Sindrome di guerra

Alberto D’Onofrio

Sindrome del Golfo e Sindrome dei Balcani sembravano possedere la stessa causa: i soldati venivano mandati in guerra sperando che i vaccini potessero evitare la contaminazione chimica, biologica e radioattiva.

Nel 1996 vivevo in America e, in qualità di regista ed autore, stavo girando documentari investigativi per il programma della RAI “Mixer”. Avevo da poco realizzato due documentari che mi avevano molto appassionato: uno era il caso O.J. Simpson, il campione di football americano sospettato di aver ucciso sua moglie Nicole per gelosia. L’altro era su Ted Kazcinsky, soprannominato Unabomber, un professore di matematica, docente presso l’Università di Berkley, che si era improvvisamente ritirato in Montana ed aveva iniziato una sua personale battaglia sovversiva ai danni del capitalismo, inviando pacchi bomba ad alcuni rappresentanti, secondo lui negativi, della produzione economica americana. Si trattava di due casi che avevano scosso profondamente l’opinione pubblica americana. Kazcinsky, il terrorista più ricercato d’America, era un bravo insegnante di una delle più prestigiose Università americane ed uno dei più famosi sportivi americani si era probabilmente macchiato di un atroce delitto (più tardi, la legge stabilì che l’assassino era proprio lui). Ero alla ricerca di una nuova storia controversa da raccontare e da qualche settimana stavo indagando, insieme alla mia producer Alessandra Ugolini, su una misteriosa malattia che sembrava colpire i soldati americani reduci dalla Guerra del Golfo del 1991. Circolavano le prime notizie su alcuni giornali americani ed inglesi secondo le quali una malattia denominata “Sindrome del Golfo” aveva già colpito circa 100.000 soldati americani sui 700.000 impiegati nelle operazioni. 10.000 erano morti per cancro, leucemia, tumore. La maggioranza dei malati avvertiva una sindrome da affaticamento cronica. Alcuni figli di veterani erano nati con terribili deformazioni o mancanza di arti ed organi, come conseguenza della Sindrome. La malattia, inoltre, contagiava le mogli dei soldati, i familiari più stretti ed alcune infermiere che la contraevano prestando le cure ai soldati. Le associazioni dei veterani della Guerra del Golfo indicavano tra le cause principali l’uso improprio di armi chimiche e batteriologiche, bandite dalle convenzioni, ma regolarmente utilizzate nella realtà, bombe e proiettili all’uranio impoverito, impiegato in maniera massiccia dagli Alleati ed un cocktail di vaccini somministrato ai soldati con l’intenzione di proteggerli da attacchi chimici o batteriologici. I vaccini avrebbero abbassato le difese immunitarie di un’alta percentuale (circa il 20%) di soldati inviati nel Golfo, provocando patologie di diverso tipo. Avevo contattato la commissione costituita dall’allora presidente Bill Clinton per cercare di rintracciare alcuni veterani ammalati e capire se fossero disposti a raccontare in un documentario la loro versione dei fatti. I responsabili della commissione mi avevano confermato la forte preoccupazione che la teoria sostenuta dall’associazione dei veterani (American Gulf War Veterans) fosse vera, ma non sussistevano ancora dati certi che avvalorassero tale teoria. In ogni caso, non potevano fornirci nessun contatto con i soldati perché costoro erano protetti dalla privacy. In quel periodo, ero in contatto con due ex agenti dell’FBI ormai in pensione, i quali collaboravano con riviste alternative americane che si definivano di controinformazione. Questi due mitici personaggi, ormai settantenni, vivevano, rispettivamente, in Nevada ed in Montana e mi avevano già aiutato in passato per il documentario su Unabomber. Non ho mai capito perché avessero deciso di aiutarmi. Mi avevano semplicemente confessato che si fidavano di me e della mia producer perché eravamo stranieri e lavoravamo per un network italiano (la RAI). Secondo loro, godevo di maggiore libertà di azione rispetto ad un regista americano su argomenti scottanti per l’opinione pubblica americana, come Unabomber o la Sindrome del Golfo. In particolare, per quanto riguardava quest’ultima, ritenevano fosse giunta l’ora di raccontare la verità. Avevano così deciso di mettermi in contatto con le mogli di alcuni reduci, informandole che avevo intenzione di girare un documentario che spiegasse con imparzialità e precisione la reale dinamica della misteriosa malattia. Iniziò così un passaparola di alcune settimane tra le mogli dei soldati, determinate a convincere i mariti a farsi da me intervistare. I membri dell’FBI mi avevano anche messo in contatto con la responsabile dell’associazione dei veterani americani, Joyce Ryley, anticipandole che avevo intenzione di girare il documentario e che desideravo intervistarla. Joyce mi aveva fissato un appuntamento in un hotel di San Francisco nel quale aveva organizzato una conferenza insieme ad alcuni veterani. Discutevano di come organizzarsi per chiedere al governo americano una forma di indennizzo economico che potesse risarcire i soldati e le loro famiglie per tutti i problemi causati dalle patologie correlate alla Sindrome del Golfo. In quel periodo, però, il Pentagono sosteneva che nessuna delle patologie denunciate dai veterani fosse attribuibile direttamente alle operazioni belliche. Secondo la versione ufficiale, il numero di morti ed ammalati rientrava in una normale statistica. In quell’hotel di San Francisco ho girato le prime scene e le prime interviste del mio documentario. Nel frattempo, le mogli dei soldati avevano convinto i propri mariti. Il giorno dopo, quindi, partii insieme alla mia producer per raggiungere un villaggio militare nei pressi di Washington, all’interno del quale avevo avuto la possibilità di raccogliere le prime testimonianze dei veterani ammalati all’interno degli appartamenti nei quali vivevano. Trovai persone molto forti che affrontavano la malattia con grande dignità. Si sentivano, in qualche modo, traditi dal proprio esercito. Erano stati mandati in azione senza le necessarie precauzioni. Secondo loro, la malattia era causata soprattutto dalla somministrazione di vaccini sperimentali, finalizzati a difenderli da attacchi chimici e batteriologici, assunti, però, senza tener conto della struttura del dna di ogni singolo individuo. La maggior parte dei reduci non lamentava disturbi, ma un buon 20% di essi aveva contratto patologie devastanti. L’altra causa scatenante era da attribuire all’uso di pallottole all’uranio impoverito, le quali, una volta esplose, lasciavano sospese nell’aria particelle altamente tossiche. L’aspetto più triste di questa situazione era, in alcuni casi, la nascita di bambini deformi, concepiti dai veterani dopo aver contratto la malattia. In altri casi, i figli venivano colpiti da patologie gravissime. Era il caso, ad esempio, del bambino di 4 anni che si trovava di fronte a me in quel momento, mentre intervistavo suo padre. Era nato con una grave disfunzione all’esofago ed allo stomaco e si alimentava attraverso una flebo. I soldati avevano accettato di farsi intervistare da me sapendo che il documentario sarebbe stato realizzato per la televisione italiana. Erano ancora in servizio a tutti gli effetti e non intendevano perdere il lavoro assumendo un atteggiamento troppo aggressivo nei confronti del Pentagono. Stavano cercando di organizzarsi a livello legale per essere tutelati nei loro diritti. Solo a quel punto avrebbero contestato in maniera decisa l’atteggiamento dell’Amministrazione. Nell’arco di 8 mesi sono riuscito a completare il documentario, effettuando riprese a Washington, in Texas, New Mexico, California e Tennessee. Ho filmato anche alcuni medici volontari che curavano gratuitamente i reduci giudicati sani dagli ospedali militari. Soltanto nel 1998, dopo una lunga indagine della commissione creata dal presidente Clinton, la protesta dei veterani del Golfo e la presa di posizione dei medici civili che avevano deciso di curare gratuitamente i soldati dimessi dagli ospedali militari senza alcuna malattia riscontrata, il Pentagono, finalmente, ammise l’esistenza della malattia denominata “Sindrome del Golfo”, pur continuando a negare che fosse contagiosa e che le deformazioni dei figli dei militari fossero da attribuire alla contaminazione biochimica subita nel Golfo. Sempre nel ’98, Clinton dichiarò che il più grande pericolo per gli Stati Uniti era costituito dall’eventualità di un attacco terroristico batteriologico. Ordinò, quindi, che a tutto l’esercito venisse somministrata la miscela di vaccini anti-anthrax, la stessa utilizzata nel Golfo e che sarebbe stata inoculata alla popolazione civile in caso di attacco terroristico all’antrace. I componenti della misteriosa miscela di vaccini somministrata alle truppe non sono mai stati resi noti perché considerati segreto militare: venendo a conoscenza della composizione dei vaccini, il nemico avrebbe potuto modificare facilmente le proprie armi biochimiche… La tragica notizia dei primi 7 soldati italiani morti di leucemia e per malattie collaterali causate dall’uso di proiettili all’uranio impoverito e vaccini sperimentali durante la guerra dei Balcani è circolata su tutti i giornali italiani tra la fine di dicembre del 2000 e l’inizio di gennaio del 2001. I soldati italiani deceduti soffrivano di patologie simili a quelle dei soldati americani. Sindrome del Golfo e Sindrome dei Balcani sembravano possedere la stessa causa: i soldati venivano mandati in guerra sperando che i vaccini potessero evitare la contaminazione chimica, biologica e radioattiva. Anche nel caso della Sindrome dei Balcani la responsabilità veniva dunque attribuita all’uranio impoverito ed ai vaccini. Il dato significativo emerso due anni dopo, nel 2003, era che circa il 50% dei soldati americani stava ormai rifiutando la miscela di vaccini per affrontare nuove missioni, proprio a causa dell’allarme che la Sindrome del Golfo prima, e la Sindrome dei Balcani poi, aveva creato nelle truppe. Importanti movimenti di rifiuto su questi vaccini sono sorti anche altrove, per esempio in Australia. In Inghilterra, nel 2003, erano già morti 469 veterani e 5.000 si erano ammalati. L’avvocato Mark McGee aveva raccolto la denuncia di diverse famiglie le quali sospettavano che il Ministro della Difesa inglese avesse autorizzato l’asportazione di organi di soldati deceduti senza richiedere l’autorizzazione alle famiglie, allo scopo di indagare sulle morti legate alla Sindrome del Golfo in Inghilterra. In Francia, già alla fine di Ottobre del 2000 era scattata una campagna di informazione a proposito della Sindrome, con un’interrogazione rivolta al generale Roquejoffre, comandante delle truppe francesi durante la Guerra del Golfo. Roquejoffre affermava di avere autorizzato la somministrazione ai soldati di una pillola sperimentale, a base di bromuro di pyridostigmina, che aveva lo scopo di difenderli da possibili attacchi chimici. L’associazione Avigolf dei veterani francesi affetti da Sindrome del Golfo sosteneva che la pillola era in parte responsabile della malattia dei soldati. La stessa sostanza è ancora alla base dei farmaci somministrati oggi ai soldati americani ed inglesi potenzialmente esposti ad attacchi con gas nervini. Un’altra discussione è in atto sul fatto che i soldati francesi non fossero stati avvertiti di non toccare, per nessuno motivo, i proiettili all’uranio impoverito. Nel 2003, i soldati italiani ammalatisi di Sindrome dei Balcani erano circa 260, i morti erano saliti a 18 e si registravano 7 casi di figli nati con gravi deformazioni. Sempre nel 2003, alla vigilia della Seconda Guerra del Golfo, gli ispettori Onu tornarono a cercare le stesse armi di distruzione di massa che “noi Alleati avremmo già dovuto distruggere nel ’91”. I soldati anglo-americani (sempre i primi a partire) ricominciarono ad ammalarsi a causa della somministrazione di vaccini contro l’antrace e di farmaci contro i gas nervini, a cui erano sottoposti obbligatoriamente. L’agenzia Reuters aveva diffuso una notizia estremamente allarmante: il rappresentante dell’associazione dei veterani inglesi, James Moore, aveva dichiarato che il 30% dei soldati vaccinati accusava seri disturbi di vario genere ed altri 6 soldati americani erano morti di recente in seguito a reazioni al vaccino. Ormai, lo confermava anche l’Amministrazione Usa. Joyce Ryley aveva rilasciato un’intervista alla Bbc confermando la tesi di Moore e sostenendo che il vaccino per l’antrace era ancora sperimentale e poteva rivelarsi estremamente dannoso per il sistema immunitario. Secondo il Sottosegretario alla Difesa inglese Lewis Moonie, non c’era invece motivo di preoccuparsi perché migliaia di soldati erano già stati vaccinati e nessuno aveva riportato seri disturbi collaterali. Secondo lui, il vaccino era innocuo. Nonostante l’intervento di Moonie, vi era ormai mobilitazione tra i soldati ed i loro familiari: la polemica legata alla misteriosa “Sindrome del Golfo” aveva lasciato il segno. Il mio documentario è stato trasmesso da RAI 3 alla fine del mese di Gennaio del 2001 ed è stato proiettato anche in molte città italiane all’interno di facoltà universitarie ed associazioni culturali. Nel 2002 ho rimontato una versione da 60 minuti in inglese che è stata proiettata alla Mostra del Cinema, nella sezione nuovi territori (Settembre 2002). Non ero mai stato invitato da così tante persone a mostrare un mio lavoro. A volte, c’erano 500 persone ad aspettarmi per vedere il film e poi parlarne insieme. Nei vari dibattiti sono intervenuti medici, volontari, soldati, professori universitari, biologi, studiosi, affiancandomi nella discussione. Nel 2011, il Ministero della Difesa italiano ha stabilito il nesso causale tra l’uranio impoverito e le gravi patologie responsabili delle malattie di oltre 2.500 tra militari e civili italiani e di 181 decessi tra i soldati italiani. I militari colpiti dalla cosiddetta “Sindrome dei Balcani” ed i loro familiari, dunque, potranno finalmente ottenere i risarcimenti previsti dalla legge. La Sindrome del Golfo è un documentario contro la guerra in ogni sua forma. Per la prima volta, i soldati dell’esercito più potente del mondo raccontano l’altra guerra, quella capace di bruciare miliardi di dollari in pochi secondi, ma anche di ritardare per anni l’erogazione dei risarcimenti necessari per curare i propri soldati, quella guerra che non tiene conto delle vittime tra i civili e delle terribili conseguenze relative all’uso di armi chimiche e batteriologiche. La cosiddetta “Sindrome dei Balcani” conferma in maniera drammatica le tesi sostenute dal documentario “La Sindrome del Golfo” da me girato nel 1996 negli Stati Uniti. Sarebbe importante proiettare questo documentario anche all’interno delle caserme italiane: i soldati italiani devono essere coinvolti in una riflessione approfondita sulle conseguenze della guerra chimica e batteriologica, una guerra che uccide nel tempo militari e civili. Ringrazio tutte le persone e le associazioni che hanno reso possibile la distribuzione del mio documentario tra il 1998 ed il 2002 e spero che questo film possa essere proiettato anche nelle scuole.

Alberto D’Onofrio
Ideatore, autore e regista del documentario ‘La Sindrome del Golfo’

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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