La follia è una condizione umana.

Livia Turco

“In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’ essere”. Franco Basaglia

I trenta anni che ci separano dall’approvazione della legge 180 e della legge istituiva del Servizio sanitario nazionale ci offrono l’opportunità di un bilancio complessivo dell’applicazione di queste due leggi che hanno realmente cambiato il modo di intendere la tutela della salute dei cittadini. In qualche modo, potremmo addirittura convenire sul fatto che la 180 sia stata l’apripista di una nuova concezione dell’assistenza sanitaria, intesa come processo unitario di presa in carico della persona considerata nella sua universalità, unicità e condizione sociale.

La malattia mentale viene sottratta alla mera medicalizzazione fatta di farmaci, contenzione e trattamenti invasivi con scopi più esorcizzanti che terapeutici, come l’elettroschock. Viene assimilata dagli operatori come un unicum di iniziative assistenziali-sociali-integrative che partono da un grande obiettivo, che voglio ricordare con le parole di Franco Basaglia: “La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’ essere”.

Oggi possiamo dire che la psichiatria italiana si confronta con i temi della inclusione sociale, della qualità della vita e della valorizzazione delle capacità dei pazienti, proprio grazie alla scelta di chiudere i manicomi come luoghi dell’esclusione. Una scelta che è divenuta punto di riferimento in Europa. La quale, attraverso il “Libro verde sulla salute mentale” presentato lo scorso anno, ha riconosciuto la necessità di chiudere le grandi istituzioni di ricovero psichiatrico considerandole produttrici di stigma e cronicità. Come sapete, l’esperienza del Governo Prodi si è chiusa prima del tempo e non ci ha consentito di realizzare appieno tutti i nostri obiettivi. Tra questi figurava una nuova assunzione di responsabilità verso la galassia salute mentale, attraverso il pieno coinvolgimento di tutti gli attori, operatori, servizi di assistenza, associazioni di volontariato, malati e loro familiari.

Un lavoro interrotto bruscamente dalla crisi di Governo che, tuttavia, qualche traccia ha lasciato. A partire dalle linee guida approvate in Conferenza Stato Regioni lo scorso 20 marzo per dare nuovo impulso alle politiche di promozione della salute mentale, rafforzare gli interventi nell’ambito dell’età evolutiva e favorire la precocità degli interventi e la collaborazione fra tutti i servizi per una migliore presa in carico dei pazienti. Patrimonio comune resta anche il lavoro svolto dalla “Consulta per la salute mentale”, istituita nel novembre 2006 e che, per la prima volta, portava all’interno del Ministero della Salute, in modo sistematico e progettuale, i diversi punti di vista medici, sociali, assistenziali e personali dei pazienti coinvolgendo pazienti, familiari, operatori e volontariato impegnati in Italia con molteplici esperienze associative.

La rinnovata attenzione posta in questo settore nasceva, infatti, dalla necessità di riappropriarci di una vera politica per la salute mentale dopo anni di sostanziale disinteresse. Un disinteresse testimoniato dalla progressiva riduzione dei fondi e degli investimenti e da un sostanziale allontanamento dallo spirito della legge 180 che hanno caratterizzato la politica del centro destra nelle passate legislature e che temo possano caratterizzare anche quella dell’attuale Governo. Con il rischio di aggravare ulteriormente quella percezione diffusa di abbandono dei malati e delle loro famiglie da parte delle istituzioni.

Per questo avevamo pensato fosse importante riannodare quei contatti, quelle sensibilità e quelle esperienze, maturate in questi decenni di attività dai servizi di tutela della salute mentale e dal mondo delle associazioni, con l’obiettivo di ridare centralità al problema del disagio psichico. Per questo avevamo indicato la necessità della “Seconda Conferenza nazionale sulla salute mentale”, a otto anni dalla prima ed unica conferenza sul tema indetta nel 2000 dall’allora ministro Veronesi, con al centro un prioritario grande obiettivo: quello di ridare centralità alla psichiatria di comunità, intesa come capacità di prendersi cura delle persone e delle loro famiglie in modo complesso e intersettoriale e non limitato agli aspetti strettamente medici e farmacologici. Un impegno trasversale che deve coinvolgere le Regioni, il Ssn e le altre istituzioni locali, ma anche la scuola, la cultura e il mondo del lavoro, a testimonianza di una rinnovata attenzione sociale e di civiltà di tutto il Paese.

Nello specifico, si dovrà operare per la diffusione in tutte le Regioni di quelle forme organizzative che hanno dato risultati d’eccellenza (le cosiddette buone pratiche) ed attivare progetti finalizzati nelle situazioni più critiche. Il sistema dei servizi dovrà essere radicato nei territori, integrato con l’area sociosanitaria, capace di andare incontro ai bisogni reali degli utenti, per assicurare la presa in carico, la continuità terapeutica ed il reinserimento lavorativo di soggetti che hanno attraversato problematiche psicologiche e psicopatologiche. Occorrerà infine promuovere e valorizzare, come basilare scelta di metodo, il protagonismo delle persone affette da disturbo mentale.

E’ in questa prospettiva che va sempre sostenuta la partecipazione delle associazioni, dei pazienti e dei familiari, per favorire la conoscenza e lo sviluppo di una pluralità di forme di auto-aiuto e per attivare programmi volti ad incrementare lo sviluppo delle reti sociali primarie e secondarie, fornendo aiuti concreti alle famiglie. E ciò favorendo il ruolo di partner delle cooperative sociali nei progetti di vita, di integrazione lavorativa e di recupero di contrattualità sociale delle persone affette da disturbo mentale. Tutti obiettivi ai quali abbiamo lavorato nei due anni di Governo Prodi attraverso diverse iniziative, di studio e analisi progettuale ma anche di pratica concreta del “fare assieme”, coinvolgendo pazienti, famiglie, associazioni e operatori, in esperienze attive di lotta allo stigma. Come quella del viaggio a Pechino, promosso dal Ministero della Salute e da alcune associazioni la scorsa estate e che ha coinvolto oltre 200 partecipanti tra malati, familiari e operatori, in un viaggio in treno dall’Italia alla capitale della Cina.

Un’iniziativa nata proprio per contrastare i pregiudizi nei confronti della malattia mentale nella comunità, per promuovere l’inclusione sociale delle persone affette da malattie psichiche e tutelare i loro diritti fondamentali e la loro dignità. Per suscitare, infine, un’attenzione positiva da parte dell’opinione pubblica sui protagonisti del mondo della salute mentale. Questa è la via e su questo terreno continueremo a lavorare in Parlamento e nel Paese per non tornare indietro, come vorrebbero ampi settori dell’attuale maggioranza, ma andare avanti verso quella vera integrazione e presa in carico che è la sola risposta da dare a chi soffre e ha bisogno del nostro supporto e aiuto. Tutti i giorni e, a volte, per tutta la vita.

Livia Turco
Deputato alla Camera, componente COMMISSIONE (AFFARI SOCIALI). Già Ministro della Salute

 

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