Un’indagine epidemiologica

Valerio Gennaro

Quando ho partecipato al Comitato di Prevenzione e Controllo delle Malattie dei Militari (CPCM) del Ministero della Difesa, pur senza farmi grosse illusioni, pensavo che sarebbe stato possibile ottenere dati completi sulle storie dei militari.

Il compito di un epidemiologo è quello di misurare. Ma senza i dati sull’esposizione (al fattore di rischio) e sull’effetto (sulla salute) la misurazione risulta impossibile. La difficoltà nel reperire dati sulla cosiddetta vicenda dell’uranio impoverito e sugli altri possibili rischi occorsi alla popolazione militare e civile mi ha profondamente preoccupato proprio perché la raccolta delle informazioni non richiedeva mezzi particolari e dipendeva dal Ministero della Difesa, notoriamente ricco di dati e di risorse. Solo durante la II° Commissione Uranio in Senato, presieduta da Lidia Brisca Menapace, riuscimmo ad ottenere i dati presenti nei distretti militari, grazie anche al convinto intervento del senatore Felice Casson. Per effettuare un’indagine epidemiologica in grado di fornire risultati affidabili, non basta conteggiare i malati di cancro e di malattie non tumorali. Servono almeno tre set di informazioni fondamentali: i dati anagrafici delle persone coinvolte (esposte e non esposte al fattore in esame), le loro storie personali in termini di attività lavorativa, missioni, tempo di esposizione ai possibili agenti patogeni (uranio impoverito, radiazioni, campi elettromagnetici, vaccini, abitudini voluttuarie, ecc.) ed i dati clinici riferiti alla malattia ed alle eventuali cause di morte. In passato sono già state pubblicate delle relazioni sul problema dell’uranio impoverito: nel 2001, grazie ai lavori della Commissione Mandelli, erano emersi dei risultati che definirei affrettati e poco credibili. Nel rapporto, dopo il confronto con un gruppo di riferimento (non militare), si riscontrava un raddoppio di casi di leucemie e linfomi di Hodgkin (tumori maligni del sistema linfatico), ma, contemporaneamente, si segnalava il dimezzamento, anche statisticamente significativo, del complesso dei casi di tumore (che includeva linfomi e leucemie).

Successivamente, nel 2010 e nel 2011, anche lo studio Peragallo ha fornito risultati paradossali: l’eccesso di linfomi e leucemie era scomparso, mentre risultava un eccesso di tumori alla tiroide e, nuovamente, emergeva un dimezzamento nell’incidenza riferita al complesso dei tumori. Questi risultati, davvero sconcertanti, sono probabilmente causati da molti fattori. Sicuramente ha giocato un ruolo fondamentale la non sistematicità nella raccolta dei dati ed il fatto che il campione era stato osservato per un tempo troppo breve in relazione al periodo di incubazione e latenza (per i tumori, esso è solitamente medio-lungo). In un periodo così breve e vicino al momento dell’esposizione, sarebbe risultato maggiormente utile raccogliere dati riferiti a patologie non tumorali, le quali si possono manifestare più velocemente. Rapportarsi ad un gruppo di riferimento corretto è importantissimo per non ottenere dei risultati fuorvianti. Nel caso dei militari italiani, il gruppo di riferimento doveva essere formato da un campione di soldati non esposti ai fattori di rischio in esame (come l’uranio impoverito) e che non avessero partecipato alle missioni. Confrontandolo con un gruppo di militari venuti in contatto con l’uranio impoverito, si poteva comprendere se l’esposizione era stata determinante nell’insorgenza della malattia. Nel rapporto Mandelli, invece, il gruppo di riferimento era stato costruito inserendo dati provenienti dai Registri Tumori (registri che censiscono i casi di tumore fra la popolazione). L’incidenza tumorale è decisamente più elevata nel Nord Italia rispetto al Meridione. Ma il Meridione costituisce, invece, la zona dalla quale proviene la maggior parte dei soldati italiani. Si è pertanto scelto un gruppo di riferimento decisamente inadeguato. Quando ho partecipato al Comitato di Prevenzione e Controllo delle Malattie dei Militari (CPCM) del Ministero della Difesa, pur senza farmi grosse illusioni, pensavo che sarebbe stato possibile ottenere dati completi sulle storie dei militari. La disponibilità di informazioni è invece rimasta scarsissima e confinata ai tecnici interni al Ministero. Mi resi comunque disponibile per un riesame gratuito ed indipendente dei dati ed anche delle patologie non tumorali.

Per quattro anni attesi, invano, l’autorizzazione. La mia proposta cadde nel vuoto. Perciò, per segnalare in modo forte il problema, nel 2011 mi dimisi dal CPCM. Il vero ostacolo per una ricerca completa è l’emersione spontanea dei casi: manca la raccolta sistematica delle informazioni anagrafiche, cliniche e riferibili alle possibili esposizioni a rischio. È cruciale rilevare anche le malattie che compaiono dopo la cessazione del servizio ed individuare le patologie non tumorali, spesso più gravi di quelle neoplastiche e sicuramente più numerose. Il cancro, essendo una patologia grave, emerge con maggiore risonanza mediatica. Bisogna però considerare che esistono anche molti altri disturbi che rendono la vita altrettanto difficile (per esempio, quelli del sistema nervoso, immunitario, endocrino, respiratorio e genito-urinario). Ritengo che in Italia il maggiore problema sia quello di sottostimare la portata degli eventi. Ciò è determinato da un mix di ignoranza e fatalismo. Inoltre, i militari che rientrano dalle missioni all’estero raccontano poco, sia delle drammatiche esperienze vissute, sia del loro stato di salute psicofisico. Troppe volte lavoratori, militari e popolazione civile non sanno di essere malati per cause (evitabili) di tipo ambientale o di servizio. Dovrebbero invece essere imperative la trasparenza, l’efficacia e la tempestività.

*l’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova

Valerio Gennaro
Medico oncologo ed epidemiologo presso l’IST*,
già consulente delle prime due Commissioni Uranio del Senato;
già Componente del Comitato di Prevenzione e Controllo delle Malattie dei Militari (CPCM)

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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