Doping e olimpiadi, la storia infinita

Michael Phelps, il più grande nuotatore di tutti i tempi, l’atleta più titolato nella storia delle Olimpiadi, 21 medaglie d’oro, tuona contro la russa Yulia Efimova prima esclusa per doping e poi ammessa ai Giochi di Rio (conquistando l’argento nel 100 metri rana) perché la sua squalifica era già stata scontata a febbraio del 2015:  “Che giorno triste per lo sport permettere ai dopati di gareggiare è una cosa che mi spezza il cuore e mi fa letteralmente incazzare”.

Non è il solo a pensarla così, la Efimova viene sistematicamente sommersa dai fischi ogni volta che fa capolino in piscina, una gogna pubblica che nemmeno sul podio si placa. Un clima davvero pesante quello che circonda la squadra russa, fischiata fin dalla cerimonia inaugurale. Alle Olimpiadi di Rio la Russia vede il suo contingente tagliato di circa il 30 per cento, l’intera squadra di atletica è stata esclusa per uso massivo di sostanze dopanti. Ma molti atleti, non solo russi, sono tutt’ora in bilico, con decisioni che vengono risolte mentre le gare sono in corso.

Ma le accuse non sono solo per la Russia. “Sono molto triste a vedere come si sia ridotto questo sport”. specifica il dorsista francese Lacourt. “Mi sembra di rivedere l’atletica di alcuni anni fa, con 2-3 dopati in ogni finale”.  Chiara l’allusione al cinese Xu Jiayu, 20 anni, argento nei 100 dorso. E a pensarla come Lacourt è anche Michael Johnson, 48 anni, l’americano, otto volte iridato dei 200 e 400: “Vorrei che il Cio bandisse dai Giochi tutti gli atleti che sono stati squalificati per doping”. Chi ha la fedina macchiata non deve avere più l’eleggibilità del comitato olimpico: un pensiero che sta ricevendo sempre più consensi anche tra i rappresentanti degli atleti.

Alex Schwazer Doping

Italy’s Alex Schwazer, gold medal of the men’s 50 km walk at the 2008 Beijing Olympic Games, reacts as he answers journalist’s questions on August 8, 2012 in Bolzano during his press conference after he failed a doping test for using the blood-boosting agent erythropoietin EPO and being banned from Italy’s London Olympics 2012 delegation. AFP PHOTO / Pierre TEYSSOT

E sembra che il Tribunale Arbitrale dello Sport lo abbia ascoltato. E’ stata accolta la richiesta della Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica di condannare a 8 anni di squalifica Alex Schwazer, che attendeva a Rio la possibilità di rientrare in gara. Carriera finita. Schwazer, campione olimpico nella 50 chilometri di marcia a Pechino 200, era stato già squalificato per 4 anni alla vigilia di Londra 2012 a causa di una positività all’Epo. Appena rientrato per centrare la qualificazione a Rio è risultato nuovamente positivo ai test sul testosterone. C’è chi sostiene un complotto organizzato contro di lui; le spiegazioni del coach Sandro Donati, argomentate con dati/tabelle/istogrammi relativi al monitoraggio antidoping a cui Alex è stato sottoposto ogni 15 giorni dall’anno scorso non sono state accolte. Da considerare che nostro marciatore ed il suo allenatore erano stati i primi ad accusare gli atleti russi di fare ricorso sistematicamente al doping.

Ma gli sport sotto accusa sono molti. Il riesame delle provette di Pechino 2008 e Londra 2012 ha scoperto altri quattro campioni olimpici che facevano uso di sostanze proibite. E prima di Rio 2016 i giudici hanno bloccato oltre 40 sollevatori, donne e uomini di Armenia, Ucraina, Moldavia, Nord Corea, Cipro, Turchia e Kazakistan.

Impossibile vincere senza doping, una tesi ribadita anche in una lezione pubblica che Armstrong, il re del ciclismo squalificato a vita per doping, ha tenuto all’università del Colorado di fronte a un centinaio di studenti nel marzo scorso. Il ciclista non risparmia critiche nemmeno all’USADA, l’agenzia antidoping statunitensi: “Hanno un budget di 15 milioni di dollari e i test rivelano solo lo 0,7 per cento dei positivi”.

Anche in questo caso emerge uno dei problemi più spinosi legati alla lotta internazionale contro il doping: il vuoto di potere in mezzo alle decine di organismi ed associazioni che dovrebbero occuparsi della questione. Parliamo di Comitato olimpico internazionale (Cio), del Tribunale arbitrale dello sport (Tas) e delle varie federazioni sportive internazionali che si rimpallano le decisioni e lasciano spazi di manovra a chi barare con l’utilizzo di sostanze illecite. 

doping

Il risultato è il caos in cui atleti sicuramente dopati e altri probabilmente puliti vengono inseriti in un database di sospettati. Un mondo opaco in cui sono coinvolti allenatori, medici, dirigenti, fino ai detentori del potere politico e sportivo, ma nel quale a rischiare la salute rimangono solo gli atleti. Innumerevoli sono le morti negli anni a seguire alla carriera agonistica dei campioni olimpionici e non. 

L’utilizzo delle sostanze dopanti però che non coinvolge solo lo sport professionistico o di alto livello. Come ha evidenziato la ricerca della Fondazione @uxilia, atleti dilettanti possono essere paradossalmente più a rischio a causa di un minor controllo sulle competizioni. Il progetto di @uxilia, svolto nelle scuole e nelle società sportive in tutta Italia, ha avuto come obiettivo quello di effettuare una attività di formazione su larghissimo spettro per la prevenzione dell’uso delle sostanze dopanti nello sport giovanile, per far comprendere la percezione del rischio e l’utilità di uno sport etico rispetto a quello illecito dove le competizioni diventano disoneste per interessi economici e di potere.

Dell’utilità di questo progetto di lotta al doping parlano le olimpiadi, i rimpalli, i rischi sulla salute che vediamo proprio in questi giorni alle olimpiadi di Rio.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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