Le migrazioni tracciano il futuro dell’Europa

Come capire al meglio il flusso migratorio verso l’Europa e quanto può essere responsabile del futuro dell’Unione Europea. Sarà da stimolo nella trasformazione della UE in Stati Uniti d’Europa con confini unitari e unica politica estera o porterà al disfacimento dell’Unione Europea per costi, disaccordi interni e rischi di attentati terroristici?
Massimiliano Fanni Canelles
migrazioni europa

Foto di Matthias Canapini

Spesso, quando si parla di immigrazione, la confusione e i dubbi prevalgono, la disinformazione conduce ad un’interpretazione nebulosa dell’intero fenomeno dei rifugiati. Immigrato e rifugiato sono delle figure distinte e non sono assimilabili. Immigrato è chi si trasferisce dal Paese d’origine per migliorare la propria qualità di vita. Lo status di rifugiato garantisce alla persona che scappa da situazioni che possono violare i suoi di ritti umani la protezione sotto l’egida della legislazione nazionale ed attraverso gli accordi internazionali. La confusione fra queste diverse figure di profughi è accentuata dal fatto che nei paesi del nord Europa, ad esempio, è più facile avere lo status di rifugiato, ma più difficile restare come migrante economico, rispetto al sud Europa, dove è più complicato avere asilo. In altre parole, la stessa persona potrebbe essere considerata un rifugiato in Svezia e un migrante economico in Italia.
Per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, secondo i dati dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR) il numero di rifugiati oggi al mondo ha superato i 60 milioni. A partire dai primi mesi del 2011 “con lo scoppio della guerra in Siria”, sono 11 milioni e 600 mila le persone tra sfollati medio-orientali e rifugiati. Un fiume inarrestabile, che nel 2015 ha superato la quota del milione di persone che ha raggiunto l’Europa ( dati forniti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni – Oim). L’aumento del flusso migratorio è determinato da alcune situazioni di esodo forzato dai 15 conflitti Africani particolarmente gravi in Sud Sudan e nella Repubblica Centrafricana ma principalmente dalla persistenza della crisi siriana e libica. In Siria in cinque anni di conflitto, sono morte più di 250mila persone, l’11,5% del totale della Siria pre-guerra e il 45% della popolazione non ha un posto dove vivere. In Libia, a 350 chilometri a Sud dalle coste dell’Italia e nostro grande fornitore di gas e petrolio, la guerra civile è sempre più cruenta fra le sue Città-Stato e un’infinità di milizie poco compatte, due governi, interessi di attori esterni. Ma non solo «è una manna per le organizzazioni criminali internazionali che, collaborando con le milizie locali, lucrano sul traffico di esseri umani», racconta Giorgio Cuscito su Limes.
L’Italia è al secondo posto dopo la Grecia per numero di profughi arrivati nel 2015. In Grecia è giunto un numero decisamente più alto di profughi, 821,008. In Italia sono stati 150.317. Del milione arrivato in Europa, la maggior parte è costituita da siriani (circa 455mila), che scappano dalla guerra civile nel loro Paese, seguiti da afghani, iracheni ed eritrei. La maggior parte di loro è arrivata attraverso il mare, oltre 800mila partendo dalla Turchia verso la Grecia. Frontex (Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea) ha individuato sette rotte, utilizzate da migranti e rifugiati per raggiungere l’Europa. La Turchia come porta d’ingresso delle rotte balcaniche o dell’Europa orientale; le enclavi spagnole in Africa di Ceuta e Melilla per chi si sposta verso la penisola iberica; l’Ucraina, luogo di passaggio per entrare in Finlandia, Norvegia, Romania e Polonia; la Macedonia per raggiungere la Serbia e il confine tra Serbia e Ungheria. Ma è la Turchia che, rispetto alla propria popolazione, ha ospitato più rifugiati.
mare nostrum triton migrazioniL’Oim ha anche fatto sapere che nel 2015 sono 3.695 i migranti affogati o dispersi.  Per far fronte a questa carneficina l’Italia aveva predisposto la missione militare umanitaria “Mare Nostrum” con l’intento di potenziare il controllo dei flussi migratori e la salvaguardia della vita dei migranti in mare e l’arresto dei trafficanti di esseri umani. Il costo dell’operazione era di 9,3 milioni di euro al mese (fonte ministero della Difesa) e su risorse aggiuntive dell’Unione Europea per quasi 2 milioni di euro (dal fondo Ue per le frontiere esterne per le attività di emergenza). La decisa opposizione politica a “Mare Nostrum” costrinse però a passare, nel gennaio 2015, all’operazione Triton con un costo minore (2,9 milioni al mese). Rispetto alla precedente questa puntava a sorvegliare le frontiere marittime esterne dell’Unione europea e a contrastare l’immigrazione irregolare e le attività dei trafficanti di esseri umani, con un’area operativa più limitata (entro le 30 miglia dalle coste italiana e maltese). Con il passaggio da Mare Nostrum a Triton non sono diminuiti gli sbarchi ma i morti in mare sono aumentati. Dopo l’ennesima strage al largo delle coste libiche nel aprile 2015, il Consiglio d’Europa ha bocciato Triton definendola “non all’altezza”, con il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz che ha parlato della «palese mancanza di una politica migratoria adeguata dell’Unione Europea.
Ulteriore problema è quello dell’identificazione dei richiedenti asilo che può avere anche importanza nell’ambito dell’intelligence antiterrorismo. Molti profughi sono addestrati a sfuggire alle fotosegnalazioni e al rilevamento delle impronte digitali per poter arrivare nei paesi del Nord-Europa. Da quanto riportato da Marco Galluzzo sul Corriere della Sera, la cifra del fallimento europeo e italiano sulla «mancata identificazione degli arrivi su coste italiane o greche o lungo il tracciato di altri confini» si aggirerebbe intorno al 60%-70%. L’incapacità di identificazione provoca anche una mancata applicazione del “regolamento di Dublino”, volto a individuare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo e a prevenire l’abuso delle procedure d’asilo. Il tutto ha causato tensioni politiche in Europa, con i paesi dell’Unione che vorrebbero che l’Italia fornisse garanzie di identificazione e fotosegnalazione. Ma la stessa gestione delle domande d’asilo presenta criticità, scrive Claudio Gatti sul Sole 24 ore: «in Italia la capacità di smaltimento delle pratiche è quattro volte inferiore a quella della Germania, che nell’ultimo anno e mezzo ha fatto fronte a un numero di migranti tre volte superiore».
Ogni Paese interno alla UE sta quindi decidendo autonomamente su come gestire i migranti. Muri e chiusura delle frontiere interne stanno così bloccando i flussi migratori verso il Nord-Europa, trasformando Italia e Grecia (dove denuncia Amnesty International «il sistema di accoglienza è al collasso») in imbuti senza via di uscita i cui luoghi mutano la loro fisionomia e diventano territori di accoglienza per migranti, anzi “transitanti”. E’ recente infine l’accordo Ue-Turchia per gestire l’emergenza profughi, l’intesa permetterebbe all’Ue di salvare il trattato di Schengen e garantirebbe alla Turchia la riapertura del processo di adesione all’Unione e un sostanzioso aiuto finanziario (più di 6 miliardi di euro) per trattenere in loco la massa migratoria proveniente dalla regione mediorientale.  L’accordo consentirebbe ai profughi di non mettere la propria vita alla mercé di trafficanti senza scrupoli, grazie all’apertura di canali ufficiali per giungere in Europa.  Purtroppo la Turchia non può però essere legalmente definita un “paese sicuro” verso cui è consentito rispedire coloro le cui richieste di asilo vengono scartate. L’accordo infatti ha suscitato le proteste di numerose ONG che hanno più volte denunciato gli abusi del governo turco a danno dei ceti sociali deboli.
Riguardo ai costi sostenuti dall’Unione Europea per contenere il flusso migratorio, ai costi di Mare Nostrum e Triton e ai 6mila miliardi garantiti oggi alla Turchia per bloccare la rotta balcanica, bisogna aggiungere altri costi che l’Europa ha dovuto sostenere dal 2000 a oggi. Da alcuni fonti sembra che siamo usciti più di 13 miliardi di euro per gestire i rimpatri e controllare le frontiere, non per l’accoglienza. Miliardi spesi per fare rimpatriare i migranti, per il controllo delle frontiere esterne, per lo sviluppo dei sistemi tecnologici alla sorveglianza e identificazione, per la costruzione dei muri in Bulgaria e Marocco, e la dotazione di armi della polizia di frontiera. Tra le diverse voci 75 milioni sono stati spesi dall’Europa per aiutare la Tunisia (durante la reggenza di Ben Alì), l’Egitto, la Libia, l’Algeria e la Mauritania a impedire l’attraversamento del Mediterraneo a migranti e rifugiati, molto spesso non tenendo conto delle implicazioni sui diritti umani. A tutto questo bisogna aggiungere i costi dell’intelligence e dell’interpol relative alle indagini antiterrorismo.
Un Medio Oriente sprofondato in una guerra sempre più complessa e disordinata sarebbe una tragedia non soltanto per i paesi dell’area, ma anche per l’Europa. Non possiamo rimanere indifferenti e uniti dovremmo difendere i nostri confini comuni. Uniti dovremmo coordinare le operazioni di intelligence. Uniti dobbiamo dare una risposta alle migrazioni e all’inclusione dei rifugiati, profughi e dei migranti. Uniti dovremmo decidere che fare e cosa fare in Siria e in Libia, dove lo Stato Islamico sta costruendo i propri avamposti, alle nostre porte. L’Europa spuria di oggi è un fardello inefficiente, gli Stati Uniti d’Europa con confini unitari, politica estera e attività univoca di cooperazione internazionale potrebbero invece avere il peso necessario a ristabilire i diritti umani e gli equilibri democratici nell’aera del mediterraneo e di tutto il medio oriente.

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