Self-publishing: nuova frontiera del libro o ultima spiaggia di scrittori ignorati?

Molti autori importanti si sono autopubblicati, oggi è alla portata di tutti… attenzione, però, alla qualità!

Manlio Cammarata

Il self-publishing (auto-pubblicazione) è un fenomeno nuovo, impostosi da pochi anni nel mondo dei libri. È figlio del processo globale di digitalizzazione delle informazioni che ha portato ad una diminuzione sostanziale dei costi per la pubblicazione di qualsiasi opera.
Il self-publishing si sviluppa soprattutto in formato elettronico (e-book), ma non mancano libri auto-pubblicati su carta, in piccole tirature rese convenienti dalla stampa digitale. La produzione di un e-book è praticamente a costo zero: un software, in genere gratuito, converte in un attimo il libro scritto al computer nel formato dell’e-book. Anche la distribuzione non costa nulla all’autore/editore: ci sono molti operatori che distribuiscono l’e-book ai negozi on-line ricavando solo una percentuale sul prezzo di vendita.
È tutto così semplice? Sì e no. Vediamo perché.

 

L’autore a proprie spese: non solo vanit y press

Nel ciclo editoriale “fisiologico”, l’opera di uno scrittore è pubblicata da un editore. Questi compie una selezione dei libri propostigli sulla base di valutazioni attinenti alla qualità ed alla vendibilità dell’opera. Compiuta la scelta, provvede alla stampa, alla distribuzione, alla promozione e, infine, al pagamento dei “diritti” all’autore.
Esiste anche un’editoria “perversa”, nella quale l’editore non svolge il suo lavoro, ma si fa pagare dall’autore per stampare un libro. Non seleziona, non investe, non promuove. Il suo lavoro consiste nel soddisfare il narcisismo di pseudo-scrittori disposti ad investire cifre spesso esagerate per vedere il proprio nome sulla copertina di un libro stampato che, probabilmente, nessuno comprerà.
La definizione inglese di questa editoria è icastica: vanity press. Nei forum su internet, gli editori che chiedono soldi per la pubblicazione sono classificati come EAP (editori a pagamento). Umberto Eco, nel romanzo Il pendolo di Foucault, ha sbeffeggiato gli “autori a proprie spese” (APS) insieme ad un editore bifronte: in un ufficio elegante questi riceveva gli APS con tutti gli onori, mentre, nel triste retrobottega, si svolgeva il difficile lavoro dei redattori della “vera” casa editrice.
C’è anche un rovescio della medaglia: molti scrittori importanti hanno esordito come APS. Qualche esempio: Alberto Moravia pubblicò a sue spese Gli indifferenti, Italo Svevo Senilità, Lewis Carrol Alice nel paese delle meraviglie. In tempi più recenti, Federico Moccia Tre metri sopra il cielo. In questi casi, parlare di vanity press è fuori luogo: si tratta di scrittori convinti del valore dei propri libri che certi perversi meccanismi del mondo editoriale lasciano, con ostinazione, fuori della porta.

Se lo scrittore bussa invano alla porta dell’editore

Il gusto di raccontarsi, lo sfogo del proprio disagio, il bisogno di comunicare rappresentano i primi stimoli alla scrittura. Spesso, “il romanzo nel cassetto” è una specie di psicofarmaco. Ma un numero rilevante di “scriventi compulsivi” non si limita a tenere uno o più romanzi nel cassetto. Bussa alle porte delle case editrici sperando nella pubblicazione. Così, ogni editore riceve centinaia, a volte migliaia, di manoscritti ogni anno.

Scovare lo “scrittore” nella massa degli “scriventi” è impresa così ardua – e costosa – che molti vi rinunciano a priori. In qualche caso affidano la prima selezione a lettori poco preparati, forse, a loro volta, scriventi frustrati. Il risultato è che anche autori di valore vengono ignorati. Casi clamorosi: Via col vento di Margaret Mitchell fu scartato da 38 editori; Carrie di Stephen King ebbe 30 lettere di rifiuto (prima che gli editori perdessero la buona educazione di rispondere, l’aspirante scrittore deluso poteva almeno divertirsi a collezionare le bocciature); Il momento di uccidere di John Grisham fu rifiutato da 16 agenti letterari e 12 editori (Grisham ha venduto più di sessanta milioni di copie dei suoi romanzi). Persino Harry Potter e la pietra filosofale, di J. K. Rowling, totalizzò 12 rifiuti prima di trovare un editore.
L’unica soluzione possibile, fino a poco tempo fa, era l’edizione a pagamento. Oggi c’è anche il self-publishing.

Anche il self-publishing non è una strada senza buche

L’editore, in ultima analisi, è un intermediario tra lo scrittore ed il lettore. Con l’auto-pubblicazione, questa intermediazione viene a mancare. È la manifestazione di un fenomeno chiamato “disintermediazione”. Ciò costituirebbe una caratteristica essenziale della comunicazione sulla Rete. “Costituirebbe”, non “costituisce”: tra l’autore e chi acquista il libro c’è almeno un intermediario – il distributore – spesso anche venditore dell’opera. Vediamo come funziona la filiera del libro auto-pubblicato. Nessuno scrive più a mano o a macchina. Tutti (o quasi) i testi sono composti con sistemi informatici, per lo più con il personal computer. Il passaggio dal PC dell’autore ai siti che vendono e-book è molto semplice: il distributore provvede (spesso gratis) a convertire in formato e-book il testo inviato dall’autore e a distribuirlo alle librerie on-line. Negli ultimi tempi si è aggiunta la possibilità di pubblicare anche i libri stampati: con le macchine digitali, una singola copia si può produrre e inviare subito all’acquirente.
Si chiama print on demand, stampa a richiesta.
Le cose, però, non sono mai semplici come sembra a prima vista. Per molti autori, poco pratici di procedure informatiche, anche l’operazione di invio del testo al distributore può rivelarsi complessa: ci sono lunghi e complicati moduli da riempire, a volte con domande astruse; si devono leggere pagine e pagine di contratti e istruzioni; è necessario inviare anche una copertina dotata di determinate caratteristiche. Comunque, bene o male, nel giro di un paio d’ore anche il più incapace degli autori riesce ad inviare la sua opera. I veri problemi cominciano qui.

libreria rischi self-publishing

Non costa nulla. Ma paga?

Il libro appena pubblicato si perde in una massa imponente di altre opere, ormai centinaia di migliaia, offerte a tutti i possessori di e-book reader o di computer, tablet e smartphone. Come farlo emergere? Come farsi notare?
È vero che la pubblicazione è a costo zero. L’autore non spende nulla: riceve solo i diritti sulle copie vendute. Questo è uno degli aspetti più importanti del self-publishing. Ma ciò ha un limite perché distributori e venditori campano delle percentuali sul venduto. Siccome un autore sconosciuto
vende, di solito, poche copie, convincendo all’acquisto solo amici e parenti, il distributore può guadagnare solo se pubblica un grande numero di opere. Così, senza alcun filtro, senza alcuna selezione, senza un minimo controllo di qualità, la Rete è invasa da una valanga di opere indistinguibili l’una dall’altra. Per emergere dalla massa sono necessarie altre capacità. Vince la battaglia chi è più abile a sfruttare le reti sociali, il passaparola via Twitter, Facebook, Whatsapp o altri canali. Meglio se molti nello stesso tempo. La Rete non premia la qualità letteraria. Premia i libri che suscitano interessi diversi, che sembrano soddisfare desideri o frustrazioni diffuse: le “cinquanta sfumature” di vari colori rappresentano l’esempio più evidente di questa situazione.
In ogni caso, non hanno molte possibilità di successo i libri scritti male, impaginati peggio, con copertine “fatte in casa” invece che disegnate da un grafico. Senza parlare della redazione del frontespizio, dell’indice e di altre informazioni obbligatorie. In poche parole, i libri non transitati per le mani di un editor (in italiano: redattore editoriale), dotato delle competenze necessarie per trasformare un “manoscritto” in un “libro”. E, nel caso degli e-book, anche per aiutare l’autore a mettere in rete qualcosa che attiri l’attenzione dei possibili lettori.
Alla fine, si scopre che la “disintermediazione” non esiste.
Cambiano gli intermediari, ma, anche con il self-publishing, il rapporto diretto tra l’autore ed il suo pubblico resta una finzione.
Manlio Cammarata, giornalista specializzato nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione

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