Un quadro poco confortante

Amalia Schirru

I tagli voluti dalla Gelmini al personale, docente e non, peggiorano la geografia della scuola pubblica. Non devono rimanere inascoltati i ricorsi delle famiglie e delle associazioni al Tar volti alla difesa del diritto allo studio.

Le informazioni a mia disposizione sul tema della “disabilità a scuola” sono decisamente poco confortanti per poter affermare che, attraverso l’educazione, l’insegnamento e la formazione si stia lavorando nel nostro Paese per affermare la dignità e la reale cittadinanza della persona con disabilità. Per partire da dati concreti, solo nella mia regione, in Sardegna, i sindacati denunciano un taglio tra docenti e personale Ata di 1.700 posti. Lo scorso anno, si contavano circa 4.400 alunni con disabilità certificata e 2.421 insegnanti di sostegno, mentre non è stata ancora diffusa la nota della Direzione Scolastica Regionale sui dati aggiornati relativi alla disabilità nella scuola e sulla qualità dell’inclusione scolastica per il corrente anno scolastico. Insomma, nonostante l’anno scolastico nuovo, i problemi per le famiglie e gli alunni disabili sono sempre gli stessi. Anzi, sono maggiori. I tagli voluti dalla Gelmini al personale docente e non docente peggiorano la geografia della scuola pubblica, con classi decisamente più numerose, oltre i ventisette, trenta alunni, sostegno agli alunni con disabilità ridotto a nove o quattro ore e mezza alla settimana, un numero insufficiente di collaboratori scolastici per i bambini che hanno bisogno di assistenza continua e, è stato denunciato, addirittura la non attivazione dell’assistenza specialistica dal primo giorno di lezione.

E se rimangono inascoltati i ricorsi delle famiglie al Tar contro il Ministero, volti alla difesa del diritto allo studio per i propri figli, le denunce di FAND e FISH, le due Federazioni delle persone con disabilità e, più in generale, di tutte le associazioni, le segnalazioni dei diversi consigli d’istituto, gli appelli delle Mamme H, come anche la Sentenza della Corte Costituzionale 80/10 del 26 febbraio scorso, che ha dichiarato incostituzionale il limite massimo del numero degli insegnanti di sostegno fissato dalla Legge Finanziaria del 2008 in 1:2 (media nazionale di 1 insegnante di sostegno ogni 2 alunni disabili), riammettendo la possibilità dell’assunzione di insegnanti di sostegno “in deroga” per particolari situazioni di gravità, abbiamo il parametro di come sia difficile la contingenza in cui viviamo. Mobilitazioni così massicce, a cui costantemente non seguono risposte, fanno capire quanto si è distanti da una matura cultura e consapevolezza dell’handicap, come pure non si abbia la minima idea delle strategie da mettere in atto per favorire l’immissione delle potenzialità e delle attitudini dei disabili nella nostra società. Su questa materia, Il governo confeziona al massimo un ragionamento di tipo ragionieristico, di costi e risparmi.

Altrimenti opera una vera e propria cancellazione della disabilità, immolandola sull’altare della società della perfezione, della bella immagine, del più forte. Si crea una scuola che non sa più accogliere i bambini disabili, i più deboli, perché sono di fatto negati gli strumenti necessari per farlo. Si crea una scuola dove riescono solo i bambini leggermente più fortunati, quelli supportati da famiglie forti, economicamente e culturalmente, da genitori preparati a districarsi nei meandri della burocrazia e nella selva delle normative. Ma io penso alle famiglie più deboli, alle disabilità più gravi, a coloro i quali, per esempio, vivono nei piccoli centri e sono costretti anche alla difficile mobilità verso i servizi. Sono sempre loro a non avere la possibilità di vedersi garantite le migliori e più avanzate tecniche di cura e riabilitazione, a dover affrontare in solitudine i ricorsi davanti al giudice per tutelare il diritto allo studio dei propri figli. Sono queste famiglie che, se lasciate sole, incontrano le maggiori difficoltà nel rompere le altrui barriere, culturali e mentali. È in questo senso che il percorso d’integrazione per i bambini disabili si fa più difficile. Ed è su questi temi che la scuola pubblica dovrebbe intervenire per colmare il doppio svantaggio ed offrire maggiori opportunità di sostegno. Eppure, per questo Governo, è ovvio che l’integrazione delle disabilità, nella scuola, nella società, nel mondo del lavoro, non è un’urgenza, né una priorità.

Nella maggior parte dei casi, le famiglie sono sole. Come nel libro di Michela Capone “Quando impari ad allacciarti le scarpe”, il senso di abbandono e di solitudine è superato solo attraverso la solidarietà che nasce tra le stesse famiglie che vivono le medesime esperienze, che condividono e combattono battaglie comuni. È invece proprio dalla scuola pubblica che dovrebbe partire l’input principale verso una nuova cultura della disabilità, perché si restituisca dignità e cittadinanza reale alla persona disabile. Non si tratta solo di offrire un numero maggiore di insegnanti e ore di sostegno specifico. Anche perché, forse, ci si è dimenticati che “il sostegno si fa alla classe e in classe” – così come stabilito dalla legge – non al singolo disabile, magari portandolo lontano dai propri compagni. Si tratta di intervenire sulla continuità didattica, sugli aspetti formativi in itinere di tutto il personale, che dovrebbero essere continuativi, obbligatori e, possibilmente, retribuiti. Si dovrebbero potenziare gli interventi finanziari, gli studi e le banche dati, i laboratori e le attività integrative. In conclusione, se ci guardiamo intorno, la realtà è ben altra cosa e la domanda che lascia l’amaro in bocca rimane una: quale prospettiva di futuro riserviamo a questi bambini, che un giorno diventeranno cittadini adulti, se non siamo capaci di farci carico dei loro problemi da piccoli?

*TAR Tribunali Amministrativi Regionali

Amalia Schirru
Deputato, componente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati
e della Commissione Bicamerale per l’Infanzia

Rispondi