Domani leggeremo o no? è il digitale che ci salverà

Il digitale è solo uno strumento che consente ai testi di circolare anche in forma immateriale, abbattendone i costi di produzione. Questo comporta che testi altrimenti trascurati e negletti possano meglio illuminare qualche mente

Davide Giacalone

Il futuro del libro è radioso. Non date retta a quanti intonano il requiem (son quelli che non hanno mai amato il presunto morente o dicono d’amarlo, ma di una passione possessiva ed escludente, quindi mortale). È l’industria editoriale, in tutta la sua catena, a doversi aggiornare. Come fa qualsiasi corpi vivente che non abbia deciso di trapassare.

Quando i libri erano oggetti autenticamente preziosi, dovuti al lavoro degli amanuensi (e un pensiero va ai monaci benedettini, dopo che il terremoto ha lasciato in piedi la statua del fondatore), quando il loro formarsi era frutto di un procedimento ad alto investimento di cultura, li si leggeva assai meno che oggi.

Gli studiosi migliori, in quei tempi che vanno dal XIII al XVI secolo, avevano accesso a volumi assai più limitati di quelli oggi a nostra disposizione. Ne traevano maggior profitto? Certo, non basta leggere per essere studiosi, ma neanche è corretto sottovalutare il potenziale straordinario di quel che oggi abbiamo fra le mani. Già nel corso di quell’epoca irruppero i caratteri mobili, quindi la riproducibilità in molte copie. Che erano poche, rispetto a quelle che si stampano oggi, ma già sufficienti, nel caso della Bibbia, per scatenare non una vocazione di massa, ma feroci e lunghissime guerre di religione. Dal sillabo ai roghi, passando per la più prosaica censura, molti sono stati i tentativi di porre un freno alla diffusione dei libri sgraditi.
Tutti destinati all’insuccesso. Taluni anche al ridicolo. Oggi si dice che il libro boccheggia, perché disarmato nell’era digitale. Chi lo pensa è abituato più a contarli che a leggerli. Il digitale cambia molte cose, ma in meglio. Intanto consente di cancellare dai nostri scaffali la molesta ed invasiva categoria delle raccolte a sfondo normativo. Vivo fra i libri, ma ho con gioia rinunciato alla collezione della Gazzetta Ufficiale.

Una liberazione. Il “libro” non è quella cosa composta da tante pagine rilegate fra loro, al punto che faccio fatica a considerare “libro” larga parte della manualistica, mentre considero “fregatura” quella roba che chiamiamo libri di testo. Il libro è un prodotto che può essere eccellente o pessimo, scritto dalla prima all’ultima pagina, da uno o più autori che si sono proposti di passare ai lettori idee o sensazioni, insegnamenti, sogni, incubi. Il digitale è solo uno strumento che consente ai testi di circolare anche in forma immateriale, abbattendone i costi di produzione.

Questo comporta che tanta robaccia in più potrà vedere la luce, ma anche che testi altrimenti trascurati e negletti possano meglio illuminare qualche mente. Il libro, come le idee, non è migliore se si fanno fuori i peggiori, ma se riesce ad affermarsi presso quelli cui è destinato. Posto che non credo verrà mai meno il prodotto cartaceo, perché risponde ad un bisogno fisico incancellabile (se mi passate l’ardire: può pur diffondersi la fecondazione in vitro, ma risponde a bisogni diversi da quelli che rendono intramontabile la versione tradizionale), cambia, però, il modello di business.

E qui si corre un rischio, se le normative non s’adeguano alla tecnologia: teoricamente, si dovrebbe poter premiare più l’ingegno che la tipografia; in pratica, capita che l’ingegno resti senza remunerazione perché s’indebolisce l’anello intermedio, l’editore. Il fatto che ne sorgano, di editori, con dimensioni globali dovrebbe essere un evento felice, per un globalista come me. In effetti, lo è, ma segnala anche una disintermediazione nociva.
Non che gli editori siano infallibili, come dimostrano i tanti capolavori rifiutati, ma senza di loro si rischia di restare un po’ troppo spaesati. Ci sono quelli che girano con un tomo di Hegel (intonso) sottobraccio, pronti a dire che non son libri quelli che altri leggono. Poi passano gli anni e quegli stessi fogli li si vede sotto diversa luce (leggasi alla voce: Liala). Il libro ha un grande avvenire, a dispetto dei suoi falsi e illetterati sacerdoti.

Davide Giacalone, Editorialista di RTL 102.5 e Libero

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