La mimetica verde

Giacomo Guerrera

A tanti bambini sono stati sottratti il sorriso ed il tempo. Tempo prezioso, che poteva essere impiegato andando a scuola per istruirsi, giocare, sviluppare le potenzialità, socializzare, costruirsi un futuro senza toccare le armi.

Parlare di bambini soldato e poi, ancora di più. Si tratta di soggetti delicati, per i quali sono sempre opportune delle osservazioni. Una su tutte riguarda la Convenzione ONU per i diritti dell’infanzia. Ogni bambino deve essere tutelato, deve avere la possibilità di crescere, giocare, imparare, vivere in condizioni di serenità e tranquillità. Ciascuno di noi, istituzioni, singoli cittadiniar, organizzazioni come l’UNICEF, deve lavorare affinché le tutele previste vengano applicate e rispettate, innanzitutto, perché i bambini troppo spesso non conoscono neanche i propri diritti; in secondo luogo, perché i bambini a cui facciamo riferimento adesso, ed ogni volta in cui abbiamo la possibilità di parlarne, saranno gli adulti di domani; infine, ma non in ultima istanza, perché i bambini, qualsiasi sia la loro condizione, sono soggetti molto sensibili e bisogna prestare loro la massima attenzione.

“Mustafa si asciuga le lacrime con l’angolo della mimetica verde indossata nell’ultimo anno e mezzo passato nella foresta. È stato un bambino soldato, arruolato all’interno di un gruppo armato. Il giorno del suo rilascio da parte del gruppo in cui si trovava, si sono radunate molte persone. Tra di esse c’era anche suo fratello, di 18 anni. Era venuto a salutarlo, era un soldato.”

Questa breve storia, raccolta dagli operatori dell’UNICEF, è ambientata nella Repubblica Centroafricana, dove ben otto gruppi armati sono in conflitto tra loro. Mustafa è stato un bambino soldato. Non è il solo e non è stato l’ultimo.
Stando agli ultimi dati forniti dalle Nazioni Unite, nel mondo ci sono oltre 250.000 bambine e bambini associati a forze o gruppi armati usati come combattenti, messaggeri, spie, facchini, cuochi. Le ragazze, in particolare, sono anche costrette a subire rapporti sessuali. Oltre un milione di bambini vive in 42 Paesi dilaniati, dal 2002 ad oggi, da violenti conflitti. Si stima siano 14,2 milioni i rifugiati in tutto il mondo, di cui il 41% di età inferiore a 18 anni, e 24,5 milioni gli sfollati a causa di conflitti, di cui il 36% minori.
Come nel caso di Mustafa, a tanti altri bambini sono stati sottratti il sorriso ed il tempo. Tempo prezioso, che poteva essere impiegato andando a scuola per istruirsi, giocare, sviluppare le potenzialità, socializzare, costruirsi un futuro senza toccare le armi.
Quella dei bambini soldato è un’immagine terribile. I motivi che costringono queste piccole vite in situazioni del genere sono diversi. Troppo spesso, però, accade che i bambini siano spinti ad arruolarsi soprattutto per le difficili condizioni economiche e sociali delle famiglie di origine. Per un bambino, il gruppo armato nel quale si arruola diventa come una famiglia. Nonostante la violenza quotidiana, appare difficile pensare ad un’altra vita, una vita al di fuori della guerra.
Nella Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, dal 1998 ad oggi le vittime della guerra sono state 5,4 milioni, la metà delle quali costituita da bambini. La miseria ed il degrado, insieme agli effetti della guerra, hanno condotto ad una crescita esponenziale del fenomeno dei bambini di strada: orfani di guerra, bambini abbandonati o allontanati dalle famiglie non più in grado di sfamarli, bambini accusati di stregoneria, ex bambini soldato. Nella sola capitale, Kinshasa, l’UNICEF conta 13.800 bambini di strada, che sopravvivono di lavoretti nei mercati, elemosine e piccoli furti, ma anche di prostituzione, attività illegali ed espedienti pericolosi.

In questo Paese, dal 2004, più di 30.000 bambini soldato sono stati smobilitati e reintegrati grazie agli interventi dell’UNICEF e di altre ONG partner. Nel solo biennio 2011-2012 sono stati censiti 9.085 bambini da oltre 800 operatori sociali. Di questi, 8.273 hanno beneficiato di attività di monitoraggio e sostegno per prevenire o ricomporre situazioni di rottura familiare o di misure di assistenza per assicurarne la permanenza nelle famiglie e nelle comunità di origine.
La Repubblica Democratica del Congo, però, non è l’unica Nazione in cui l’UNICEF opera per mettere al sicuro i bambini a rischio. La nostra missione ha come obiettivo primario la prevenzione dell’abbandono dei minori vulnerabili, il ricongiungimento con i familiari, l’assistenza a favore dei bambini di strada, l’inquadramento scolastico e socio-professionale dei bambini a rischio, funzionale al più generale reinserimento sociale e, nei casi in cui il ricongiungimento non sia possibile, alla loro autosufficienza economica.
L’arruolamento dei bambini nei gruppi armati ostacola il raggiungimento di almeno tre degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: l’istruzione primaria universale, in quanto al bambino è spesso preclusa la possibilità di frequentare la scuola; la riduzione della mortalità infantile, perché i bambini coinvolti nei conflitti armati spesso non hanno accesso all’assistenza sanitaria e sono esposti a situazioni di pericolo di vita; infine, la lotta contro HIV/AIDS, malaria ed altre malattie, essendo i bambini arruolati nei gruppi armati soggetti ad abusi sessuali e sfruttamento.
Tutto questo deve però finire. Il supporto di ogni singola persona può essere decisivo per le sorti dei tanti minori che vivono in condizioni critiche e di alta vulnerabilità, come i bambini soldato.
L’UNICEF sviluppa e supporta programmi di azione sul campo per la salute e la protezione dei bambini. Con l’aiuto di tutti, possiamo fare in modo che tutto questo finisca e non ci siano più bambini da salvare. Bambini senza il ricordo di un’infanzia felice, segnata da armi e guerre.

Giacomo Guerrera
Presidente di UNICEF Italia

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