La babysitter al veleno

Alessandro Meluzzi, Rossana Silvia Pecorara

I messaggi veicolati attraverso la tv non sono marginali e irrilevanti rispetto ai modi o alle forme con cui la struttura psicologica, affettiva, simbolica e relazionale di un bambino si sviluppa. Analizzare i contenuti dei messaggi significa dunque mantenere il controllo su ciò che appare ancor più drammatico: ossia la possibilità di accedere a contenuti minacciosi, seduttivi, manipolativi e francamente fuorvianti

Il rapporto tra media e minori è in sé complesso. Perché? Anzitutto perché rappresenta il luogo mentale, ma non solo, in cui viene trascorsa buona parte del tempo vissuto di un bambino o di un adolescente. Le statistiche ci parlano di un periodo oscillante tra le quattro e le sei ore trascorse fin dalla più tenera età di fronte alla televisione, e pensiamo come questo tempo si sia ulteriormente dilatato se -oltre alla tv- consideriamo altri mezzi di comunicazione, Internet in primis. Sarà poi sensato chiamarli “mezzi di comunicazione”? La comunicazione come processo implica due interlocutori attivi che condividono l’esperienza e la responsabilità di quella comunicazione: nel caso della tv esiste invece un agente che unidirezionalmente lancia messaggi e uno spettatore passivo che interpreta arbitrariamente quel messaggio, senza possibilità alcuna di condivisione con l’agente: si può davvero chiamare “comunicazione” questa?

Tornando al nostro focus d’indagine, fin dagli anni Ottanta il televisore ha assunto la surreale natura di una vera e propria badante elettronica, pervasiva e a basso costo, offrendosi e anzi svendendosi come strumento tecnologico che va a vicariare le assenze o le insufficienti presenze dei genitori sulla scena dello sviluppo dei loro figli. E’ per questo che il rapporto con la televisione va oggi ben al di là di quello con l’oggetto elettrodomestico che ha caratterizzato il tempo passato, diventando il luogo di un’analisi sulle percezioni e sull’immersione simbolico-semantica in cui un minore sviluppa larga parte del tempo dell’apprendimento e della costruzione del proprio sé.

E’ per questo che i messaggi che vengono veicolati attraverso la tv non sono marginali e irrilevanti rispetto ai modi o alle forme con cui la struttura psicologica, affettiva, simbolica e relazionale di un bambino si sviluppa. Dunque analizzare i contenuti dei messaggi significa anche mantenere il controllo su ciò che, ad esempio nel mondo della rete, appare ancor più drammatico: ossia la possibilità di accedere a contenuti minacciosi, seduttivi, manipolativi e francamente fuorvianti. Ma anche il consumo di televisione generalista, seppur governata da principi e meccanismi più controllabili, non appare scevra da rischi: le immagini violente, o quelle che veicolano una dimensione banalizzata o deviante dell’eros, anziché stimolare la capacità di scegliere o di discernere, come può accadere per un adulto, possono produrre ulteriore confusione interiore in un minore, costituendo veleno per lo sviluppo psicologico dell’infanzia e dell’adolescenza.

La questione si pone quindi come necessità di una vigilanza non censoria, o prevalentemente censoria, quanto piuttosto una vigilanza critica su tutto ciò che entra nel panorama interiore e nell’ecosistema percettivo e semantico dei bambini e dei ragazzi.

Dunque “tv e minori” si avvia a essere sempre più tema delicatissimo per la formazione delle future generazioni, quindi del nostro stesso futuro: non possiamo banalizzare o sottovalutare l’impatto dei mass media affidandoci al qualunquismo facile e rassicurante del “tutto va bene”. A nostro avviso, è bene dunque sviluppare e alimentare una consapevolezza critica sempre maggiore dei prodotti di comunicazione che vengono proposti (o imposti) a noi, ai nostri figli, ai nostri nipoti.

Di Alessandro Meluzzi
Psichiatra – Psicologo – Psicoterapeuta e
Rossana Silvia Pecorara
Dottore di ricerca in scienze cognitive, Psicologa Clinica

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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