Cooperazione internazionale: un modello di “politica estera”

La società civile nelle sue varie espressioni, anche nelle sue piccole associazioni, è la vera prima linea della cooperazione internazionale allo sviluppo. Non riconoscere questo è un errore politico strategico e l’Italia nel limitare il riconoscimento ad ONG – a differenza di quello che avviene negli altri Paesi – perderà sempre più peso internazionale
Massimiliano Fanni Canelles
cooperazione internazionale bambini sri lankaLa cooperazione internazionale ha come compito quello di garantire la tutela della vita e della dignità umana soprattutto nei paesi ad alto indice di povertà. Benché finalizzata a promuovere processi di sviluppo sostenibile, ispirandosi al principio della pari opportunità e rispetto dei diritti umani universali, spesso la cooperazione internazionale è stata praticata e gestita come parte integrante della politica estera dei Paesi donatori. La disuguaglianza nel mondo è causa di instabilità a livello planetario e intervenire a sanare i problemi del Terzo Mondo significa anche favorire lo scambio con i Paesi industrializzati e poter intervenire con più peso politico in situazioni di crisi, contrasti e arbitrati internazionali. Anche per questi motivi, dopo la seconda guerra mondiale sono nati organismi sovranazionali come le Nazioni unite, ma anche organismi monetari Internazionali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, adibiti a gestire aiuti di tipo monetario verso Paesi più poveri.
L’UE è il primo donatore al mondo a favore dello sviluppo internazionale. L’UE e i suoi Stati membri forniscono oltre la metà degli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) a livello globale. L’obiettivo primario di questa politica di sviluppo è l’eliminazione della povertà, la difesa dei diritti umani e della democrazia, la promozione dell’uguaglianza di genere e, più recentemente, la gestione delle sfide ambientali e climatiche. La politica estera europea si fonda però non su rapporti di diplomazia e negoziazione ma su elementi finanziari e commerciali. Quindi anche la Cooperazione allo Sviluppo europea segue le indicazioni dei rapporti internazionali dell’Unione e quindi si basa spesso su rapporti economici più che umanitari. Ecco allora come sia necessario inserire nella Carta Costituzionale europea alcune pietre miliari: il ripudio  della guerra, la promozione della pace e della solidarietà internazionale, il riconoscimento e la difesa di alcuni fondamentali diritti umani, come l’accesso all’acqua, all’istruzione, alla salute.
Mentre in Europa si cerca di sviluppare una strategia di cooperazione maggiormente efficace come elemento cardine della politica estera. Nell’ambito italiano, stato membro e fondatore dell’Unione Europea, la cooperazione internazionale è invece il settore più bistrattato e sottovalutato dalle amministrazioni e dalla politica italiana. I Governi di qualsiasi orientamento politico hanno sempre considerato la cooperazione come un’attività umanitaria gestita grazie al cuore degli operatori del settore, costantemente relegata a una posizione subalterna rispetto sostanzialmente a tutte le altre questioni.
Come si vuole evidenziare in questo articolo, la cooperazione internazionale è, al contrario, un fattore chiave della politica estera proprio perchè unico elemento di interazione con i popoli e governi ed è ormai elemento riconosciuto in tal senso dalla maggior parte degli Stati occidentali. Forse per questo motivo anche in Italia qualcosa sta cambiando. Secondo gli ultimi dati OCSE, l’Italia dedica lo 0,21 del Prodotto interno lordo  per gli aiuti allo sviluppo, quindi più di paesi come gli Stati Uniti, che vi dedicano lo 0,19, e quanto il Giappone (appunto lo 0,22). Anche in Europa, non siamo più fanalino di coda: dietro di noi ci sono Portogallo, Spagna e Grecia. I focus di azione sono emergenze, la lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria. Alle emergenze sono dedicati 32 milioni di euro, mentre 277 milioni vanno ai paesi prioritari come l’Africa subsahariana, Medio Oriente e bacino mediterraneo. Inoltre la nuova legge italiana sulla cooperazione definisce una nuova architettura di “governance” del sistema della cooperazione, la cui coerenza e coordinamento delle politiche saranno garantiti attraverso il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (Cics).
Secondo le associazioni, le nuove linee guida per accedere ai finanziamenti pubblici tagliano fuori troppe onlus e associazioni di promozione sociale e volontariato. Guido Barbera, presidente del Cipsi ( Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale ) scrive che l’Italia sta commettendo un “Errore politico strategico e fallimento della nuova legge sul settore”. La legge di riforma del settore, approvata nel 2014, intendeva ampliare la platea di questi soggetti. Peccato che, denunciano le associazioni, le linee guida prevedano criteri che poco hanno a che vedere con attività di cooperazione e che di fatto impediscono a nuove realtà di aggiungersi agli operatori della cooperazione allo sviluppo. Laura Frigenti, direttrice dell’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo sostiene che bisogna garantire la qualità degli attori e l’uso efficiente delle risorse pubbliche. Ma di fatto è impedito alla maggior parte di onlus, associazioni di promozione sociale, all’arcipelago del commercio equo e dell’economia solidale, alle associazioni di volontariato internazionale di diventare Organizzazioni Non Governative riconosciute ( ONG ) e a poter accedere ai finanziamenti del Ministero Affari Esteri. Aggiunge Silvia Stilli, portavoce dell”Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale: “Questi parametri tengono dentro il recinto della cooperazione le ONG già idonee con la vecchie legge, mentre gli altri soggetti rimangono tagliati fuori. Le linee guida non corrispondono alla filosofia complessiva della legge, che prevede un sistema inclusivo”. Certo in questa maniera l’Italia continua a ridurre forza all’unico vero organismo della politica estera del futuro, quello della cooperazione internazionale.
La cooperazione internazionale infatti non può essere solo il veicolo degli aiuti assistenziali o delle opportunità di sviluppo concesse ai popoli di un Paese. La cooperazione internazionale grazie alla sua interazione con le popolazioni ed i territori dove opera è necessariamente il miglior strumento per negoziare la pace e prevenire i conflitti. Questa non può essere ridotta solo a strumento di relazione economica in funzione di incentivare e realizzare strade strade commerciali per le imprese occidentali. La cooperazione internazionale deve essere il frutto del dialogo fra forze politiche e la stessa società civile nell’ambito delle svariate espressioni organizzate e impegnate sui temi della pace e della solidarietà internazionale ed anche di reciproco vantaggio nell’ambito dell’economia globalizzata. Questa nuova modalità del fare cooperazione e quindi politica estera deve essere fondata su relazioni dirette fra comunità, enti locali e singoli cittadini ed essere aperta a tutte le forme associative che si propongono come attori nelle realtà dei Paesi in guerra o in via di sviluppo. Se scelta meritocratica debba esserci, non può essere dettata da lobby interne o corporativismi che si occupano di gestire propri interessi e non quelli italiani e dei Paesi da aiutare.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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