Customer Satisfaction

Francesco Alberoni

Reagite, studiate le lingue, studiate materie nuove, non stancatevi di cercare perchè ci sono molte imprese che hanno bisogno di giovani attivi e competenti. Siate pronti a spostarvi, duttili, abituatevi a lavorare duramente, andate all’estero. Vi attendono gravi difficoltà, difficili prove. Dovete diventare dei guerrieri subito.

Lo studio
I migliori strumenti, se usati male, producono disastri. Così sta succedendo con la customer satisfaction, il metodo con cui le imprese chiedono ai loro clienti quali sono i difetti dei prodotti. Se i consumatori riferiscono che l’automobile non frena bene, cercherai di porvi rimedio. Tutto questo funziona perché il consumatore sa cos’è meglio per lui. Non c’è giudice migliore. Cosa succede quando passiamo all’istruzione dei giovani? Chi è il consumatore? Tutti pensano agli studenti. Ma è vero? Anche i bravi insegnanti hanno idee di cui tener conto e così pure i genitori, tanto che alcuni mandano i propri figli all’estero per assicurare loro un’educazione migliore. Infine ci sono gli imprenditori, perché quei giovani devono poi assumerli loro. Nelle Università italiane però, la customer satisfaction è fatta interrogando solo gli studenti. Si domanda loro quali sono le materie più utili, quelle che piacciono, quelle troppo faticose, quali docenti sono graditi, quali invece sono troppo esigenti. Ma cosa ne sa uno studente del primo o secondo anno di cos’è importante per la sua formazione, che cosa gli servirà veramente per affrontare il lavoro e la concorrenza internazionale? Molti studenti sono abituati a studiare poco e fanno fatica a concentrarsi. Costoro, se glielo domandi, cercano di ridurre le materie più impegnative, evitano i professori più esigenti, chiedono materie facili, lezioni divertenti, esami in cui non ti bocciano e prendi un voto alto. Alcune Università alla ricerca di studenti utilizzano i risultati della customer satisfaction per catturarli, andando incontro ai loro desideri. Se gli studenti rispondono che una materia è difficile, la eliminano, che un professore è troppo esigente, lo isolano. Fanno di tutto perché il corso di studi diventi sempre più facile. È il principio di Pinocchio. Sappiamo tutti che Pinocchio, simbolo universale dei ragazzi, non aveva voglia di studiare e, fra andare a scuola e ad uno spettacolo di burattini, preferiva il secondo. Così, seguendo la sua personale costumer satisfaction, non finisce nel paese della cultura, ma nel paese dei balocchi e diventa un somaro.Oggi c’è chi lo aiuta a seguire la stessa strada.

Il lavoro
È molto difficile in Italia, per un giovane che non appartiene ad una famiglia ben radicata nel sistema produttivo e di potere, trovare un lavoro adatto e fare carriera. Non così in passato. Nel dopoguerra, gli imprenditori, gli scienziati, i professionisti, gli artisti sono emersi dalla piccola borghesia, dal mondo operaio, dagli immigrati del sud. Sono emersi lottando, facendo sacrifici. Ce l’hanno fatta perché lo sviluppo economico aveva fame di gente capace, intraprendente e la premiava subito. Oggi non è così. Negli ultimi trent’anni, lo sviluppo economico italiano è stato modesto e l’occupazione ed i redditi sono stati sostenuti assumendo persone nel settore pubblico e dando sussidi alle imprese in difficoltà. Così abbiamo creato uno smisurato debito pubblico e oggi, dopo l’integrazione europea, Maastricht e l’Euro, ci accorgiamo che non possiamo usare gli stessi metodi. Oggi, lo sviluppo economico deve sfidare la concorrenza internazionale. Ma, mentre ci servono lavoratori manuali e tecnici altamente qualificati, non abbiamo posti sufficienti per tutti i nostri giovani, diplomati e laureati. Inoltre, si è messo in moto un meccanismo pericoloso. Tutti coloro che hanno un posto sicuro se lo tengono stretto. Tutti coloro che hanno una posizione di potere si preoccupano di trovare spazio per “la propria gente“, figli, compagni di ideologia, di partito, perfino di gusti sessuali. In tutti i campi, nel pubblico, nelle imprese burocratizzate, nell’Università, nello spettacolo, nell’arte. La classe agiata manda i suoi figli a studiare in Inghilterra o in America. Il nostro, più che un sistema meritocratico, sta diventando un sistema tribale ereditario. Tanti giovani sono sconcertati, smarriti. Si rifugiano nella famiglia, nel gruppo, nella musica o sognano la televisione. È comprensibile, ma sbagliato. Per questo, quando mi rivolgo a loro, critico la passività e li incito a combattere. “Non fidatevi di chi vi compiange e vi tiene buoni rendendovi facile la vita: vi addormenta. Reagite, studiate le lingue, studiate materie nuove, non stancatevi di cercare, perché ci sono molte imprese che hanno bisogno di giovani attivi e competenti. Siate pronti a spostarvi, duttili, abituatevi a lavorare duramente, andate all’estero. Vi attendono gravi difficoltà, difficili prove. Dovete diventare dei guerrieri subito”.

La disoccupazione
Il negozio con annesso forno aperto accanto a casa mia è di un egiziano. Vi lavorano lui, sua moglie e un paio di connazionali. Fa una grande gamma di pani italiani e della squisita pasticceria. Anche il falegname che ha riparato le porte del mio studio è egiziano. Un uomo anziano, alto, serio. Un artigiano competente. A cento metri, un nordafricano ha aperto una fornitissima rivendita di giornali. È un vero sollievo perché non ce n’era più nessuna vicino. Un mio amico, che possiede una grande e modernissima masseria, non trovava in Italia dei mungitori. Ha assunto due indiani, con uno stipendio di quattromila euro al mese, e costoro gli hanno risolto il problema. Mi vengono in mente queste cose mentre una mia giovane allieva mi parla dei suoi compagni laureati disoccupati, che passano il loro tempo davanti al bar e vivono in case lesionate da un terremoto avvenuto vent’anni fa e di cui aspettano ancora i contributi per farle riparare. Una vita passata in famiglia, in attesa. Facendo dei concorsi pubblici e sperando che qualche politico amico, o un parente ben inserito, riesca a farli entrare in qualche ente o in qualche ministero. Aggiunge che, in un paese vicino, i cinesi hanno aperto un laboratorio ed un negozio di pelletteria e in un altro un’ottima pizzeria. È chiaro che si tratta di esempi isolati, da cui sarebbe un errore generalizzare. Però dobbiamo ammettere che, in certi casi, gli extracomunitari, soprattutto quelli provenienti da paesi con una millenaria tradizione di lavoro, dimostrano più versatilità, adattamento e iniziativa di molti giovani italiani. I quali, per il fatto di avere una laurea breve, aspettano di trovare un posto corrispondente alle loro aspettative culturali. Sono disposti a lavorare di notte come il fornaio, o nei festivi come i mungitori. Per non parlare dei cinesi, che non fanno certo molte vacanze e non conoscono le settimane bianche. Insomma, alcuni extracomunitari – minoranze, d’accordo – stanno affermandosi anche in situazioni dove i nostri giovani non riescono a trovare una strada. E mi viene il dubbio che molti di loro siano presi dalla sfiducia ed abbiano addirittura paura a spostarsi, a rischiare in un ambiente nuovo e difficile. Qualità che avevano i loro nonni, i loro padri che emigravano, ma che loro hanno perso in casa, a scuola, nel gruppo di amici, guardando la televisione, in discoteca, chissà dove.

Francesco Alberoni
Sociologo, giornalista e professore di sociologia.
Titolare della rubrica “Pubblico e privato” del Corriere della sera.
Presidente Centro Sperimentale di Cinematografia.- Già Rettore dell’Università IULM

 

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