disaccordo tra i coniugi, ai sensi dell’art. 145 c.c..
Non condividiamo tale orientamento dottrinale. Il nome, infatti, risulta legittimamente acquisito dal soggetto in seguito alla formazione dell’atto di nascita su iniziativa di uno dei genitori e il diritto del figlio ad essere identificato non può essere sacrificato in ragione di un disaccordo dei genitori sul punto. Tale disaccordo, peraltro, non può far sfumare le fondamentali esigenze di pubblica identificazione dei nati attraverso l’attribuzione di un nome. Tanto è vero che sussiste il dovere dell’ufficiale di stato civile di attribuire un nome in caso di inerzia da parte dei genitori (o di contrapposizione tra gli stessi, sostanzialmente equiparabile all’inerzia).
Non si può, poi, pensare di dover attendere una pronunzia giurisprudenziale per l’attribuzione di un prenome al nato: dalla pronunzia, in ogni caso, non potrebbe derivare, secondo quanto detto, la perdita del prenome legittimamente acquisito su iniziativa di uno dei genitori.
La tutela della personalità del figlio – il cui interesse è primariamente da tutelare, pur in contrasto con l’interesse di uno dei due genitori che si trovi in disaccordo con l’altro sul nome da attribuire al figlio stesso – che si lega al nome che il soggetto ha già assunto, viene, allora, maggiormente assicurata attraverso l’attribuzione del prenome da parte di un genitore, anche quando non ci sia accordo con l’altro, piuttosto che con l’assunzione di un prenome scelto da un giudice. La scelta del nome non può, quindi, considerarsi un affare essenziale ai fini dell’applicazione dell’art. 145 c.c.
Quando ve ne siano i presupposti, una volta assunto il nome dal figlio, si può procedere, in caso, alla rettificazione.
In relazione ai limiti da rispettare nell’attribuzione di un prenome, si nota che questo non deve essere ridicolo, né vergognoso e non deve corrispondere a quello del padre, del fratello o della sorella viventi (art. 34, 1° co., d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, ordinamento dello stato civile). La scelta di un nome ridicolo per il figlio è esercizio illegittimo della potestà genitoriale, in quanto pregiudizievole per il minore. Se la norma non viene osservata, l’ufficiale di stato civile ne dà notizia al Procuratore della Repubblica ai fini della rettificazione.
Limiti peculiari riguardano l’operato dell’ufficiale di stato civile, il quale deve scegliere il prenome ed il cognome nel caso di ritrovamento di un minore abbandonato: in tale evenienza, nella scelta, non è consentito utilizzare termini che permettano di risalire alla situazione di abbandono e il cognome non può essere mutuato da personaggi storici o da famiglie particolarmente note nel contesto di riferimento. Cfr. Bianca C.M., Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002, 190; De Cupis A., Nome e cognome, in Noviss. Dig. it., XI, Torino, 1965, 300.  Cfr. Stolfi N., I segni di distinzione personali, Napoli, 1905, 85 ss.  Cfr. Planiol M., Traité élémentaire de droit civil, I, Paris, 1954, 154 ss.; Bianca C.M., Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti, cit., 189.  Corte cost., ord., 11 febbraio 1988, n. 176, secondo cui, in assenza di una norma diretta a regolare la fattispecie, la posizione del figlio nato in costanza di matrimonio deve essere paragonata a quella del figlio naturale riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori. Nello stesso senso, Corte cost., ord., 19 maggio 1988, n. 586. La questione, tuttavia, è stata considerata non manifestamente infondata dalla Suprema Corte: Cass. 17 luglio 2004, n. 13298. La Consulta ha, successivamente, modificato le proprie rigide posizioni iniziali, auspicando un intervento legislativo volto alla piena realizzazione dell’uguaglianza tra padre e madre nell’attribuzione del cognome dei figli. Tuttavia, ha ritenuto ugualmente di non poter pronunciare l’illegittimità costituzionale delle norme indicate nel testo, onde evitare vuoti normativi: cfr. Corte cost., 16 febbraio 2006, n. 61. In tal senso, si veda anche Corte cost., ord., 27 aprile 2007, n. 145. Per la giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass., 14 luglio 2006, n. 16093.  Cons. St., sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2572, in Eur. dir. priv., 2005, 829 ss., che manifesta così la propria contrarietà all’assoluta inderogabilità della regola della riconoscibilità dell’individuo tramite il solo cognome paterno.
Tuttavia, è stato precisato, in giurisprudenza, che il mero pericolo di estinzione del casato della madre non può considerarsi sufficiente per ottenere l’autorizzazione all’aggiunta del cognome materno a quello portato in precedenza: cfr. T.a.r. Friuli-Venezia Giulia, 17 gennaio 2000, n. 21, in Giur. amm. Fiuli-Venezia Giulia, 2000, 4, 9.  Cfr. Corte Giust. CE, 14 ottobre 2008 C-353/06; C. giust. CE, 2 ottobre 2003 C-148/02.  Per il periodo precedente la riforma, cfr. Cass., 27 aprile 2001, n. 6098; Trib. Bologna, 27 luglio 2006, in Fam. min., 2007, 1, 71. Più in generale, cfr. Cass., 15 dicembre 2011, n. 27069; Cass., 5 febbraio 2008, n. 2751; Trib. min. Milano, 10 gennaio 2011, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 676; App. Cagliari, 31 marzo 2010, in Riv. giur. sarda, 2011, 279. Corte cost. 16 febbraio 2006, n. 61 ha denunciato la necessità di un intervento normativo volto a prendere atto dell’odierno contesto culturale, in cui uomo e donna devono essere trattati allo stesso modo.  Ad esempio, in Germania, gli sposi vengono invitati a scegliere, come cognome coniugale, quello dello sposo o quello della sposa: cfr. Sturm F., La scelta del cognome: coppie italiane e coppie italo-tedesche stabilite in Germania, in Studi in onore di Giorgio Cian, Padova, 2010, 2393.
Sesta, Manuale di diritto di famiglia5, Padova, 2013, 237, nota come in altri ordinamenti stranieri si diano soluzioni più rispettose del principio di eguaglianza tra i coniugi. Gatto, Cognome del figlio riconosciuto, in Filiazione. Commento al decreto attuativo, a cura di M. Bianca, Milano, 2014, 33 ss., segnala, al riguardo, come l’acquisto del cognome del genitore da parte del figlio soddisfi un’esigenza di valorizzazione dei legami familiari.  Cfr., in tal senso, Alpa G., Ansaldo A., Le persone fisiche, in Commentario al codice civile, a cura di Schlesinger, Milano, 1996, 278.  Cfr., in tal senso, Alpa G., Ansaldo A., Le persone fisiche, cit., 278.  Cfr., sul punto, Napoli E.V., Appunto su famiglia e diritto: la parità tra coniugi nel sistema onomastico, in Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, sez. I, tomo II, Addenda, Milano, 2006, 15 s.  Napoli E.V., Appunto su famiglia e diritto: la parità tra coniugi nel sistema onomastico, cit., 12 s.  Cfr. App. Genova, decr., 14 novembre 2007, in Guida al dir., 2008, 2, 81 ss.

Gaetano Edoardo Napoli, professore Associato di Diritto Privato – Università Unitelma Sapienza di Roma

Angela Caporale

Giornalista pubblicista dal 2015, ha vissuto (e studiato) a Udine, Padova, Bologna e Parigi. Collabora con @uxilia e Socialnews dall’autunno 2011, è caporedattrice della rivista dal 2014. Giornalista, social media manager, addetta stampa freelance, si occupa prevalentemente di sociale e diritti umani. È caporedattore della rivista SocialNews in formato sia cartaceo che online, e Social media manager. 

Tags:

Rispondi