Cristianesimo e politica

Andrea Sarubbi

Non è un momento facile per l’impegno cristiano in politica. Non lo è soprattutto da un punto di vista culturale. L’Italia di Alcide De Gasperi non doveva combattere con le frontiere della bioetica o con le sfide dell’immigrazione, non era infetta dal virus del velinismo.

L’antico dibattito sul ruolo dei Cristiani in politica ruota attorno a due metafore del Vangelo, ed il fatto che ci ruoti attorno da qualche migliaio di anni significa che la soluzione non è poi così semplice. La prima metafora, storicamente cara all’area progressista, è quella che li paragona al lievito che si mischia alla farina, scompare nella pasta e la fa crescere. La seconda, bandiera classica dei conservatori, è quella della lanterna che deve illuminare la stanza e dunque non può essere nascosta sotto il letto. Nel primo caso, la differenza cristiana si gioca sul terreno della testimonianza, dimensione innanzitutto personale. Nel secondo, è legata al concetto di presenza, dunque alla dimensione sociale. Può sembrare un dibattito per addetti ai lavori, ma in realtà non lo è: proprio da qui, dalla strada che si imbocca a questo bivio, dipende spesso la collocazione politica di un credente. Il Cattolico di Centrosinistra, incamminato sulla strada della testimonianza, vive una vita tra due fuochi: da un lato, l’intima vocazione a seguire il Vangelo; dall’altro, l’esigenza di ribadire pubblicamente la propria laicità. La storia del Cattolicesimo democratico italiano è ricca di esempi positivi in questo campo, da Giorgio La Pira a Oscar Luigi Scalfaro. Ma è anche vero che, negli ultimi anni, la tensione laicista ha in un certo senso alzato le aspettative: basta il primo distinguo su una questione di bioetica per buttare all’aria la credibilità accumulata in una vita intera. E quello stesso discernimento personale, riconosciuto dall’elettorato progressista quando i Cattolici prendono le distanze dalla posizione ufficiale della Chiesa, viene scambiato per adesione acritica ai dettami delle gerarchie. Se non si polemizza ogni tanto con qualche vescovo, insomma, il rischio di finire nel calderone dei baciapile è sempre in agguato. A Centrodestra, il problema è speculare. Ciò che è importante, si diceva, è la dimensione sociale del Cristianesimo: in modo sbrigativo, conta più la religione che la fede, perché quest’ultima è un fatto privato – dunque liquidabile nella categoria “stili di vita casalinga” – mentre la religione è un fatto pubblico, gravido di conseguenze su tradizioni e costumi di un popolo.

Anche qui non mancano esempi di coerenza personale, nella storia repubblicana. Ma, nell’ultimo periodo, la divaricazione fra i due ambiti ha assunto proporzioni paradossali: crocifissi distribuiti per strada da politici sposati con rito celtico, sacralità del matrimonio difesa da adescatori di giovani prostitute, inviti alla contestualizzazione di bestemmie da parte di uomini di Chiesa. Non è un momento facile per l’impegno cristiano in politica. Non lo è soprattutto da un punto di vista culturale, perché – senza nulla togliere all’esempio cristallino dell’uomo, ormai avviato sulla via degli altari – l’Italia di Alcide De Gasperi non doveva combattere con le frontiere della bioetica o con le sfide dell’immigrazione e non era infetta dal virus del velinismo e non conosceva la divaricazione fra la dimensione privata e quella pubblica del fatto religioso. L’Italia di oggi è, invece, un Paese in cui – al di là delle statistiche sui battesimi e sui funerali in Chiesa – il Cristianesimo fatica a lasciare tracce di Vangelo nella società: vale per la cultura, per l’economia, per lo sport, per i mass media… E, naturalmente, la politica non fa eccezione.

Nessuno possiede la ricetta giusta: l’unica strada percorribile è quella rischiosa del discernimento personale, che per definizione richiede un numero imprevedibile di tentativi ed errori. Alcuni di questi ultimi, già sperimentati con insuccesso, possono essere facilmente evitati: per i Cattolici progressisti, ad esempio, la tentazione di rifugiarsi nella gabbia dorata degli indipendenti di sinistra, passati alla storia per gli interventi a titolo personale o – ancora più spesso – per il proprio silenzio; per i conservatori, la confusione tra la dipendenza dal Vangelo nei principî e quella dalle gerarchie nelle decisioni: anche perché, con le truppe degli atei devoti ancora in circolazione, la concorrenza a tirare i vescovi per la sottana è difficile da battere. Ma c’è un errore che la Chiesa stessa deve imparare a non commettere più, se ha davvero a cuore la formazione di una nuova generazione di politici cattolici: è il cedimento, purtroppo reiterato negli anni, alla comoda tentazione di fare da sé, che la costringe a scendere al livello di una banalissima lobby. Altrove ciò non accade, ma il Vangelo è ugualmente vivo e vegeto: possiamo farcela anche noi.

Andrea Sarubbi
Deputato, giornalista, Cavaliere della Repubblica

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Tags:

Rispondi