Bambino in attesa di giudizio – L’opinione di Davide Giacalone

La scelta che spetta al giudice è tremenda, ma deve compierla. Ho rispetto e ammirazione per chi prende sulle spalle il compito d’essere giudice della vita altrui, in questo caso dell’affidamento di un bambino appena nato. Ma il figlio dei due che hanno (in concorso o meno, la giustizia lo stabilirà in via definitiva) sfregiato con l’acido una persona, sfigurandola a vita, non può stare lì ad attendere che qualcuno si decida a decidere. E’ nato lo scorso 14 agosto, quando la sua situazione era già chiara da tempo, non c’è ragione di rendergli peggiore una vita iniziata in quel modo.

La gravidanza era già iniziata, infatti, quando la madre ha tirato l’acido a un suo coetaneo. Era detenuta, quando lui è nato. Lungi da noi il volerci sostituire al giudice, cosa illegittima sempre e, in questo caso, anche avventurosa, ma i genitori naturali sono, nel migliore dei casi, complici in un atto di estrema violenza. Nel peggiore, come sta capitando, litigano per stabilire di chi è la colpa, con lui che pensa di cavarsela accusando lei. Solo quando ho visto le foto della vittima, dice, ho capito la gravità del fatto, se lo avessi immaginato prima avrei cercato di fermarla. Questo è il padre di quel povero bambino. La cui gravidanza sarebbe iniziata in una specie di patto d’amore schizzato: io mi faccio anni di galera per dimostrarti il mio amore e farmi perdonare i tradimenti, tu, però, mi metti incinta. In ogni caso è la madre ad avere lanciato l’acido. Ed è difficile supporre che pensasse fosse una carnevalata.

Lasciamo perdere un processo parallelo, nel quale sono arrivati i filmati sulle attività sessuali dei due. Ciascuno è libero di fare quel che crede, se l’altro è consenziente. Non è un’aggravante strappare le teste alle galline e farne colare il sangue, semmai è un reato a sé. Non è reato bere le urine. Non è punibile (forse, ma non ne sono del tutto sicuro) l’incisione delle carni altrui. Dipende dal come e dal quanto. Però, tutto questo messo assieme, e considerato che si tratta di due persone che si trovano in carcere e ci resteranno, il bambino ha diritto a una sorte meno compromessa. Hai voglia a dire che l’amore di un genitore non è sostituibile. In certi casi è preferibile non avercelo.

Il bambino potrebbe essere affidato ai nonni, benché il successo del loro essere educatori non è che sia esaltante. O potrebbero cogliersi le altre possibilità offerte dalla legge, dandolo in adozione a chi lo desidera e lo amerà, in una situazione di normalità. Ripeto: ho un gran rispetto di chi deve compiere questa scelta, ma non può non compierla. Il bambino non deve restare in un istituto, in attesa di giudizio.

In questi giorni si fa un gran discutere confusionario, proprio attorno al punto delle adozioni. Si usa la denominazione in inglese, stepchild adoption, supponendo, sia lo si voglia considerare favorevolmente o negativamente, che sia la porta verso le adozioni in capo a coppie omosessuali. Quella pratica esiste già, nel nostro ordinamento, e già ci sono sentenze in tal senso. Ciò che la regge, come ciò che regge l’intera normativa sulle adozioni, non è il desiderio di soddisfare il proprio bisogno di un bambino, bensì la tutela degli interessi del bambino stesso. Non è differenza di poco conto. Nel caso dell’adozione da parte di un genitore non naturale, ma che si trova al fianco di uno dei genitori naturali, l’adozione è retta dalla continuità affettiva assicurata al bambino: già vive con quei due, nel suo interesse continui così.

Il figlio della coppia acida non vive con i genitori, né potrà farlo nel corso di tutta intera la sua infanzia. I suoi interessi vanno tutelati. Il giudice è lì per quello.

Pubblicato da Libero

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