Un giorno da “leoni”

Da sempre l’uomo ha cercato di migliorare le proprie prestazioni sportive utilizzando metodi leciti ed illeciti. In ogni tipo di competizione, sulla spinta del prestigio e degli interessi economici, sono state utilizzate svariate tipologie di sostanze ed è proprio da una miscela di oppio, tabacco e narcotici (chiamata “oop”), somministrata ai cavalli da corsa nei primi anni del ‘900, che deriva il termine “doping”. Negli ultimi 50 anni lo sviluppo delle conoscenze sulla fisiologia umana e sulla chimica molecolare hanno portato ad uno sviluppo impressionante di nuove molecole adatte a migliorare le prestazioni e di pari passo è aumentato il numero di atleti che ne fanno un utilizzo costante. Nel 2005, la Commissione di Vigilanza e Controllo sul Doping, ha rivelato che il 2,1% (32) dei 1560 atleti esaminati, è risultato positivo ai test antidoping. Ma ancor più allarmante è il risultato delle analisi sugli sportivi amatoriali dalle quali risulta come questi ricorrano maggiormente all’uso di sostanze dopanti rispetto agli atleti professionisti.

Gli steroidi anabolizzanti vengono assunti già dall’età di 8 anni mentre nell’adolescenza e la giovane età si utilizzano prevalentemente cannabinoidi (44,7%), diuretici e agenti mascheranti (15,8%), stimolanti, corticosteroidi (7,9%), ormoni e sostanze attive sul sistema ormonale (5,3%) e Betabloccanti (2,6%) (Xagena2006). Ma il rovescio della medaglia (d’oro o d’argento o bronzo che sia) è il danno alla salute provocato dall’utilizzo sconsiderato di queste molecole. Le sostanze mascheranti conducono ad aritmie cardiache; gli anabolizzanti e i cortisonici stimolano rotture tendinee, infiammazioni ai legamenti ed inibiscono il trofismo testicolare. Sono frequenti le disfunzioni renali, le epatopatie e alcune forme tumorali. Inoltre, uno studio condotto su 160 atleti, ha confermato che l’assunzione di anabolizzanti porta ad un maggior rischio di incorrere in effetti di tipo psichiatrico ed è di notevole interesse il dibattito sulla possibile relazione tra doping e sclerosi laterale amiotrofica (SLA) (Xagena2006).

Per contrastare questo fenomeno sempre più dilagante nel 1999 è stata istituita la WADA (World Anti-Doping Agency) che annualmente aggiorna il World Anti-Doping Code con la “proibited list” che determina le sostanze illecite. Con la legge n. 294 del dicembre 2000 (“Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta al doping”) l’Italia ha fatto del doping un reato penale, per il quale è perseguibile chi lo pratica e chi lo “procura, somministra o favorisce..”. Ed infine l’11 luglio 2007, la Commissione europea, ha adottato il Libro Bianco sullo Sport, chiarendo il concetto di “specificità dello sport” nei limiti delle attuali competenze dell’UE.

Ma l’impossibilità di un adeguato controllo nelle attività sportive amatoriali soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza, la difficoltà di rintracciare nel sangue e nelle urine tutte le sostanze dopanti, le continue nuove sostanze scoperte e messe a disposizioni degli atleti rendono difficile l’applicazione di tutte le normative istituite nella lotta al doping. E così, mentre in Pennsylvania si prepara il “doping genetico” grazie ad un virus che inserisce nel citoplasma muscolare un gene sintetico capace di ipertrofizzare il muscolo anche senza esercizio, gli interessi economici e politici spingono organizzazioni, governi e multinazionali a cercare esseri umani disponibili a mettere in gioco la propria vita per un giorno di gloria.

di Massimiliano Fanni Canelles

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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