Finanziamento creativo

Luca Barbareschi

Il Fondo Unico per lo Spettacolo è utilizzato dal Governo per regolare l’intervento pubblico nei settori del cinema, teatro, musica. In Italia non esiste ancora una legge, che permetta allo spettacolo ed alla cultura di crescere e di diventare un valore aggiunto nel modello economico nazionale. Si assiste, invece, ad una mortificazione degli attori, dei registi e dei creativi, ma anche di tutte le manovalanze dello spettacolo: parliamo di almeno 250.000 persone.

barbareschiIl Fondo Unico per lo Spettacolo è utilizzato dal Governo per regolare l’intervento pubblico nei settori del cinema, teatro, musica. In Italia non esiste ancora una legge, che permetta allo spettacolo ed alla cultura di crescere e di diventare un valore aggiunto nel modello economico nazionale. Si assiste, invece, ad una mortificazione degli attori, dei registi e dei creativi, ma anche di tutte le manovalanze dello spettacolo: parliamo di almeno 250.000 persone.
In merito al problema del taglio del FUS, che sta gravando su tutto il mondo dello spettacolo, credo ci sia un’emergenza enorme, che anche la mia parte politica sta purtroppo sottovalutando. A luglio, quando questo settore si è trovato a protestare contro il mancato reintegro del Fondo unico per lo spettacolo, mi sono unito ad associazioni di categoria come l’Agis, l’Anica e l’Apt nel sottolineare l’incoerenza e la miopia politica del governo. Un governo che, pur presentando a livello internazionale l’Italia come il Paese della cultura e dell’arte, danneggia di fatto un settore industriale che tra l’altro dà lavoro a circa 200.000 lavoratori, anch’essi potenziali consumatori e “sbloccatori” della crisi economica. Quando ho scelto di partecipare attivamente alla vita politica di questo Paese entrando in Parlamento, l’ho fatto ben consapevole della mia responsabilità morale ed etica verso il mio lavoro, verso quello che ho fatto per trentacinque anni della mia vita. Ed ora sono costretto a difendere quelli che sono interessi assolutamente al di fuori, al di sopra ed al di là delle parti politiche, che concernono esclusivamente la tradizione di questo Paese, che vedo umiliata ed abbandonata. Posso anche essere d’accordo su alcuni tagli al FUS, ma credo che sia inconcepibile il fatto che non ci sia ancora stato un rinnovamento dal punto di vista legislativo su questo delicato argomento. Ci troviamo ancora a metà del guado: da un lato non diamo soldi al FUS, ma dall’altro non abbiamo ancora prodotto una legge, degna di questo nome, che permetta allo spettacolo ed alla cultura italiana di crescere e di diventare un valore aggiunto nel modello economico nazionale. Sono venti, trent’anni che aspettiamo questa legge! Voglio ricordare che i rappresentanti delle maggiori associazioni imprenditoriali dello spettacolo, che con me sono venuti a Palazzo Chigi dal Sottosegretario Gianni Letta, hanno rappresentato che il problema coinvolge 2.000 milioni di Euro di fatturato, che corrispondono a 400 milioni di IVA versati allo Stato! Si tratta di una massa critica importante, e se non rispettiamo anche il lato economico della cultura, vuol dire che non siamo capaci di ragionare. Vuol dire che continuiamo a pensare che l’industria italiana sia ancora quella delle fabbriche con il fumo che esce dal camino, quando in tutto il mondo l’industria dell’intrattenimento, dell’informazione, dell’e-government e della telemedicina è quella che ha reso virtuosi gli Stati. In Italia si assiste, invece, ad una mortificazione delle categorie dello spettacolo. Non si tratta solo degli attori, dei registi e dei creativi, ma anche di tutte le manovalanze dello spettacolo: parliamo di almeno 250.000 persone che lavorano in questo Paese. Mi pongo allora una domanda: quando invitiamo in Italia i Presidenti del G8, continuiamo a vendere i nostri prodotti culturali come fiori all’occhiello. Ma che cosa stiamo vendendo? Forse quei fiori culturali che teniamo all’occhiello e di cui andiamo tanto fieri sono i beni archeologici, un patrimonio preziosissimo, ma risalente a duemila anni fa… non parliamo certo dell’innovazione culturale! Perché l’innovazione culturale va fatta con la contemporaneità. Quando nel 1800 la Scala promuoveva nel mondo le opere di Rossini, Puccini, Bellini e Donizetti, vendeva prodotti contemporanei, ma non era sicuramente gestita o frenata dalla politica. C’era un’imprenditoria dello spettacolo che, per fortuna, ancora si poteva muovere senza lacci e lacciuoli. Oggi, invece, abbiamo una politica che crea lacci e lacciuoli, ma non dà alternative dal punto di vista economico ed imprenditoriale per l’innovazione. Insomma: non possiamo far venire qui il Presidente del Giappone, fargli vedere il Colosseo e dirgli che questo è il nostro futuro, perché quella è cultura museale. Dobbiamo, invece, trovare il coraggio di vendere prodotti che siano innovativi per il futuro. Un Ministro degli Interni tedesco, anni fa, disse che i Paesi che possono vantare un teatro evoluto e che producono nuova musica sono i Paesi che hanno meno violenza e criminalità. È per questo che dobbiamo trovare la forza di rinnovare. È vero, molti Enti Lirici hanno dei deficit straordinari. Ed ovviamente, sono d’accordo sul fatto che bisogna premiare le aziende migliori, mentre devono essere chiuse quelle che hanno realizzato deficit enormi. Ma in questo settore noi abbiamo il dovere di prendere la parte più virtuosa e farla crescere, perché ci sono centinaia di migliaia di persone che vi lavorano, e che meritano qualcosa di più. E quando parlo dell’opera lirica, parlo del teatro, ma mi riferisco anche della RAI: non possiamo lasciar morire la più grande risorsa di questo Paese! La politica deve dare un esempio, mettendo nei posti chiave della RAI delle persone di grande responsabilità, di trasparenza morale ed etica. Non possiamo rischiare di trovare, dentro un’azienda pubblica finanziata con i soldi dello Stato, delle persone che non hanno una fedina penale pulita. Non gettiamo via una risorsa straordinaria di questo Paese. Noi abbiamo conquistato il mondo con l’arte, con la musica, col design. Io ho avuto la fortuna di vivere anche negli USA, e posso testimoniare che, oltre oceano, ci sono centinaia di italiani in tutti i campi d’eccellenza: nei cartoni animati, nel design, nella ricerca scientifica… e quindi, non è tollerabile che in Italia mortifichiamo la meritocrazia, affidando posti di grandissima responsabilità nel settore culturale quasi sempre a persone sbagliate. Non si tratta di un problema di destra o sinistra. È un problema di qualità, è un problema di intelligenza. Si tratta di rendersi conto che abbiamo un preciso dovere nei confronti dei nostri figli: quello di comportarci onestamente e di far sì che i loro diritti siano rispettati. Eppure, spesso non è così. Assisto allafrequente umiliazione delle maestranze: un caso esemplare è quello dell’orchestra del Teatro Massimo di Catania. Là gli orchestrali non potevano lavorare a causa di due coalizioni politiche che non riuscivano a mettersi d’accordo tra di loro. Nemmeno Fellini avrebbe potuto immaginare, per la sua sceneggiatura di “Prova d’Orchestra”, situazioni di questo genere! E allora mi domando come possiamo pretendere che i nostri ragazzi non si buttino nella mafia o nella droga, se non diamo loro l’esempio di un mondo virtuoso. Un mondo dove, ad esempio, l’aver studiato in un Conservatorio per dieci anni possa dare la speranza di un posto di lavoro.

Luca Barbareschi
Attore, regista e parlamentare italiano

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