Afghanistan: la povertà, ulteriore ostacolo sulla strada della pace

“I gabinetti, senz’acqua e pieni di rifiuti organici, sia solidi che liquidi, sono ridotti a putride e maleodoranti montagne di deiezioni. Nell’aria c’è un tanfo tale da non riuscire neanche ad entrarci. Il refettorio non è riscaldato (in questi giorni abbiamo anche punte di –15°C), né illuminato. Non esiste il minimo utilizzo di criteri igienici nella manipolazione del cibo. Unico pasto del giorno, una piccola ciotola di riso in bianco su cui viene versato un giorno una manciata di carote, un giorno 3-4 pezzetti di patata, un giorno una manciata di fagioli”.

Queste parole sono di Danilo Prestia, colonnello del CIMIC, Cooperazione Civile Militare con grande esperienza di missioni in Afghanistan. In questa terra, fra le più povere in assoluto, i bambini non hanno cibo, acqua potabile, vestiti e sono spesso affetti da malattie (in genere infezioni respiratorie, leismaniosi), per le quali sono scarsi o inesistenti i mezzi di cura.

Ma non è solo l’infanzia ad essere colpita dalla povertà economica e culturale. L’emancipazione delle donne in Afghanistan è la più bassa del mondo. Nel regime talebano le donne non potevano andare a scuola ed erano prigioniere delle loro case.

In Afghanistan vivono 25 milioni di persone, un quinto è sotto la soglia di povertà assoluta. Il 40% della popolazione non trova lavoro e la maggior parte della popolazione utilizza l’85% dei propri beni per riuscire a mangiare. La maggioranza delle persone dipende dalla propria produzione agricola per la sopravvivenza. Una produzione agricola spesso molto particolare: secondo quanto emerge da una ricerca dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la droga e il crimine (UNODC), l’Afghanistan produce i tre quarti dell’oppio mondiale.

Ma oggi, dopo 30 anni di guerra civile, la situazione della popolazione non è mai stata così drammatica. Ancora oggi nove milioni di persone dipendono per la propria sopravvivenza dagli aiuti umanitari. Ma dal 2001, dopo la caduta del regime dei Talibani, gli investimenti della comunità internazionale, pari a 15 miliardi di dollari, non hanno ottenuto l’efficacia sperata.

Un dossier dell’organizzazione umanitaria britannica Oxfam, ottenuto con l’aiuto di alcune ONG locali e basato su un sondaggio condotto tra oltre 700 afghani , ha evidenziato che il 70% delle persone percepisce la povertà, la disoccupazione e la corruzione dilagante nel loro Paese come la principale causa del conflitto e del suo mantenimento, e in mancanza di reazioni adeguate da parte della comunità internazionale, un sesto degli afghani sarebbe pronto a lasciare il paese per sempre.

Mauro Volpatti

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