I falsi miti della storia ucraina

Federigo Argentieri

Pur essendo una Nazione dal secolo XVII, l’Ucraina ha ottenuto un’indipendenza duratura soltanto nel 1991. Solo da circa un ventennio sono stati sistemati e catalogati archivi e biblioteche. Questi possono contribuire a delineare un profilo autentico dello sviluppo storico e a mettere a sopire tutto quanto è falso o non chiaramente documentato

Le origini dell’attuale crisi ucraina sono in parte molto lontane nel tempo ed in parte più recenti. Tra quelle lontane spicca la questione della lingua: l’Ucraino è diverso dal Russo, ma i Russi non sono mai riusciti a farsene una ragione. Non si tratta di una diversità più o meno fittizia e artificiosa, come quella tra il Serbo, il Croato, il Bosniaco e il Montenegrino, nella sostanza varianti della stessa lingua. Sono proprio diverse, pur essendovi, naturalmente, una certa affinità. Contiguo a questo, vi è il problema ancora aperto del riconoscimento, da parte russa, che l’Ucraina non solo ha acquisito una statalità indipendente, ma che gode, almeno sulla carta, anche del diritto all’autodeterminazione, a prescindere dal fatto che sul suo territorio viva una cospicua minoranza di etnia russa ed un’ancor più numerosa comunità russofona, sebbene di etnia ucraina.
Lo sfaldamento dell’URSS, avvenuto ormai quasi un quarto di secolo fa, e la volontà tenacemente manifestata negli ultimi dieci anni da una parte consistente dell’Ucraina di sottrarsi alla tutela russa hanno messo a nudo tutti i nodi quasi inestricabili del groviglio, per dipanare i quali, oltre che uno spirito collaborativo della comunità internazionale finora presente solo a tratti, sarà necessaria molta pazienza unita a tenacia. La crisi iniziata nel novembre scorso ed aggravatasi bruscamente a febbraio, inoltre, ha fatto riaffiorare tutta una serie di leggende relative alla storia ucraina che distorcono la percezione di quanto sta accadendo e che vanno affrontate e smontate, se si vogliono capire fino in fondo tutte le componenti di una situazione complessa.
Tali leggende tendono a fiorire perché l’Ucraina, pur essendo una Nazione dotata di una sua precisa identità almeno fin dal secolo XVII, ottenne un’indipendenza duratura soltanto nel 1991.
Senza voler nulla togliere ai meriti della diaspora, che ha validamente contribuito a ricostruire la vicenda storica di questo Paese, solo da circa un ventennio si sono messi in moto quegli ingranaggi – composti da sistemazione e catalogazione di archivi e biblioteche, insegnamento e divulgazione, pubblicazione di lavori specialistici e generali, confronto tra docenti e studenti e fra studiosi all’interno e all’esterno del Paese – che possono contribuire, a lungo andare, a delineare un profilo autentico dello sviluppo storico ed a sopire tutto quanto è falso o non chiaramente documentato.
Prendiamo due esempi, uno positivo e uno negativo. È ormai assodato che l’Ucraina, riassorbita nell’URSS dopo la breve indipendenza del 1918-19, sviluppò comunque un’identità compiuta per un decennio. Durante quel periodo fiorirono le lettere e le arti e, grazie alla Nuova politica economica (Nep), si consolidò una fascia sociale di piccoli e medi proprietari terrieri che seppe rendere la produzione agricola più rigogliosa che mai. Su questa situazione promettente si abbatté come un’apocalisse la costruzione coatta di fattorie statali (sovchoz) e collettive (kolchoz), decisa da Stalin per estrarre dalle campagne le risorse necessarie all’industrializzazione dell’URSS. Dopo un paio d’anni, in presenza della tenace e comprensibile resistenza alla sua politica, Stalin decise una prova di forza anche contro la chiesa e gli intellettuali, nel mentre i continui sequestri di prodotti agricoli da parte della polizia e dell’esercito (descritti da Vasilij Grossman, che vi partecipò, in Tutto scorre) portarono alla spaventosa carestia del 1932-33. Questa mieté almeno tre milioni e mezzo di vite umane soltanto in Ucraina (probabilmente altrettante in Russia ed in Kazachstan). Su questa vicenda le interpretazioni prevalenti in Ucraina e in Russia non sono poi tanto distanti: in sostanza, i Russi tendono a negare la specificità ucraina della tragedia in quanto la carestia colpì anche i contadini di altre due Repubbliche, tra cui la Russia, mentre gli Ucraini – confortati dal parere di Raphael Lemkin, l’uomo che nel 1944 coniò il termine “genocidio” – sostengono che, data la simultaneità dell’attacco ai contadini, agli intellettuali ed alla chiesa, si debba parlare dello Holodomor (morte per fame) come di un genocidio bolscevico contro la Nazione ucraina. Come si può vedere, si tratta di posizioni diverse, ma non sideralmente distanti: se la ricerca e il confronto continueranno in piena libertà ed autonomia, non si può escludere un avvicinamento.
Sul ruolo svolto dall’Ucraina durante la Seconda guerra mondiale vigono, invece, una confusione assoluta ed una mancanza di distinzioni che generano vere e proprie falsità. Nel chiamare “fascisti” e “nazisti” TUTTI i manifestanti di Majdan che a febbraio hanno rovesciato Janukovic, la Russia di Putin ha riesumato una semplificazione ideologica tipica dell’URSS, ripresa con zelo in molte parti d’Europa, Italia compresa. Diciamo che non è certo un segreto per nessuno che i vari Pravi sektor nutrano idee di estrema destra, che si siano organizzati anche dal punto di vista paramilitare e che abbiano partecipato attivamente agli eventi degli ultimi sei mesi, anche con ronde e spedizioni punitive in varie parti del Paese. Ma sostenere che tutti i manifestanti fossero di destra e, soprattutto, che questo li unisca idealmente alle infamie commesse dagli Ucraini nella Seconda guerra mondiale è una falsificazione degna del miglior KGB, dal quale, peraltro, il Presidente russo proviene. A Majdan c’erano moltissime tendenze e organizzazioni del più vario orientamento, dalle donne di Femen ai gruppi religiosi, dai movimenti gay agli ecologisti. Definirli tutti di destra equivale a definire di destra l movimento che rovesciò il comunismo in Cecoslovacchia nel novembre del 1989, cosa che nessuno ha mai seriamente osato fare.
Per quanto riguarda la Seconda guerra mondiale, si tende a confondere tre aspetti assai diversi fra loro: l’UPA, l’esercito indipendentista ucraino che si batté contro URSS e Germania (così come fecero l’AK in Polonia e i Fratelli del bosco nei Paesi baltici, fino a dopo la morte di Stalin); la Divisione Galizia, formata nell’aprile del 1943 come parte delle SS, che combatté principalmente contro l’Armata Rossa, ma intervenne anche per reprimere le forze partigiane in Slovacchia e in Jugoslavia; infine i collaborazionisti veri e propri, i quali – come in tutti i Paesi d’Europa, dico tutti – si arruolarono come volontari nelle forze di polizia incaricate di sterminare gli Ebrei e chiunque si opponesse alla Germania. Fare un calderone di tutti e tre ammonta, ancora una volta, ad echeggiare l’ineffabile propaganda sovietica (ripresa in pieno da Putin), per la quale l’unico Ucraino buono è quello che riconosce di essere parte inscindibile della Russia. Tutti gli altri sono “fascisti”.
La domanda sorge spontanea: qualcuno ha mai indagato sui movimenti neonazisti in Russia e sulle coperture di cui godono da parte del regime?
Oppure, vogliamo parlare della Cecenia, dove una tentata secessione molto più limitata territorialmente di quella del Donbass è stata annientata col ferro e col fuoco? Vogliamo parlare dell’ucraina Anna Mazepa Politkovskaya, uccisa a colpi d’arma da fuoco nell’androne di casa per aver denunciato quanto sopra? Se ne vogliamo parlare, allora trarremo l’ovvia conclusione che l’estrema destra minaccia l’Ucraina non più di quanto minacci la Russia, la Norvegia, la Grecia, la Svezia, per non parlare della Francia.
Chiarito ciò, si possono discutere anche le ragioni della Russia, che non ha quasi mai soltanto torto. Negli anni ‘90, il Presidente Boris El’cin seppe concordare con Clinton e la NATO una strategia graduale e onorevole di espansione di quest’ultima nel territorio ex sovietico, per la quale le consultazioni sistematiche erano essenziali e alcuni veti andavano presi sul serio.
Di questa strategia aveva beneficiato anche l’Ucraina, consolidando la sua indipendenza. Purtroppo, da qualche parte tra il 2003 e il 2008 tale metodo è stato abbandonato dagli USA, cosa che è equivalsa a dare quasi carta bianca a Putin. Per dipanare la matassa cui si accennava all’inizio, è essenziale ripristinare questa strategia, sempre che ne esista la possibilità.

Federigo Argentieri
Professore ordinario di Scienze Politiche e direttore del Guarini Institute for Public Affairs,
John Cabot University, Roma

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