Disagio psichico: i nuovi scenari della tutela e della libertà

L’esperienza che ha portato alla definizione e all’applicazione  della legge 180 ha il pregio di essere ancora attuale e gravida di prospettive utili per generare benessere sociale e individuale. Alcune questioni affrontate in quegli anni sembrano collegare indissolubilmente il passato all’attualità aprendo nuove piste di lavoro

Riflettere sul ruolo del contesto sociale (inteso come il luogo in cui si sviluppano le interazioni tra le persone, esistono norme, prescrizioni, ruoli) nella promozione della salute, trent’anni dopo l’applicazione della legge n°180 del 1978, ci riporta senza esitazioni a quelle che sono state le lotte, le azioni, le distanze/vicinanze che hanno caratterizzato i diversi gruppi di pressione, la “comunità” degli psichiatri e di altri gruppi professionali. E alle riflessioni della cittadinanza e dei gruppi di intellettuali che hanno arricchito con il loro contributo il movimento di riforma psichiatrica mostrando come, in quel momento, le differenze abbiano reso possibile il conseguimento di un obiettivo comune: “distruggere il manicomio come luogo di istituzionalizzazione”[1]. Differenze che, oggi più di allora, si sente il bisogno di approfondire e studiare, in alcuni casi con l’intento di restituire ai singoli protagonisti il giusto tributo in altri per ritrovarsi e riconoscersi in una pagina di storia così importante, non solo nel nostro paese. Va -a mio avviso- in questa direzione il clamore che è stato sollevato da alcuni su come appellare la legge del 1978. Semplificare gli eventi che fanno parte di una fitta e preziosa trama della nostra storia rappresenta sicuramente un problema ma, forse, è anche utile ricordare che spesso alcune semplificazioni altro non sono che filtri comunicativi, utili a dare informazioni ai tanti che non le hanno e che ancora credono che sia meglio riaprire i manicomi per tutelare la salute di chi sta male e rispondere al bisogno di sicurezza sociale dei cittadini. Mai come oggi, comunque, gli studi su quel periodo sono stati attenti ai diversi ed interessanti soggetti, processi storici che hanno caratterizzato una straordinaria esperienza. Un’esperienza che ha il pregio di essere ancora attuale e gravida di prospettive utili per generare benessere sociale e individuale. Alcune questioni affrontate in quegli anni sembrano collegare indissolubilmente il passato all’attualità, aprendo nuove piste di lavoro.

In particolare:

·  difesa dei diritti di cittadinanza di chi soffre di salute mentale
·   rapporto fra medicina e potere

·  rapporto fra la psichiatria e ordine/sicurezza sociale
·  lotta contro l’esclusione e l’emarginazione, mettendo fra parentesi la malattia mentale e quindi evitando la querelle fra scuole psicopatologiche
·  costruzione di un’opinione pubblica sulla drammaticità del problema psichiatrico
·  attenzione alla storia della persona, senza negare la malattia, ma scegliendo di leggerla nella relazione con la storia complessiva della persona e del suo contesto di appartenenza
·   ruolo dei portatori di interesse (persone che soffrono di disagio psichico, familiari, operatori, servizi, politici amministratori, cittadini, etc.)
·  aree di conflitti, negoziazione e influenzamento possibili fra i singoli portatori di interesse.

Lo confermano le cinque azioni identificate per promuovere la salute nel 1986 nella Carta di Ottawa: creare ambienti favorevoli alla salute, sviluppare le abilità personali, rafforzare l’azione della comunità, riorientare i servizi sanitari, costruire una politica pubblica per la salute. Ma anche quelle più specifiche sulla salute mentale contenute nel Green Paper (O.M.S., 2005) e nei documenti prodotti in occasione della Conferenza Ministeriale sulla Salute mentale di Helsinki  (O.M.S., 2005). Se  assumiamo che “la salute mentale è uno stato di benessere nel quale il singolo è consapevole delle proprie capacità, sa affrontare le normali difficoltà della vita, lavorare in modo utile e produttivo ed è in grado di apportare un contributo alla propria comunità”[2], non possiamo fare a meno di investire sul contesto sociale come condizione senza la quale non è possibile investire sulla salute mentale e sperimentare il rispetto assoluto della centralità della persona.

Un contesto che sta mettendo in luce come non si possa più parlare di diritti di cittadinanza senza occuparsi di diritti umani, di potere della medicina senza ragionare su come sia cambiata da allora la scena terapeutica, su come siano mutate le credenze di scienziati e cittadini sulle possibilità della scienza, su come siano cambiati i giochi del potere nella società globalizzata e i rapporti fra i singoli e le comunità di appartenenza.

Di come sia inattuale continuare a ragionare sul rapporto di collaborazione fra medici, pazienti e familiari senza fare i conti con i cambiamenti che hanno attraversato e attraversano l’”istituzione famiglia” in un contesto sociale in continua trasformazione Di diritto alla salute/diritti di cittadinanza senza fare i conti con quelle scelte istituzionali, politiche ed economiche che mettono a dura prova gli ammortizzatori sociali che li rendevano possibili o, nel migliore dei casi, esigibili anche per chi li aveva persi a causa della malattia.

Non si può parlare, in sintesi, di salute mentale/libertà di chi soffre di disagio mentale senza tenere conto che  è “fatta di incontri, esperienze, confronti con storie diverse, conflitti, solitudini e partecipazioni, intrecci con la vita di istituzioni, cultura/e e politica/che”[3]. E’ proprio in questo scenario che rimane attuale l’esperienza maturata attraverso le pratiche avviate con  la riforma psichiatrica.

Cinzia Migani
responsabile di Aneka servizi per il benessere a scuola dell’Istituzione Minguzzi e della Provincia di Bologna

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi