La violenza è estranea al tifo. E allo sport

di Massimiliano Fanni Canelles

Homo homini lupus sosteneva il filosofo Thomas Hobbes nel XVII secolo, discutendo la sua teoria politica fondata su una visione antropologicamente pessimista dell’uomo. Secondo il pensatore, l’uomo è naturalmente guidato da istinti e pulsioni orientate alla sopravvivenza e alla sopraffazione dell’altro, anche attraverso la violenza. Proprio per impedire una guerra di tutti contro tutti, Hobbes teorizzava la necessità di uno Stato capace di controllare le azioni umane ed inserirle in un quadro di regole ampio e variegato.
Sono passati alcuni secoli da quando questa teoria, posta alla base del moderno Stato di diritto, e il rispetto della legge sono diventati parte del nostro vissuto quotidiano. Tuttavia, l’istinto della guerra è tutt’altro che sopito. Il fatto che non sia permesso realizzare azioni violente nello spazio pubblico ha portato alcuni a ricercare dei surrogati. Ed ecco che entra in gioco lo sport. La competizione connessa a qualsiasi tipo di gara è un’arma a doppio taglio: da un lato, permette all’individuo di massimizzare le sue possibilità; dall’altro, rischia di diventare un alibi per dare sfogo allo spirito violento innato in alcuni. Quando è questo secondo elemento a prevalere, l’effetto è la snaturazione dell’essenza stessa dello sport, che nasce per unire e far crescere. Vi è, inoltre, anche un secondo effetto dell’ambivalenza descritta: una radicalizzazione del tifo.
La violenza innata in alcuni esseri umani non trova sfogo soltanto nello sport praticato, ma anche nel supporto alla propria squadra del cuore o al proprio atleta preferito. Talvolta, questa passione acceca lo spirito critico e sospende la ragione provocando, purtroppo, conseguenze estreme. In certe occasioni, la violenza si trasforma in vandalismo, come il recente caso dei tifosi del Feyenoord, i quali, nel febbraio scorso, hanno rovinato la Barcaccia del Bernini in Piazza di Spagna.
In altre occasioni, invece, anche distruggere un oggetto non è sufficiente a placare la carica violenta del “tifoso”. Non è superfluo ricordare che la violenza è totalmente estranea allo sport e al tifo. In questi casi, l’istinto porta l’uomo a scagliarsi contro l’altro uomo, riproponendo una guerra di tutti contro tutti di hobbesiana memoria inaccettabile per la società, soprattutto quando la furia cieca porta alla morte di innocenti: l’ispettore di polizia Filippo Raciti perse la vita durante gli scontri tra forze dell’ordine e ultras in occasione dell’acceso derby Catania-Palermo del 2007.
L’indignazione mediatica e politica del giorno dopo non è sufficiente. È necessario partecipare ad un processo più ampio, catalizzatore di forze ed attori variegati che si muovano all’unisono verso un unico obiettivo: l’eliminazione anche del più piccolo residuo di violenza in ambito sportivo.
Le guerre cancellano le istituzioni e le regole, permettendo, così, di slatentizzare il desiderio di violenza di molti. Lo sport diventa, inconsciamente, pretesto per fare altrettanto. Ma tutto ciò non può essere accettato. Lo sport e il tifo non possono e non devono rappresentare un surrogato della violenza innata negli uomini. La competizione non è un’occasione per sospendere le regole della convivenza civile. Al contrario, dovrebbe costituire un momento nel quale dar prova di maturità individuale e collettiva.
Oggi non è più possibile lo scontro tra fazioni diverse su un “campo di battaglia” cittadino. Si tratta di una conseguenza del progresso dell’uomo fondato sul riconoscimento della dignità altrui. Per questo motivo, in questo numero di SocialNews abbiamo deciso di indagare il fenomeno, raccontarlo, provare a comprenderlo considerando fondamentale come l’impegno di ognuno per sopire qualsiasi istinto distruttivo risulti rafforzato da un buon servizio di informazione.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Tags:

Rispondi