Parigi e gli attentati: talvolta la speranza si fa attendere

Parigi, luglio 2016. Un clima di assurda serenità in una città sotto attacco dal giorno in cui tutti diventammo Charlie Hebdo.  Una redazione di un giornale come molti, in una città che adesso al civico 10 di Rue Nicolas Appert hanno messo una targa commemorativa in ricordo di chi preferiva morire in piedi che vivere in ginocchio.

E nessuno ha voglia di parlare molto. Incontro una giovane che da poco lavora li, in quella redazione, che mi racconta di silenzio totale con colleghi giornalisti e di nessuna possibilità di parlare di terrorismo. Perché a Parigi vogliono andare avanti. E al Bataclan, attualmente in ristrutturazione, si intravedono le finestre dietro le impalcature. E tornano alla mente i rumori noti ormai a tutti noi di spari, urla, ragazzi in fuga dalle finestre di un palazzetto che sarà riaperto a fine dicembre. E poi sulla tela che avvolge le transenne quelle parole sometimes hope delays a lot

Parigi Bataclan hope

Qualche turista si ferma e fotografa il davanti del cafè concerto diventato simbolo di una città colpita al cuore della gioventù. Fotografano anche una finestra che resta aperta. I colori meravigliosi del teatro si confondono col verde degli alberi del viale. E tutta Parigi va avanti. Dopo i fatti di Nizza, la strage dei bambini, e quel prete anziano sgozzato nella chiesa, del clima di terrore intorno non v’è traccia. Polizia poca, controlli nel metro o in aeroporto o nei punti caldi o affollati davvero stranamente scarsi. Viene da chiedersi se davvero la Francia non sappia difendersi o non voglia farlo pur di andare avanti. E la stampa, mentre in Tv manda in onda immagini della Chiesa di Rouen e delle tante persone accorse per lasciare un fiore davanti a quel luogo sacro violato in nome di pura follia, resta chiusa in uno mutismo inspiegabile davanti a qualche domanda su come si stia affrontando la situazione ed il rischio.

Come è possibile arrivare in un paese già in allarme e seminare morte cosi? Come è possibile che attentatori segnalati come pericolosi perché a rischio radicalizzazione possano sul serio agire cosi?  Quali sono stati gli errori commessi nel piano di prevenzione antiterrorismo in Francia, attualmente il paese Europeo più colpito dalla follia allo stato puro  che è l’ ISIS?

charlie hebdo parigi

Non può essere qualcosa di normale uccidersi ed uccidere bambini innocenti, esseri umani colpevoli di essere cristiani, e nemmeno questo corrisponde a verità. Perché investendo  all’impazzata non si poteva conoscere la religione di chi ha perso la vita. E la vicinanza della comunità musulmana alla chiesa cattolica, prendere le distanze da certi atti violenti non basta ancora a fermare la diffidenza verso lo straniero=terrorista. E in una Europa che accoglie migliaia di anime in fuga che, attraverso l’Italia, giungono nei paesi in cui sperano in un futuro, forse quelle parole sono il senso di un viaggio senza fine, di quel viaggio che mai renderà liberi, perché si resta stranieri per sempre, né carne, né pesce, in quella doppia assenza che rappresenta la realtà di molti immigrati, che non appartengono piu’ al paese da cui fuggono e mai apparterranno al paese in cui arrivano…

QUALCHE VOLTA LA SPERANZA TARDA MOLTO…

Però deve arrivare. Parigi ci prova ricominciando ogni giorno. E se il viaggio di un migrante è contornato della nostalgia che accompagna chi mai avrebbe voluto lasciare la propria terra, della speranza bisogna farne una bandiera, magari di un unico colore, verde come le foglie che accarezzano le vie di Parigi, e poi arancione, come il colore che le stesse prendono nel tempo migliore per guardare un tramonto sulla Senna, l’autunno. O forse azzurro come un cielo d’ estate che ancora splende sulla città d’una bellezza incantevole che nessun pittore può dipingere del tutto. Perchè Parigi è quel sogno che molti accarezzano e  che nessuno potrà trasformare in luogo di terrore, nonostante tutto.

parigi tour eiffel

Marianeve Santoiemma, collaboratrice di SocialNews

Fotografie di Vincenzo Aiello

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