Il gioco del Crimine

Antonio Laudati

Numerose operazioni antimafia della Direzione Distrettuale di Bari hanno svelato retroscena inaspettati: accanto a traffico e spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsioni, la mafia locale ha investito cospicue somme di denaro (investimenti, chiaramente, a basso rischio) nelle sale da gioco.

“Un dollaro vinto è due volte più dolce di un dollaro guadagnato”. Così si esprimeva Paul Newman nel noto film “Il colore dei soldi”. Da molti anni, l’industria del “Gioco” nel nostro Paese è la terza impresa italiana, fra le prime tre in Europa, fra le prime cinque nel mondo. Lo scorso anno, il fatturato legale ha superato i 76 miliardi di euro, pari al 4% del Pil. Giusto perché si abbia un’idea esatta dell’ammontare di tale cifra, l’ultima Finanziaria del Governo Monti, del tutto eccezionale per la gravità della situazione economica, è stata di 45 miliardi. Un altro esempio: le famiglie italiane, tutti i nuclei familiari, in un anno spendono per la salute poco meno di 40 miliardi. Sul piano occupazionale, poi, l’”impresa gioco” dà lavoro ad oltre 5.000 aziende che occupano non meno di 120.000 persone. Un’industria fiorente ed in continua espansione, se si tiene conto che, mediamente, ogni Italiano spende 1.326 euro all’anno in acquisti di biglietti di lotterie, gratta e vinci e similari, puntate a videopoker, slot machine o in giocate nelle sale bingo. Un’industria che non conosce crisi. Il suo sommerso non significa lavoro nero, ma gioco d’azzardo illegale. Sul piano delle entrate, quest’ultimo può fruttare anche più di 10 miliardi.
Pensare che questo enorme giro di denaro possa essere indifferente alle organizzazioni malavitose è mera illusione. Il gioco d’azzardo, anzi, è diventato uno dei business nei quali la malavita investe maggiormente, sia per la necessità di riciclare il denaro sporco, sia per la possibilità di ottenere facili guadagni.

Numerose operazioni antimafia della Direzione Distrettuale di Bari hanno svelato retroscena inaspettati: accanto a traffico e spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsioni, la mafia locale ha investito cospicue somme di denaro (investimenti, chiaramente, a basso rischio) nelle sale da gioco. Non si pensi alle bische clandestine, nei film immerse in una cappa di fumo, in cui eleganti giocatori tentato la sorte sperando che un poker cambi loro la vita. Le sale da gioco controllate dai malavitosi sono quelle “sotto casa”, quelle in cui i minori di 18 anni non dovrebbero entrare per un divieto imposto dalla legge, ma non riconosciuto da chi le gestisce. Anche le macchinette di videopoker e slot machine o le così dette new slot (che occupano il 51% del settore) vengono sovente manomesse. Esse devono, per legge, essere collegate ad una rete telematica connessa ad un sistema centrale gestito direttamente dall’Amministrazione dei Monopoli, tramite la Società generale di informatica (So.Gei.) in modo tale che il giocatore possa fare puntate – per così dire – lecite. Immaginate che le vincite non possono, sempre per legge, superare i cento euro. Ma i gestori che riescono ad aggirare questo sistema di controllo sono tantissimi: i guasti sulla linea sono numerosissimi ed improvvisi. Ma, comunque, “riparabili”, anche da parte di uno Stato a volte troppo interessato alle entrate che l’impresa produce. Basti pensare che viene applicato un prelievo erariale unico (Preu) pari al 13,5% delle somme giocate e registrate dagli appositi contatori. Insomma, un’entrata per l’Erario di cospicua entità. Lo Stato tende, pertanto, ad incentivare l’aperture di simili strutture di intrattenimento. Rilevamenti recenti hanno evidenziato che esiste una “macchinetta mangiasoldi” ogni 150 abitanti.

Ma il bisogno da parte dello Stato di assicurarsi maggiori entrate, per altro non solo certe, ma che conoscono solo maggiori introiti, ha spinto anche ad ampliare le possibilità di gioco: dal 2006 sono stati introdotti – accanto alle varie e numerose lotterie, ai gratta e vinci, il lotto e le scommesse sportive – i cosiddetti skill-games, il superenalotto o il win for life. Non solo. I concessionari sono stati autorizzati anche ad esercitare on-line (internet point): in questo caso, il poker la fa da padrone. Anche nell’ultimo esempio citato i dati dovrebbe essere comunicati in rete al sistema centrale per i dovuti controlli. Ma i concessionari tendono, in modo autonomo o condizionati dalla malavita organizzata, ad intervenire direttamente sui contatori per ridimensionare i giochi effettuati e le portate delle scommesse. È chiaro che tale manipolazione non avviene solo per evitare un esborso maggiore a favore dello Stato, ma per poter controllare un maggior flusso finanziario. In alcuni casi, attraverso questi meccanismi vengono riciclate ingenti somme di denaro sporco, anche grazie all’intermediazione di bookmakers stranieri i quali, non essendo sottoposti ai controlli dell’Amministrazione dei Monopoli di Stato, riescono a delinquere con maggiore facilità.

A Bari, il noto clan degli Strisciuglio aveva trovato una maniera addirittura più sicura per ripulire i soldi incassati dalla droga o dalle estorsioni: d’accordo con i concessionari, riusciva a risalire ai vincitori di lotterie, gratta e vinci o superenalotto. A questi “fortunati” veniva offerto l’acquisto cash, sia pure con un piccolo sconto, del tagliando vincente da parte dei malavitosi. Solitamente, ai vincitori veniva proposto l’80% del valore della vincita. Escludendo il caso in cui veniva minacciato, il proprietario del tagliando vincente accettava spontaneamente perché evitava il disbrigo delle procedure burocratiche previste per legge per incassare la somma. L’organizzazione criminale otteneva un duplice risultato: ripuliva il denaro, permutando quello sporco con quello pulito frutto dell’incasso della vincita (che fosse pulito era dimostrabile in qualsiasi aula di giustizia), ma otteneva anche un piccolo guadagno, pari allo sconto concordato con l’effettivo vincitore, nel momento in cui incassava la vincita.

Un altro clan mafioso di Bari, i Parisi, ha fatto anche di meglio rispetto al riciclaggio di denaro sporco attraverso ricevitorie e sale giochi: ha trovato la maniera di far diventare il “giocatore d’azzardo” una vera e propria risorsa per l’organizzazione. Il clan si sostituiva ad un’agenzia viaggi ed offriva all-inclusive una vacanza sull’altra sponda dell’Adriatico, nei lussuosi casinò del Montenegro. Qui, il “malato del gioco” finiva per giocare tutto quello che si era portato nel portafoglio, ma l’organizzazione, prodiga a non far mancare nulla al suo “ospite”, era pronta a prestare soldi per farlo continuare a giocare, con tassi annuali che oscillavano fra il 120 ed il 240%. Un “prestito” di 60.000 euro lievitava in un anno fino a 165.000. Un meccanismo perverso, poi, invogliava il giocatore d’azzardo a garantirsi “sconti” o “dilazioni” sul suo prestito presentando, a sua volta, al clan un altro giocatore da spennare.
Sul Gargano, nelle note località turistiche, la mafia imponeva non solo il pizzo ai gestori delle sale gioco, ma anche il noleggio delle macchinette (per lo più irregolari) delle aziende vicine al clan.

In tempi più recenti, a Bari, il “gioco d’azzardo” si coniuga anche con una delle inchieste più note in Italia: quella sul calcio scommesse. Un’indagine che la Direzione Distrettuale Antimafia ha avviato seguendo proprio il flusso di denaro del clan Parisi e, quindi, i mille rivoli utilizzati per ripulirlo. Uno di questi portava proprio alle sale nelle quali si scommette sulle partite di calcio, nel capoluogo pugliese, ma anche all’estero. Una lavatrice di euro che non smetteva mai di funzionare perché la mania delle scommesse è molto più dilagante ed irrefrenabile di quanto si possa minimamente immaginare. Ad un certo punto, i vertici dell’organizzazione criminale hanno intuito che il denaro poteva non solo essere ripulito, ma anche fruttare, e non poco. La mafia barese ha quindi deciso di utilizzare il denaro per scommettere sulle partite. Successivamente, ha preteso di “scommettere sicuro”, in modo che il risultato delle partite fosse deciso prima ancora che queste venissero disputate.

Insomma, la criminalità organizzata ha permeato l’industria del Gioco in ogni sua forma e settore, legale ed illegale, anche perché, a fronte di ingenti introiti, oltre che di una certa sicurezza nel riciclare denaro sporco, le sanzioni penali sono piuttosto contenute rispetto ai reati connessi alle estorsioni o alla droga. Di recente, la normativa è stata orientata ad una maggiore attenzione verso gli interessi illeciti che il settore attiva, tramite l’introduzione di misure tese a prevenirli o a contrastarli, piuttosto che come strumento per incrementare gli introiti dello Stato. È stato istituito un albo ed una sorta di certificato antimafia per coloro i quali gestiscono le slot machine; sono state varate regole più severe per i concessionari (non possono aprire sale gioco i pregiudicati, né possono essere coinvolte imprese in odore di mafia); sono stati previsti controlli più rigorosi per tenere i minori lontani da queste forme di gioco d’azzardo.

In ogni caso, il contrasto a queste attività illecite non è sempre facile da coniugare con le esigenze di uno Stato che, per alcuni versi, risulta addirittura “tollerante”. Un connubio davvero difficile da realizzare se si tiene conto che, in una situazione di crisi economica, l’incremento delle entrate dello Stato è più di una necessità. Contemporaneamente, però, l’allarme sociale (in Italia si stima siano 800.000 le persone “malate” di gioco d’azzardo, mentre due milioni sarebbero i giocatori a rischio) e quello penale (le più pressanti infiltrazioni mafiose) imporrebbero maggiori controlli e sanzioni più efficaci e certe. Vale la pena ricordare ciò che Publilio Siro sostenne nel I sec. a.C. nelle “Sentenze”: “Il giocatore d’azzardo quanto più è bravo nel suo mestiere, tanto più è disonesto!”.

Antonio Laudati
Procuratore della Repubblica di Bari

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