Crisi continua

Il nostro territorio va in “crisi idrica” una volta ogni dodici mesi da almeno sei anni a questa parte. La vera emergenza è istituzionale, dovuta all’incapacità di avviare una pianificazione e gestione della risorsa idrica in modo coordinato ed integrato, come, peraltro, sta succedendo nel resto d’Europa

Irecenti fatti di cronaca hanno riportato alla ribalta, come ormai periodicamente ogni anno succede, la “crisi idrica”. Si è parlato di emergenza ma è difficile relegare il problema all’eccezionalità o alla straordinarietà degli eventi metereologici, quando in realtà il nostro territorio va in “crisi idrica” ormai una volta ogni dodici mesi da almeno sei anni a questa parte. La vera emergenza è istituzionale, dovuta all’incapacità di avviare una pianificazione e gestione della risorsa idrica in modo coordinato ed integrato, come, peraltro, è sta succedendo nel resto d’Europa. In questi frangenti si richiama la necessità dello “stato di emergenza” solo perché in questo modo si possono predisporre misure “straordinarie” di concertazione coordinate dalla Protezione civile e, attraverso le ormai famose “cabine di regia”, vengono convocati i principali utenti dell’acqua produttori di energia idroelettrica e agricoltori e insieme si cerca una soluzione per superare il momento critico. Infatti, non è vero che c’è la siccità, di acqua ne abbiamo molta, in pianura padana cadono oltre 1000 mm l’anno d’acqua, una quantità a metà strada tra i deserti e le foreste pluviali tropicali, il problema è che di acqua lo Stato ne ha data in concessione troppa e basta che piova un po’ meno del normale e il sistema va in crisi. Tra maggio e luglio, infatti, due grossi interessi confliggono: l’esigenza degli agricoltori di irrigare soprattutto in pianura e l’interesse delle società idroelettriche di accumulare acqua nei bacini d’alta montagna per poi essere in grado di produrre energia idroelettrica tra luglio e agosto, quando i picchi dei condizionatori d’aria nelle città richiedono in tempi stretti grandi quantità di energia (inoltre c’è anche un oggettivo guadagno a causa delle tariffe generalmente più alte in questi periodi estivi). Questa situazione però si ripete ormai da troppo tempo ed è indispensabile avviare politiche che risolvano nel medio e lungo termine questi problemi ridefinendo le regole per un governo sostenibile della risorsa idrica. Queste regole ci sarebbero e sono in gran parte contenute in una inapplicata normativa europea. Infatti, a oltre sei anni dalla sua promulgazione, l’Italia, unico Paese dei 25 dell’Unione europea, non applica la Direttiva Quadro Acqua, 2000/60/CE, che ha solo maldestramente recepito e con anni di ritardo nel testo unico sull’ambiente redatto dal precedente Governo; purtroppo anche l’attuale Governo non sembra aver colto il valore culturale, di metodo e l’approccio innovativo di questa direttiva volta al raggiungimento del “buono stato” dei corpi idrici superficiali e sotterranei entro il 2015. Obiettivo ambizioso che si scontra con la lentezza con cui si sta procedendo alla revisione del testo unico sull’ambiente e con l’indifferenza delle istituzioni sia a livello centrale che periferico sul tema “acqua”. Il WWF ha per questo chiesto al Ministro dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, di adoperarsi per:
1. applicare correttamente la Direttiva Quadro Acqua 2000/60/CE, dotandosi di una organizzazione adeguata, partecipando in modo attivo e costante ai lavori comunitari, definendo una strategia di azione chiara, coerente ed efficace per recuperare l’enorme ritardo accumulato e dotandosi quindi di un programma d’azione concreto, aperto al confronto trasparente con i vari portatori d’interesse, tra cui le ONG, e con le esperienze più avanzate nel frattempo realizzate da altri Stati Membri;
2. promuovere il riordino delle competenze sulla risorsa idrica, attualmente distribuite tra decine di Istituzioni (tra i quali: Ministeri, Regioni, Autorità di bacino, Regioni, Province, Comuni), enti (Consorzi di regolazione dei laghi, Gestori invasi artificiali, Bacini imbriferi Montani, Consorzi di Bonifica ed irrigazione) uffici e assessorati;
3. rilanciare il ruolo centrale delle Autorità di bacino e/o distrettuali che, per garantire il governo delle acque e l’applicazione delle norme previste dalla Direttiva, dovrebbero (ri)assumere una funzione di coordinamento effettiva del ciclo dell’acqua con una capacità di raccolta dati autonoma, di controllo e verifica dell’efficacia delle azioni e degli interventi che esse stesse pianificano attraverso Piani e Programmi che gli enti territoriali gestiscono e/o realizzano;
4. avviare una seria e approfondita riflessione funzionale alla definizione di una strategia nazionale e internazionale di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici attraverso la cooperazione con le istituzione comunitarie e gli altri Stati Membri che comprenda al suo interno sia l’attuazione degli strumenti comunitari già disponibili che quelli in corso di definizione . Al contrario l’Italia continua ad non essere adeguatamente rappresentata nei tavoli di lavoro comunitari per l’applicazione della Direttiva 2000/60/CE e di altri importanti gruppi di lavoro. Ciò è tanto più grave se si considera che, in questa situazione confusa e contraddittoria, continuano a riproporsi criticità irrisolte che, alla luce anche dei cambiamenti climatici in corso, non possono che acuirsi determinando una situazione di grave danno ambientale, sociale ed economico e, quindi, di crescente conflittualità fra i vari soggetti presenti sul territorio. Tra queste:
– l’approccio di tipo infrastrutturale puntuale, al di fuori di logiche integrate, interdisciplinari e partecipative, privo di alcuna valutazione a scala di bacino, in aperta antitesi e contraddizione con quanto previsto dalla Dir. 2000/60/CE;
– il diffuso problema della cattiva gestione della risorsa idrica e la mancanza di una conoscenza chiara di dov’è l’acqua, di chi la usa, con che modalità viene utilizzata e come viene restituita. Non a caso si parla spesso a sproposito di siccità, cioè di mancanza d’acqua, quando il problema spesso non è dovuto alla non disponibilità quanto al sovrasfruttamento della risorsa in assenza di forme di gestione coordinata;
– i problemi nel controllo degli emungimenti abusivi, stime prudenti indicano in circa 1,5 milioni i pozzi illegali , concentrati soprattutto nelle regioni meridionali;
– la grave situazione delle reti di distribuzione dell’acqua ove le perdite sono in molte aree del paese superiori al 55% ;
– la situazione, spesso drammatica, in cui versano gli ecosistemi acquatici e la loro biodiversità quando è proprio negli ambienti fluviali, lacuali e nelle zone umide in genere che vivono le specie animali e vegetali a maggior rischio in Italia;
– gli usi non prioritari della risorsa idropotabile quali l’elevato consumo di acqua minerale oppure il crescente sfruttamento d’acqua per l’innevamento artificiale che sull’intero arco alpino si stima intorno ai 90 milioni di metri cubi d’acqua.
Tutto questo, come si è detto, è frutto di un disinteresse diffuso, di un’insulsa frammentarietà di competenze, di un deficit di conoscenze e di responsabilità e di un’incapacità a considerare il territorio in un’ottica spaziale unitaria (il bacino idrografico) e temporale di lungo periodo, lasciando prevalere una logica di quotidiana stupidità predatoria o, nel migliore dei casi, di emergenza funzionale all’applicazione del tradizionale approccio infrastrutturale.
A fronte di questo desolante quadro il WWF ritiene che, per impostare un virtuoso e corretto governo dell’acqua e del suolo che ponga le basi per un rapporto più consapevole e responsabile da parte di tutti i soggetti, sia pubblici che privati, l’applicazione della Direttiva 2000/60/CE non possa che essere una seria e concreta priorità per un Governo che si dice essere europeista convinto.

Andrea Agapito Ludovici
Responsabile Acque WWF Italia

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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