Una premessa doverosa

Bruno Brattoli

Quest’anno ricorre il ventennale dell’entrata in vigore in Italia del processo penale minorile disciplinato dal d.p.r. 448/1988. Un processo innovativo, che ha conseguito ottimi risultati, riconosciuti anche in ambito internazionale.

Come si legge nella relazione al d.p.r. 448/1988, il tema della libertà personale acquista in ambito minorile “una complessità e una delicatezza ancora maggiori di quelle che già gli sono proprie, dovendosi tenere conto, insieme con le esigenze di cautela processuale, della fragilità caratteriale propria del minorenni e della necessità di non causare dannose interruzioni dei processi di evoluzione della personalità”. Occorre notare che il d.p.r. prevede un ampio ventaglio di misure cautelari personali, tassativamente indicate, distinguibili in misure a carattere obbligatorio (prescrizioni, permanenza in casa, collocamento in comunità) e misure coercitive in senso tecnico (la custodia in carcere). E’ principio fondamentale quello dell’assoluta residualità del carcere considerato extrema ratio. Sul processo penale minorile, a mio avviso, è indispensabile un’adeguata opera di divulgazione dei suoi aspetti fondamentali. E’ opportuno che l’opinione pubblica venga adeguatamente informata su quali siano i principi cardine su cui si fonda il procedimento penale minorile, le sue peculiarità e finalità, il ruolo fondamentale della persona minore. Vanno anche esplicitate con chiarezza le modalità operative, le difficoltà quotidiane che devono affrontare gli attori del processo e cioè magistrati, avvocati, operatori dei servizi della giustizia minorile, personale di polizia penitenziaria per i minorenni e così via. Tanto più ampia sarà la conoscenza di tutto ciò tanto più i cittadini potranno consapevolmente formarsi un’opinione ponderata e quindi non indulgere a giudizi affrettati od emozionali su di un tema – quello della devianza minorile – che, è inutile nasconderlo, desta profondo allarme sociale. E’ infatti a tutti noto che quotidianamente i giornali e la televisione riportano con grande risalto episodi delittuosi anche gravissimi compiuti da minorenni.

Bisogna spiegare con chiarezza che su circa 18.000 minori che nel 2008 sono entrati nel sistema della giustizia minorile, la maggior parte di essi non subisce il carcere anche per effetto dell’istituto della messa alla prova; che va a connotare il lavoro difficile e fondamentale degli Uffici di Servizio Sociale. Bisogna spiegare che la criminalità minorile sta assumendo caratteristiche sempre più variegate (si pensi al bullismo) e che alcuni istituti introdotti nel 1988 appaiono sostanzialmente inaccessibili per i minori stranieri. Bisogna avere il coraggio di rivisitare, se del caso, certe proprie opinioni, forse dando più ascolto al comune sentire (quando ponderato), non liquidandolo con superficialità. Desidero brevemente illustrare la struttura e l’organizzazione del Dipartimento per la Giustizia Minorile che ho l’onore di dirigere. Il Dipartimento è composto da 12 Centri per la Giustizia Minorile, dotati di competenze interregionali. Questi coordinano i servizi locali che attuano i provvedimenti: si tratta di 25 CPA (Centri di Prima Accoglienza, che ospitano i minorenni arrestati o fermati fino all’udienza di convalida), 18 Istituti Penali Minorili, 29 Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni, 24 Sedi Distaccate e 12 Comunità. Attualmente, nei nostri Istituti Penali Minorili (IPM), ci sono circa 500 giovani di cui il 47% stranieri e il 53% italiani. La tipologia dei reati è varia: reati contro la persona, come l’omicidio o il tentato omicidio, reati contro il patrimonio e reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Gli Istituti Penali Minorili oltre ad assicurare l’esecuzione dei provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, quali la custodia cautelare detentiva o l’espiazione della pena, devono garantire anche l’indefettibile funzione di rieducazione e reinserimento dei ragazzi nella società: con l’ausilio di educatori ed altro personale qualificatissimo, viene assicurato loro un programma di istruzione e formazione professionale. Allo stato attuale una delle principali criticità del sistema è legata al numero insufficiente di operatori civili e di polizia penitenziaria: tale carenza comporta notevole stress psicofisico per il personale e può influire sulla qualità del servizio.

Questi ragazzi hanno commesso reati, a volte molto gravi, ma in ragione della loro età hanno bisogno di essere seguiti, da un punto di vista morale, educativo, professionale ecc… Altre gravi criticità, sia pure numericamente ridotte, sono state le evasioni ed i suicidi o tentativi di suicidio: ha perfettamente ragione il ministro Alfano, quando afferma che non dobbiamo consentire che nessuno muoia in carcere. A tal fine il Dipartimento sta profondendo ogni sforzo, sia sul versante del personale che su quello dell’ammodernamento delle strutture. Altro problema è il sovraffollamento, cioè il superamento della capienza di un istituto. Spesso per ovviare a questo inconveniente vengono disposti dei trasferimenti, ma questa soluzione deve costituire l’eccezione e non la regola: la pena deve essere scontata nel territorio di riferimento del giovane. Il trasferimento comporta infatti disagio per tutti: magistrati, polizia, familiari dei ragazzi e così.
Affinché la nostra azione sia sempre più proficua è fondamentale anche una stretta collaborazione con i magistrati minorili: l’attività del Dipartimento è proprio quella di dare attuazione ai provvedimenti giurisdizionali, e quindi bisogna fare tesoro delle osservazioni dei Magistrati particolarmente esperti nel settore. Infine è del tutto evidente che ogni attività del Dipartimento di Giustizia Minorile non possa prescindere da un corretto rapporto con le Organizzazioni Sindacali: solo attraverso e costante dialogo con tali organizzazioni sarà possibile tentare di risolvere in tempi rapidi le problematiche legate al personale civile e di polizia impiegato all’interno degli Istituti Penali Minorili.

Bruno Brattoli
Presidente del Dipartimento di Giustizia Minorile

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